“Quellichelasinistra”,
quelli che ostinatamente continuano a pensare che “il lavoro, l’equità, e l’uguaglianza”
siano e rimangano gli obiettivi primari e non barattabili per il futuro degli
esseri umani. Sempre che a quegli obiettivi primari si dia il significato politico
e storico che essi hanno avuto ed hanno tuttora e che hanno permesso il
riscatto di sempre più larghe fasce di esseri umani. Compito difficile ed impari
per “quellichelasinistra”,
che pensano tutt’oggi non doversi barattare quegli obiettivi primari con quant’altro
le sirene del capitalismo finanziario offrono allettando pericolosamente le
moltitudini. Ha scritto Curzio Maltese sull’ultimo numero del settimanale “il
Venerdì” in edicola dal 15 di settembre che “il compito storico della
sinistra consiste nel far partecipare il popolo al discorso pubblico con la
stessa intelligenza critica che il potere riesce a indirizzare verso temi
irrilevanti. Quando la sinistra adotta invece gli stessi slogan della destra,
pensando così di strappare più consensi, dichiara la propria resa culturale e
alla fine, di solito, arriva il fascismo. Un tema, questo, dell’irrilevanza
che la “sinistra” consegue allorché scimmiotta logiche e parole che non dovrebbero
essere nel suo bagaglio critico e storico. Su tali temi politico-lessicali
ritrovo una interessante intervista di Tiziana Testa al professor Ilvo Diamanti
pubblicata sul quotidiano la Repubblica del 18 di settembre dell’anno 2013. Titolo
di quell’intervista: “Lavoro, equità,
uguaglianza il nuovo lessico per costruire il futuro”. Sono trascorsi quattro
anni da quella pubblicazione e di passi indietro la “sinistra” ne ha
disinvoltamente e colpevolmente compiuti parecchi. Affermava il professor
Diamanti, analizzando il “lessico” a quel tempo imperante, che «è vero,
il lavoro vince, ma non stacca le altre opzioni. E in generale c’è una grossa
dispersione nelle risposte. Segno che manca un’identità definita». (…). «Non
c’è il cleavage, la frattura identitaria, che divide la società sul piano
politico» (…). «Lo vediamo anche nelle nostre ricerche: 7 italiani su 10
dichiarano senza difficoltà di essere di destra o di sinistra, ma poi non sanno
riempire di contenuti queste due definizioni».
Va bene, la parola lavoro non
stravince nel sondaggio. Ma ha avuto il 10 per cento dei voti, tra una trentina
di diverse opzioni. Quanto c’entra la crisi? «Sicuramente ha un peso. Ma conta
di più la storia. Il lavoro ha a che fare con la tradizione della sinistra: per
il suo legame con il movimento operaio, per la sua radice laburista. Il
problema è che oggi lavoro vuol dire tutto e niente, non solo perché manca ma
perché può essere nero, precario, intermittente. Una volta era fonte di
reddito, ma anche di riconoscimento e di gerarchia sociale. Era collegato a una
comunità reale. Oggi non è più così. Anche per questo la sinistra ha tanti
consensi tra i pensionati».
In seconda posizione la parola “equità”, col 7 per cento. Preferita anche a “uguaglianza” (terzo posto). E sono tanti i voti per “redistribuzione”. C’è una forte componente socioeconomica nelle risposte. «In parte è vero, ma si tratta di parole comunque diverse. “Uguaglianza” è più radicale ed ha le sue radici nella rivoluzione francese. “Redistribuzione” ha a che fare con lo Stato sociale, con la socialdemocrazia, che mira a ridurre le diseguaglianze, attraverso l’intervento pubblico, attraverso le riforme. Certo, tutto questo richiama uno dei compiti storici della sinistra: fare i conti con il mercato, controllare e ridurre le sue conseguenze inegualitarie sul piano sociale. Ma attenzione a non usare troppo le lenti del passato. Oggi ci sono soprattutto impiegati pubblici e pensionati, nella base della sinistra. Gli operai da tempo guardano altrove. Mentre c’è un’attenzione crescente per la parola “merito”. Io l’avrei inserita nella rilevazione. Il merito è egualitario perché è alternativo ai privilegi ereditari, alle chiusure corporative, alle caste».
“Laicità” prende il 6 per cento.
E questo nonostante la popolarità di Papa Francesco, anche a sinistra… «Non mi
stupisce. La laicità è una delle componenti da cui nasce la sinistra. Mi sembra
sorprendente invece il 2 per cento per la parola “Resistenza”. Significa che è
scomparsa dalla memoria, forse perché è stata troppo mitizzata e poco coltivata
come esperienza e come valore. E poi mi colpisce il 3 per cento per
“democrazia”. E il 4 per “Bene comune”: era il marchio dell’alleanza alle
ultime elezioni, ora sembra dimenticato. Insomma, la sinistra ha tante parole
perché ha tante anime. È Stato ma anche mercato, innovazione ma anche
conservazione, lavoro ed equità ma anche legalità. E soprattutto negli ultimi
20 anni è stata troppo gregaria rispetto alla cultura berlusconiana».
A proposito, la libertà non è
nelle prime posizioni. Una parola “scippata” dalla destra? «Sì, e non solo
perché Berlusconi l’ha scelta come parola chiave. Anche perché ha dipinto gli
avversari come la casa delle illibertà, il campo dei comunisti».
Per tutta la durata del sondaggio
“legalità” è stata tra il quarto e il quinto posto. Tanti voti anche per la
parola “moralità”. La sinistra per molti è diventata una specie di deontologia
civica? E anche questo ha a che fare con il berlusconismo? «Inevitabilmente.
Anche in altri paesi vicini, Francia e Germania, i magistrati hanno perseguito
e talora condannato uomini politici importanti, capi di Stato e di governo. Ma
qui i problemi giudiziari del Cavaliere sono diventati la questione che
paralizza la politica. Anzi: il Paese».
Insomma, se avessimo aggiunto tra
le parole anche “antiberlusconismo” ci sarebbe stato un picco di voti? «Sì,
berlusconismo e antiberlusconismo sono concetti che hanno ancora molta presa,
sia tra i favorevoli che tra i contrari al Cavaliere. Dividono la politica e
gli italiani. Hanno inquinato la cultura politica e creato anche confusione.
Non a caso molti antiberlusconiani non riuscirebbero mai a definirsi di
sinistra. Ma votano a sinistra. Per disperazione».
(…). In bassa classifica anche
sogno, coraggio, cambiamento. L’ottimismo non è virtù coltivata a sinistra? «È
così anche perché negli ultimi venti anni l’ottimismo è stato usato da chi era
al governo come argomento contro gli avversari definiti pessimisti,
disfattisti, in una parola comunisti. Ma certo è anche l’espressione di una
sinistra senza passato e incapace di immaginare un futuro».
E invece, qualche segnale
positivo? «Mi colpisce il 5 per cento che ha votato per “dignità”. Per me
dignità vuol dire potersi alzare al mattino e guardarsi allo specchio, dritto
negli occhi, senza abbassare lo sguardo. Non so se significhi essere di
sinistra. Ma sogno un futuro vissuto con dignità da tutti, in cui questa parola
possa essere un valore condiviso».
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