"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

mercoledì 14 maggio 2014

Storiedallitalia. 49 “La grande amnesia italiana”.



Ha scritto Ezio Mauro nel Suo editoriale del 12 di maggio sul quotidiano la Repubblica – “La grande amnesia italiana” -: Ma (…) non sta molto bene nemmeno la pubblica opinione, (…). Nei Paesi di democrazia diffusa, e attiva, è un soggetto ben distinto dal potere, capace di controllarlo, giudicarlo e soprattutto di pretendere un costante rendiconto. Eccitata da Tangentopoli, credendo di essere diventata protagonista, la pubblica opinione italiana ha affidato la sua fuoruscita da quella stagione a un presunto uomo nuovo che era in realtà il figlio legittimo, perfetto e riconosciuto del Caf, cioè quell'alleanza di potere più che di governo tra Craxi, Andreotti e Forlani, con cui l'agonia della Prima Repubblica cercò di prolungare se stessa prima di sprofondare nelle tangenti. La cosiddetta “pubblica opinione”. Invoca l’illustre notista una peculiarità propria dei paesi a democrazia avanzata. Che non esiste nel bel paese. Ché, seppure fosse stata sul nascere, le vicende indecorose dell’ultimo ventennio a questa parte hanno contribuito a bloccare inviluppandola in un intrico dal fondo del quale essa non riesce più a riemergere. E non vuole essere questa mia una stanca, querula denuncia. Del “mugugno”, come sport nazionale, ne siamo stanchi. È che quella peculiarità, la pubblica opinione contraltare del potere, è venuta a mancare nel bel mezzo del ventennio con una responsabilità che è da spalmare su tutte le componenti politiche. Ho testimonianza delle passate denunce. Ritrovo un primo ritaglio datato 18 di luglio dell’anno 2010. È di un attento osservatore qual’è Ilvo Diamanti. Che provava a spiegare a quel tempo la mancata comparsa della cosiddetta “pubblica opinione” matura e consapevole. E responsabile. E che non fosse “unica”.
Scriveva sul quotidiano la Repubblica – “Perchè non esiste l'opinione pubblica unica” -: Il fatto è che l'Opinione Pubblica Sovrana, per essere tale, non può essere plurale. È un plebiscito che si celebra ogni giorno, a colpi di sondaggi amplificati dai media, celebrati da giornalisti, certificati da pollster e specialisti. Non uno strumento per capire e orientarsi. Ma una rappresentazione della volontà popolare. Dove la maggioranza (…) di un campione, costituito da 1000 oppure 800 casi, rappresenta gli italiani. Tutti. Cioè: il popolo. Così, la diffusa sensazione di un governo che non governa, dove molti, a partire dal premier, si fanno i fatti propri piuttosto che quelli dei cittadini, non compromette solo il clima d'opinione. Ma, soprattutto: ri-disegna l'Opinione Pubblica. Per definizione: unica. Sovrana. (…). Perché nel nostro tempo si vota una tantum, mentre i sondaggi - che fabbricano l'Opinione Pubblica Sovrana - si realizzano ogni giorno. (…) L'Opinione Pubblica Unica non esiste. Sicuramente non la misurano i sondaggi (strumenti imperfetti che rilevano opinioni). I quali, però, possono essere usati per costruirla, soprattutto con l'appoggio dei media. Per questo, fra i poteri da equilibrare, oggi, Montesquieu inserirebbe sicuramente il sistema dell'opinione pubblica - media, sondaggi, comunicazione. E dubitiamo che apprezzerebbe il grado di concentrazione esercitato in Italia dal Cavaliere. Premier, leader del partito di maggioranza, proprietario del maggiore gruppo mediatico privato e attore influente di quello pubblico. Tuttavia, il campo dell'opinione pubblica è ampio e diversificato. (…). Giornali, televisioni, internet. Che nessuno è in grado di controllare fino in fondo. È questo il principale anticorpo di cui disponga la democrazia (dell'opinione). Perché l'opinione pubblica in cui noi crediamo è lo spazio che rende pubblico il confronto sulle decisioni di interesse pubblico. Dove è possibile discutere tutto. E tutti. A partire da noi stessi. In questa operazione di “ri-disegnare” l’opinione pubblica le responsabilità, seppur diffuse, sono ascrivibili in maggiore misura e peso all’uomo di Arcore, erroneamente oggigiorno considerato fuori-gioco e caduto in disgrazia. Scrive ancora Ezio Mauro: Per convenienza e per natura, si