Da “Il male
più grande si chiama povertà” di Eugenio Scalfari, pubblicato sul
settimanale L'Espresso dell’11 di settembre dell’anno 2016: (…). I
poveri ci sono sempre stati. Per secoli e secoli non erano soltanto poveri ma
addirittura schiavi considerati come cose. Ma loro, i poveri, gli schiavi, i
deboli, gli esclusi confinati ai margini della vita sociale, come consideravano
se stessi? Volevano evadere da quella condizione? E i ricchi e i potenti come
realmente considerano la povertà? Quanto agli uomini di religione, di qualunque
religione ma quella cristiana in particolare, che considerano la povertà come
il male peggiore delle nostre società, come spiegano la decisione del Creatore
onnipotente e d’un Creato che sopporta le sofferenze dei poveri e la
persistenza d’un tale fenomeno che il Dio consente e che ormai ha assunto le
caratteristiche dell’eternità? Questo problema dei poveri, ogni giorno
ricordato e ogni giorno affrontato, è stato parzialmente risolto nel mondo
comunista, guidato dallo Stato sovietico dal 1917 fino alla caduta del muro di
Berlino del 1989. Poco meno d’un secolo, durante il quale alcune diseguaglianze
avevano attenuato l’ideale d’una eguaglianza sociale con la nascita d’uno
stuolo di oligarchi di Stato che dirigevano i gangli dell’economia sovietica e
ne ricavavano notevolissimi benefici economici. Il grosso della società era
comunque egualitaria: un grande paese di potenza politica mondiale, ma povero
d’una povertà diffusa. La povertà dunque non era scomparsa affatto ma, salvo i
rari casi suddetti, erano pressoché scomparse le diseguaglianze. C’era però un
prezzo che tutti pagavano: la totale rinuncia alla libertà. Non accadeva
soltanto in Urss, ma quello ne era l’esempio più evidente. Del resto era stato
così anche durante l’impero degli zar: il grosso del paese era contadino e i
contadini erano “anime morte”, poveri e privi di libertà. Altrove, in Europa e
in tutti i paesi liberaldemocratici c’era la libertà, c’erano ricchi e ceto
medio, ma la povertà non era affatto scomparsa e aveva ancora il ceto più
numeroso anche se lo Stato interveniva a mitigare il disagio. Del resto
l’invocazione ad aiutare i poveri è quasi universale. Come mai? È molto
difficile rispondere a questa domanda. Se si limitasse ad alcune aree
geografiche economicamente represse e socialmente dominate dal potere dei
“rais” sarebbe comprensibile e l’aiuto dei paesi ricchi sarebbe doveroso. Ma il
fenomeno esiste ovunque, i poveri continuano ad essere diffusi ovunque.
Naturalmente ne varia il livello che dipende dalla condizione media di quella
società. In Italia, tanto per fare un esempio che ci riguarda da vicino, il
livello di povertà comincia da un reddito annuo di ottomila euro. A cinquemila
la povertà ti prende già alla gola. Sotto i cinquemila (si parla di reddito
familiare, non individuale) siamo all’accattonaggio. E quanti sono quelli che
vivono con cento euro al mese, cioè con 1200 euro l’anno? Diciamo un milione di
famiglie, cinque persone a famiglia tra adulti vecchi e bambini. Qui non siamo
più nemmeno all’accattonaggio ma alla morte, civile, sociale ed anche fisica. Nei
paesi civili a questo livello non si arriva ma «sora nostra morte corporale» è
dietro l’angolo. Gli Stati intervengono, le associazioni religiose anche e il
volontariato è presente. Ma dunque la povertà esiste da secoli e da millenni e
(ve lo dico all’orecchio) anche la schiavitù sia pure modernamente intesa,
esiste ancora, forse è perfino aumentata. Perciò aiutate i poveri e gli
esclusi. Il vero nostro male è questo. E se Dio non se ne occupa vuol dire che
non c’è oppure è in tutt’altre faccende indaffarato. Gesù di Nazareth era
povero e morì in croce.
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