Da “Dalla
fede alla politica il tramonto del padre” di Zygmunt Bauman pubblicato sul quotidiano la Repubblica del 9
di settembre dell’anno 2016: (…). Molti anni fa Italo Calvino, proprio
sui giornali, aveva parlato di una specie di centro “strano”, affermando che:
«La società moderna tende verso un complicato set-up, che gravita verso un
centro vuoto, ed è in questo spazio, che si rivela vuoto, che tutti i poteri e
valori si riuniscono». Questo processo potrebbe aver dato il via, per ricordare
ancora Calvino, a una potente teoria di forza centripeta del vortice di
contemporaneità, ad un centro schizzato dai “cadaveri” dei tanti che aspiravano
in passato a stabilirsi in un presunto centro che in realtà si è scoperto poi
vuoto. (…). …l’aspetto più interessante, in questo scritto, è quello che
riguarda una figura tradizionalmente vincente e, da qualche tempo, tragicamente
perdente: il Dio Padre, il Padre, la Patria. (…). Il cadavere che ha attirato l’attenzione
di Lacan era il Padre; per Nietzsche era il Padre di tutti i padri: Dio; per molti
altri, la Patria, un’altra tipologia di padre. Dio, il Padre, la Patria sono i
nomi diversi dati a una totalità più grande della somma delle sue parti
(individuali): basti pensare ad esempi molto importanti come il Leviatano di
Hobbes. Invece la figura del Sovrano di Schmitt ha dimostrato di avere
caratteristiche particolari. In Political Theology, il filosofo definisce la
figura del “sovrano” (altra variante del padre) non tanto per la sua
prerogativa di legiferare, ma per la sua irresponsabilità, a volte, nella
violazione della legge, un motivo (quasi come un curioso paradosso) giustifica
l’atto del fare le leggi e poi di infrangerle; un atto, pur sempre decisionale,
esclusivamente basato sulla volontà del sovrano, anche se in negativo; in
ultima istanza, il sovrano è colui che non deve rendere ai soggetti del suo
governo né scuse e nemmeno spiegazioni delle sue mosse. È colui che ha in
assoluto la libertà decisionale che tutti noi – i suoi soggetti, dipendenti dai
suoi voleri e dalle sue scelte – dobbiamo tenere in conto, anche quando si
basano sulla violazione della legge. Paradossalmente, però, il “timore e
tremore” generato, come direbbe Kierkegaard, dal confronto con una tale potenza
assoluta, prepotente e insopportabile, imperscrutabile e incalcolabile, sembra
essere un artificio culturale ingegnoso ed efficace, in grado di rendere
sopportabile – anzi, addirittura vivibile – una vita vissuta di fronte al
destino ostinatamente impenetrabile. Invece di esacerbare il confronto con il
potere, attenua il terrore, altrimenti incurabile, dell’ignoto. Dio, Padre, Re
vede ulteriormente e sente più di me. Non solo egli sa che cosa il futuro ha in
serbo, ma lo rende flessibile. Egli è onnisciente e onnipotente; se lui desiste
dal fare quello che ho a cuore, deve essere perché sa, mentre io, con la mia
ragione, non so e non sarei in grado di capire davvero se sapessi. Tendo a
individuare il 1755 come l’anno in cui il mandato per lo sgombero di Dio dal
centro dell’universo ha cominciato ad essere redatto – anche se, piuttosto che
parlare di sfratto di Dio, sarebbe meglio parlare di abbandono del centro,
abbandono del dovere o fuga di un inquilino insolvente. Nel 1755 accadde un
triplo disastro. Terremoti, incendi e inondazioni in rapida successione
toccarono Lisbona, a quel tempo generalmente considerata come uno dei
principali centri del potere europeo, grazie alla sua ricchezza, ma anche per
la sua cultura. Lisbona fu distrutta, ma i colpi della distruzione cadevano a
caso; come Voltaire era pronto ad osservare: «sia l’innocente che il colpevole
subiscono questo male inevitabile». Il verdetto di Voltaire era cristallino: il
soggiorno di Dio al centro dell’universo non era riuscito a superare la prova
della Ragione e della Morale impostate dagli esseri umani. Ora toccava agli
uomini la nuova gestione. Lo sfratto era avvenuto. Attraverso i due secoli
successivi abbiamo imparato comunque, e nel modo più duro, che i “manager
umani” sono capaci di fare molto caos, con razionalità e senso morale; così
come abbiamo imparato la resistenza del Grande Ignoto nel fare un passo
indietro, e la fermezza di vincoli che ostacolano i “manager umani”, i quali
comunque sono ben al di sotto nel raggiungere l’onniscienza, per non parlare
dell’onnipotenza. Ad esempio, lo Stato e il mercato, le due agenzie che la
Ragione e la Morale hanno elaborato in consultazione reciproca, anche se non
necessariamente in pieno accordo delle due agenzie, gestiscono parte
dell’universo ma sono fallite e continuano a fallire, lasciando frustrate le aspettative
degli uomini.
(…). Prove e tribolazioni attuali affliggono la “figura paterna”
e riflettono, in forma sintetica, i processi che interessano le idealizzazioni,
su qualsiasi livello, della struttura frattale-paterna. Occorre considerare il
numero crescente di bambini che crescono in famiglie con un solo genitore,
resta tuttavia il ruolo di un padre simile a quello di cui parlava Tommaso
d’Aquino: “Deus otiosus o absconditus”, soprattutto attraverso la sua assenza e
la non interferenza. Se entrambi i genitori biologici discutono se rimanere
sotto lo stesso tetto o no, i legami genitori– figli sono sempre più sciolti,
allo stesso tempo è spogliata la struttura dell’autorità. Lo svuotamento
improvviso di un “centro gravitazionale” è stato spalleggiato dalla rinuncia
forzata o volontaria dei genitori, che quasi si sono dimessi dal loro ruolo. E
mi si permetta di aggiungere che gli scrupoli morali che potrebbero in futuro
seguire a tale resa tendono ad essere affrontati con i beni e i servizi
acquistabili sul mercato e più comunemente con l’uso dei beni che offrono la
possibilità di vivere una condizione di tranquillità morale, che a sua volta
apre la porta sempre più alla commercializzazione degli aspetti più intimi
della solidarietà umana. Con quali esiti?
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