potrebbe dire per vizio e per calcolo, Berlusconi appena arrivato al potere attraverso la breccia di Tangentopoli l'ha subito richiusa, murando insieme con quel periodo anche le questioni della trasparenza e della legalità. Grandioso interprete del senso comune mutevole degli italiani, abile fabbricatore lui stesso di senso comune, lo ha portato via via a sostituirsi alla pubblica opinione. Con la differenza - capitale - che il senso comune non è autonomo, ma è tutt'uno con il potere, che lo indirizza, lo guida e spesso lo sceneggia. Si spiega così (e così soltanto) la grande amnesia italiana che ha realizzato questa straordinaria banalizzazione del ventennio. Operazioni criminali devitalizzate nel giudizio sociale, legami organici con le mafie ridotti ad episodi romanzeschi, inchieste raccontate come persecuzioni, manipolazioni dei codici ad personam spacciate come riforme di interesse generale, condanne definitive deprivate di ogni significato, pene spettacolarizzate, misure giudiziarie vendute come volontariato, la legalità trasformata in un optional, anzi un fastidio personale e un impaccio nazionale. Una continua, insistita mistificazione della realtà, un'accorta epopea del banale per nascondere evidenze criminali vere e proprie: pervertendo infine e soprattutto la politica, che è la capacità di giudicare la realtà, creando consenso o dissenso su questo giudizio. La creazione, quindi, di un paese che non c’è, creazione che ha potuto attecchire in quell’artefatto immaginario collettivo che ha condotto allo stato grave dell’oggi per il quale la pubblica opinione, per dirla con Ezio Mauro, “non sta molto bene”. Scriveva Pina Picierno, secondo ritaglio che fa storia, sul quotidiano l’Unità del 21 di gennaio 2011 – “Questo Paese non è un rotocalco” -: Quello che abbiamo sotto gli occhi è un quadro desolante. Un'Italia di plastica in cui tutto è transazione, scambio commerciale, marketing dell'esistenza che nasconde e stravolge il paese reale: l'immagine di un vecchio riccone al potere che non sa più distinguere tra verità e menzogna, tra affetto e opportunismo, tra vita privata e indecenza pubblica. Un'Italia surreale, fatta di donne disposte a tutto pur di entrare nelle grazie del capo. Un'Italia distante mille miglia dai problemi, dalle fatiche e dall'impegno di milioni d'italiane. Di plastica, finto, è Berlusconi, la sua ossessione per la giovinezza, il suo circondarsi di graziosi ninnoli in carne e ossa e l'attenzione morbosa che rivolge loro. È di plastica la favola del principe ricco che, incantato dalla grazia di povere fanciulle, le aiuta con generosità. Di plastica è la sua patetica difesa, costruita sull'ennesima denuncia di una persecuzione da parte dei pm e sull'annuncio dell'esistenza di una presunta fidanzata ufficiale. L'ultima trovata di chi crede che tutto possa essere risolto con un casting e qualche fotoromanzo. (…). L'Italia trasformata in uno dei programmi tv che egli stesso ha creato, in cui essere famosi giustifica tutto, anche le umiliazioni. E le vittime di tutto questo sono i giovani italiani. A loro, in 15 anni di potere politico e mediatico berlusconiano, è stato proposto un solo modo di essere: quello per cui l'apparenza è tutto, la spregiudicatezza è fondamentale, tutto è concesso per vincere. E vincere significa essere famosi, a qualunque prezzo, per essere ricchi. Se non ci liberiamo di quest'uomo, delle sue ossessioni, del suo mondo di squallida finzione, sarà impossibile spiegare ancora ai nostri figli che l'impegno paga, che la fatica premia, che la bellezza e la dignità non sono separabili. Se non ci liberiamo di lui e del vergognoso rotocalco in cui ci ha costretti a vivere, dovremo spiegare ai nostri figli perché mai nessuno si è occupato di costruire un futuro, di risolvere i problemi del Paese, di creare occupazione per oltre 15 anni. (…). Ha chiuso Ezio Mauro il Suo editoriale di lunedì 12 di maggio così: La grande amnesia ha funzionato da amnistia generale, preventiva e definitiva. (…). Il virus galoppa anche per colpa nostra. Eppure il momento è questo, e siamo già in ritardo di vent'anni (…).

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