Scriveva Gustavo Zagrebelsky in “Politica e nichilismo” pubblicato sul
quotidiano la Repubblica del 26 di settembre dell’anno 2013: (…).
Nel nichilismo e nell’autoreferenzialità, nel cerchio chiuso di potere e
denaro, non c’è posto per la politica. C’è posto solo per il cieco dominio che
rifiuta d’interrogarsi sul senso del suo esistere. È puro non-senso. C’è da
stupirsi, allora, se quella che ancora insistiamo a chiamare politica, sempre
meno attragga la maggioranza dei cittadini, coloro che sono fuori del cerchio?
Come suonano vuote, retoriche e ipocrite le invocazioni di un nuovo patto tra
cittadini e politici, senza che si mettano minimamente in discussione le
ragioni di quel divorzio! La democrazia è forma della politica e la politica è
la sostanza della democrazia. Ma, se viene a mancare la sostanza, la forma si
riduce a vuoto involucro, a simulacro ingannatore. (…). …se il potere non si dà
un fine che lo trascende, se le sue leggi non s’identificano con la vita buona
dei cittadini in generale, quale ch’essa sia, non c’è politica e tantomeno ci
può essere democrazia. (…). Nel tempo nostro, non c’è una pòlis, giusta città
per natura e necessità, che a noi tocchi di riconoscere, difendere e
accrescere. Tutto è stato distrutto, tutto è rimesso alle nostre mani e alle
loro cure; tutto deve essere ricostruito. Quando la vita politica non è più un
dato della natura, come l’aria, il suolo e il clima, ma deve essere costruita e
ricostruita, il progetto della giusta città è quella cosa che decidiamo insieme
che debba essere e che chiamiamo “costituzione”. (…). Non c’è verità in queste
parole. I principi e i fini della Costituzione possono essere lasciati stare,
tali e quali sono scritti, per la semplice ragione che li si può ignorare, come
se non esistessero. Che ne è del lavoro come diritto; dei doveri di solidarietà
sociale; dell’uguale dignità di tutti i cittadini; dell’ambiente come
patrimonio comune; della funzione sociale della proprietà; degli obblighi
tributari che devono ispirarsi alla progressività; dei diritti sociali come
l’istruzione, la salute, la protezione dei più deboli? Sono solo esempi. Le
norme che parlano di queste cose tracciano le linee di una “buona città”, quale
abbiamo voluto stabilendo una Costituzione. (…). Quella Costituzione è
stata salvata nel referendum del 4 di dicembre 2016. E come una conchiglia
vuota sta sulla battigia, essa sta lì vuota e svuotata a memento di quanto i “padri”
costituenti avessero pensato e desiderato di realizzare. È che si è al tempo
della politica fatta dagli “stupidi”. Lo sostiene con fermezza “giovanile” il novantaquattrenne
professor Aldo Masullo in una intervista – “Servirebbe
un altro Marx, ma la politica oggi è degli stupidi” - rilasciata ad
Antonello Caporale e pubblicata su “il Fatto Quotidiano” del 15 di settembre 2017:
“Questo
sarebbe il tempo giusto per un nuovo Marx, ma il pensiero non si coltiva in
serra e la storia non coincide con la nostra biografia. Avremmo bisogno di
uomini che stiano un gradino più in alto del resto della società e invece ci
ritroviamo a essere governati con gente che è risucchiata nel gorgo della
stupidità. Come si può pensare alla rivoluzione – qualunque tipo o modello di
riforma strutturale dell’esistente – se il nostro sguardo sul mondo è destinato
per tutto il giorno unicamente alle variazioni sul display del nostro
telefonino?”. (…). “Ha annunciato il nuovo mondo. Ha spiegato e anticipato i
caratteri del mondo borghese, del principio del tutti almeno formalmente
uguali, della statuizione che ciascuno, indifferentemente dalla condizione
sociale, è pari all’altro. Si usciva dal feudalesimo, dalla vita legata dallo
status: feudatario, vassallo, plebeo. Grazie a lui si apre il mondo moderno, si
afferma il principio della uguaglianza astratta. Sia che tu sia dritto o gobbo,
intelligente o stupido, avrai da pagare le stesse mie tasse”.
Marx sembra Dio. “L’enormità del
suo pensiero non è sempre valutabile positivamente. Perché tutto ciò che è
enorme straripa di fronte alle necessità dell’uomo. La storia che noi viviamo è
sempre più grande della nostra condizione”.
