"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

giovedì 25 dicembre 2025

CosedalMondo. 93 “Leggere a Natale”.


(…), siamo una società viziata, che dà per scontati nuovi comfort sociali un tempo sconosciuti. È come se avessimo cancellato dalla memoria il percorso, duro e importante, fatto per arrivare fin qui. Questo da un lato è ingiusto e irritante, dall’altro minaccia di nascondere le vere situazioni di disagio, di penuria, di emarginazione. Ci si lagna per principio, anche quando non se ne avrebbe alcuna ragione, facendo un torto gravissimo a chi patisce vere sofferenze. Il proprio piccolo disagio diventa una tragedia, la catastrofe altrui un fastidioso dettaglio. Il benessere è una condizione fausta e desiderabile, ma ha dei lati odiosi. Riempie la pancia e svuota il cervello. Pochi mesi fa, in un paese di montagna, mi è capitato di sentire, alla cassa di un negozio, una cliente e la cassiera intonare la solita litania: “i politici rubano” e “non funziona mai niente”. Dalla vetrina si vedeva un elicottero levarsi in volo. Ho chiesto di che cosa si trattasse, mi hanno risposto che l’elicottero era venuto a prendere un signore ultranovantenne, colpito da un grave malore, per portarlo in un centro rinomatissimo di neurochirurgia. Servizio sanitario nazionale: tutto gratis. Ho pensato che non c’era alcun nesso oggettivo tra quella ciancia meschina e la realtà oggettiva di fronte a noi. Ma non avevo alcuna voglia di farlo notare, troppo faticoso. Speravo che la durezza della pandemia ci riportasse, obtorto collo, a una percezione un poco più lucida della nostra fortuna, che sicuramente non ci è stata regalata, ma meriterebbe ugualmente i “grazie” (…). Per molte persone non è stato così: considerano ovvio avere il vaccino gratuito, ovvia l’assistenza sanitaria, dovuta la fatica di chi si prodiga per far funzionare le cose. Fanno rabbia ma anche una notevole pena: non c’è sfortuna peggiore che non apprezzare ciò che si ha. Non c’è omissione più grave che sminuire condizioni di benessere e di protezione mai viste al mondo prima del nostro evo. (Tratto da “Avere tutto e non saperlo” di Michele Serra pubblicato sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” del 24 di dicembre dell’anno 2021).

LeggereANatale”. “Per chi non capisce la fortuna”, testo di Concita De Gregorio pubblicato sul settimanale “d” del quotidiano “la Repubblica” 20 di dicembre 2025: Buon Natale, gente. Prendetevi una pausa di gentilezza in questi giorni frenetici, se potete. Un piccolo momento di silenzio, cercate un posto dove stare da soli, cercatelo ovunque, anche il bagno va bene. lo mi sono chiusa in bagno per anni, quando avevamo tolto le chiavi alle porte perché i bambini piccoli non si bloccassero dentro che poi toccava chiamare il fabbro o i pompieri. E quando sono diventati grandi quelle chiavi non le abbiamo trovate più. Le abbiamo custodite in un posto sicuro, diciamo. Custodite per i posteri. Ho particolare affetto per il bagno, ci ho scritto dei libri, delle lettere memorabili che provo invidia per chi le ha ricevute, di solito ovviamente ingrati inconsapevoli ma non sempre, dai, non sempre. E poi, come diceva mia nonna: chi non capisce la fortuna è sfortunato. Ancora oggi, talvolta, quando corro e penso non ce la faccio, io non ce la faccio, mi chiudo in bagno e apro l'acqua della vasca. È un dissuasore potente, il rumore dell'acqua: tutti quelli che entrano senza bussare, cioè nel mio caso tutti, quando sentono l'acqua non entrano. È un fenomeno che devo approfondire. Ma dicevo della gentilezza. Sono anni che milito nella divisione della gentilezza, che è rivoluzionaria. Molto disprezzata, confusa con la cortesia e con la buona educazione, che orrore, la gentilezza va in direzione opposta allo spirito del tempo, è una staffetta della Resistenza eppure: schifata. Le mie migliori amiche, molte delle quali sono morte ma nessuno se ne va mai se non lo lasci andare, mi hanno insegnato a praticarla con devozione. Lisetta Carmi diceva che faceva entrare in stanza solo le anime bianche e gentili, perché «questo mondo sta finendo, non vedi?, ne verrà un altro giusto e gentile, dobbiamo prepararci, prepararlo». Adele Cambrìa sosteneva che l'aveva imparata da vecchi nella rissa». Mia nonna, quella catalana, ripeteva che chi strilla e urla lo devi considerare «come se fosse il rumore della pioggia. Ignoralo». Tra le mie amiche vive c'è Daniela Amenta, che si scompiscerà dalle risate a essere annoverata in questa categoria. Amo Daniela quando ride, sembra il mare di un'isola. È un talento strabiliante, una punkabbestia della vita, la persona più generosa e imprevedibile che conosco. È divertentissima e sa tutto di un sacco di cose ma specialmente di musica. Vi segnalo un diario, che tiene su una di queste piattaforme che ora vanno per la maggiore, si chiama Le cosette di Amenta. Parla quasi sempre (non sempre, no) di morti con grandissima allegria e con quello spirito sudamericano - lei non c'entra niente, col Sudamerica, ma chi può dirlo - che vuole vivi e morti sempre qui, sempre insieme. Lo avete letto Pedro Pàramo (Einaudi) vero? Juan Rulfo, lo conoscete? Ma dicevo di Daniela. L'altro giorno ha scritto una cosa sulla vecchiaia a partire dal fatto che è diventata allergica: nei suoi sette buchi alle orecchie dove prima metteva spille da balia e coperchi di latta ora neppure gli orecchini d'oro, porca zozza. Anche io mi innervosisco, nella mezz'ora mattutina del risentimento mi arrabbio coi miei nuovi disturbi, chi siete, chi vi ha chiamati. Poi ingentilisco, verso le dieci. Di solito, in bagno da sola. Di nuovo Buon Natale.

Il 25 di dicembre dell’anno 200* nostro padre ci ha lasciati. Grazie Concita.

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