"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

lunedì 11 settembre 2017

Quodlibet. 17 “Il male più grande si chiama povertà”.



Da “Il male più grande si chiama povertà” di Eugenio Scalfari, pubblicato sul settimanale L'Espresso dell’11 di settembre dell’anno 2016: (…). I poveri ci sono sempre stati. Per secoli e secoli non erano soltanto poveri ma addirittura schiavi considerati come cose. Ma loro, i poveri, gli schiavi, i deboli, gli esclusi confinati ai margini della vita sociale, come consideravano se stessi? Volevano evadere da quella condizione? E i ricchi e i potenti come realmente considerano la povertà? Quanto agli uomini di religione, di qualunque religione ma quella cristiana in particolare, che considerano la povertà come il male peggiore delle nostre società, come spiegano la decisione del Creatore onnipotente e d’un Creato che sopporta le sofferenze dei poveri e la persistenza d’un tale fenomeno che il Dio consente e che ormai ha assunto le caratteristiche dell’eternità? Questo problema dei poveri, ogni giorno ricordato e ogni giorno affrontato, è stato parzialmente risolto nel mondo comunista, guidato dallo Stato sovietico dal 1917 fino alla caduta del muro di Berlino del 1989. Poco meno d’un secolo, durante il quale alcune diseguaglianze avevano attenuato l’ideale d’una eguaglianza sociale con la nascita d’uno stuolo di oligarchi di Stato che dirigevano i gangli dell’economia sovietica e ne ricavavano notevolissimi benefici economici. Il grosso della società era comunque egualitaria: un grande paese di potenza politica mondiale, ma povero d’una povertà diffusa. La povertà dunque non era scomparsa affatto ma, salvo i rari casi suddetti, erano pressoché scomparse le diseguaglianze. C’era però un prezzo che tutti pagavano: la totale rinuncia alla libertà. Non accadeva soltanto in Urss, ma quello ne era l’esempio più evidente. Del resto era stato così anche durante l’impero degli zar: il grosso del paese era contadino e i contadini erano “anime morte”, poveri e privi di libertà. Altrove, in Europa e in tutti i paesi liberaldemocratici c’era la libertà, c’erano ricchi e ceto medio, ma la povertà non era affatto scomparsa e aveva ancora il ceto più numeroso anche se lo Stato interveniva a mitigare il disagio. Del resto l’invocazione ad aiutare i poveri è quasi universale. Come mai? È molto difficile rispondere a questa domanda. Se si limitasse ad alcune aree geografiche economicamente represse e socialmente dominate dal potere dei “rais” sarebbe comprensibile e l’aiuto dei paesi ricchi sarebbe doveroso. Ma il fenomeno esiste ovunque, i poveri continuano ad essere diffusi ovunque. Naturalmente ne varia il livello che dipende dalla condizione media di quella società. In Italia, tanto per fare un esempio che ci riguarda da vicino, il livello di povertà comincia da un reddito annuo di ottomila euro. A cinquemila la povertà ti prende già alla gola. Sotto i cinquemila (si parla di reddito familiare, non individuale) siamo all’accattonaggio. E quanti sono quelli che vivono con cento euro al mese, cioè con 1200 euro l’anno? Diciamo un milione di famiglie, cinque persone a famiglia tra adulti vecchi e bambini. Qui non siamo più nemmeno all’accattonaggio ma alla morte, civile, sociale ed anche fisica. Nei paesi civili a questo livello non si arriva ma «sora nostra morte corporale» è dietro l’angolo. Gli Stati intervengono, le associazioni religiose anche e il volontariato è presente. Ma dunque la povertà esiste da secoli e da millenni e (ve lo dico all’orecchio) anche la schiavitù sia pure modernamente intesa, esiste ancora, forse è perfino aumentata. Perciò aiutate i poveri e gli esclusi. Il vero nostro male è questo. E se Dio non se ne occupa vuol dire che non c’è oppure è in tutt’altre faccende indaffarato. Gesù di Nazareth era povero e morì in croce.

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