Era troppo avanti? “Sì, potremmo
dire con un linguaggio attuale che ha esondato un po’”.
Non c’è dubbio però che grazie a
lui il lavoro non è divenuto solo merce da vendere ma anche un valore da difendere.
“Quanto è stata grande e rivoluzionaria questa consapevolezza? Quanto ha fatto
Marx perché fosse contrastato il principio secondo il quale lavoratore vende
forza lavoro e il capitalista lo compra. Il teorema per cui tutto si può
comprare e tutto si può vendere. E infatti oggi si vende anche la dignità.
Tutto ha un prezzo: nelle democrazie fragili sudamericane o in quelle africane
non c’è giudice che non si possa comprare, non c’è sentenza che non si possa
addolcire”.
Lei parla dell’oggi, come se i
progressi del secolo scorso non fossero serviti a niente. Tutto regredisce, si
torna indietro. “No. Ricordi che la storia è dinamica, è movimento e non
coincide con il tempo che viviamo. La grandezza di Marx è stata quella di aver
aiutato l’umanità almeno a ricercare forme nuove di vita, a conquistare spazi
in cui la dignità e la libertà acquisissero un senso diverso e nuovo”.
Il comunismo relegò in gattabuia
le libertà e costrinse milioni di persone a una vita di stenti. “Parlo dei
diritti conquistati durante le grandi lotte sociali nell’Occidente libero e
democratico. Grazie a quella spinta teorica siamo giunti allo sciopero, che è
un diritto diverso dalla rivoluzione o dalla sovversione. Si stabilisce
attraverso delle regole la possibilità del massimo conflitto col massimo
rispetto della legge. È una cosa enorme”.
Perché oggi sembra tutto così
lontano, così perduto? Non ha più senso parlare di lotta di classe, fa
sorridere solo immaginarla possibile. E i diritti regrediscono, il lavoro torna
a essere merce, quindi ad avere un prezzo senza nessun valore. “Quando si hanno
trasformazioni degli assetti sociali così cruente, quando la classe dirigente
si connette fino a divenire satellite del potere finanziario, il capitale, o
meglio i capitalisti, non trovano più conveniente investire nella capacità
produttiva, ma investono nel circuito finanziario globale. La moneta produce
moneta e tutto si concentra nello sviluppo di tecnologie che riducano la
necessità dell’apporto della forza lavoro. Piano piano il lavoro manuale viene
dismesso, poi anche quello intellettuale non creativo”.
L’operaio come una escrescenza
sociale. “Bauman parla di scarto. Divengono elementi di scarto. Certo, non
succederà che finiremo di morire di fame ma si ridurrà il prezzo e il valore
del lavoro. Si entra nel campo della misericordia, della pietas”.
Il declino inarrestabile. “Lei si
fa condizionare dall’angoscia dell’attualità che non trova risposte. Ma i tempi
della storia non corrispondono a quelli della cronaca. E se, come abbiamo detto
e ripetuto, la storia è movimento, le crisi recessive sono parti di quel
movimento”.
Quindi cosa resta del grande
Marx, solo cenere? “Il suo pensiero ha costruito il mondo nuovo, il mondo
moderno che abbiamo conosciuto. La regressione civile ed economica che stiamo
vivendo non può in ogni caso sospendere i caratteri fondativi della natura
umana, l’elementarietà dell’uomo con i suoi bisogni indefettibili e
irrinunciabili. È certo che l’uomo continuerà a mangiare, a sperare, a fare
l’amore”.
Non ci sono più i pensatori di
una volta. “È la constatazione di una povertà generale e trasversale. Non è
solo la classe dirigente del nostro Paese, è l’autorità che ha perso ogni
distintivo di capacità di guardare oltre. Alzi lo sguardo e cosa vedi? Cordate
di leader collegati a cordate di multinazionali, in una cointeressenza tra
funzione di governo e speculazione finanziaria che erode spazi di libertà, di
avanzamento professionale e culturale. C’è poi una parte del mondo soggiogata
dal circuito malefico dell’industria delle armi che la priva – è il caso
dell’Africa e dell’Oriente – di ogni dignità e la costringe a una migrazione
senza diritti”.
Ma abbiamo detto che l’uomo
spera. “Questo è il tempo della stupidità al potere. La storia ci dirà quanto
avrà resistito”.
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