"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

giovedì 4 dicembre 2025

CosedalMondo. 87 Elena Basile: «Il ceto politico, che ho avuto modo di conoscere, ha alcuni tratti comuni, la moderazione e l’obbedienza gerarchica. Soltanto in questo modo si fa carriera, si diviene classe dirigente. Mai si difendono posizioni personali, un’etica personale. Altrimenti si è automaticamente fuori dai circuiti che contano».

        Nella ricorrenza del cinquantesimo dalla scomparsa di Hannah Arendt.

In qualità di rane nella pentola, quali siamo tutti, cominciamo a sentire che la temperatura dell’acqua si alza piuttosto velocemente, che ci sono divise dappertutto, che la retorica bellica è ai massimi storici e abbiamo il sospetto che noi rane non debbiamo solo essere lessate per bene, ma anche istruite, educate e idealmente abituate all’idea della guerra. Piano piano, mattoncino dopo mattoncino, si costruisce la caserma, in un’architettura di menzogne, orpelli ideologici (molto semplici, peraltro: noi buoni, gli altri cattivi), dichiarazioni, intenti programmatici e annunci volitivi. La retorica della difesa è ormai stravolta, non solo dall’uso paraculum del famoso motto latino tanto caro agli azionisti di Leonardo (si vis pacem fai il granum con le armi), ma anche e soprattutto dal concetto di “attacco preventivo” rilanciato dall’ammiraglio Dragone. In soldoni, è quello che dicono i teppisti di strada: “Chi picchia per primo picchia due volte”, con la differenza che i teppisti di strada non hanno grandi industrie che campano producendo coltelli e tirapugni, mentre i generali Nato sì, e ciò li rende pericolosi a sé (e chissenefrega) e agli altri, cioè noi (e questo sì, è un problema). L’effetto accumulo è abbastanza spaventoso, dal ministro delle armi Crosetto che parla di leva volontaria (traduco: una milizia), all’ammiraglio che vuole passare all’attacco chiamandolo “difesa”, ai questionari distribuiti agli studenti (“E tu ti arruoleresti?”), agli ufficiali che vogliono un corso di filosofia tutto per sé all’Università, alle fiere di armi a cui vengono portati in visita i ragazzini delle scuole, ai piccoli inconsapevoli Balilla che gridano Giorgia-Giorgia alla presidente del Consiglio che sale su un aereo da caccia. Fino all’accrocchio un po’ estemporaneo della “guerra ibrida”, che punta a un controllo delle opinioni non allineate: se sei critico su guerra e riarmo vuol dire che stai col nemico, quindi sei filo-russo, o filo-Hamas, e quindi ti zittisco legittimamente. Si aggiungano quei bei servizi televisivi su aerei, droni, sistemi di puntamento, tecnologie militari di cui si parla come se fossero l’ultimo modello di fuoriserie, con l’orgoglio che traspare dalle veline dei costruttori, molto ricchi e quindi molto capaci di orientare l’informazione (la guerra ibrida c’è, ed è contro di noi). E del resto, follow the money, come sempre, segui i soldi, per esempio quei 679 miliardi di dollari di ricavi globali dell’industria degli armamenti registrati nel 2024 (report Sipri), con gli Stati Uniti campioni d’incasso, ovvio, e l’Europa in grande spolvero (la locomotiva tedesca la traina un carrarmato, per dire). Too big to fail, si diceva una volta dei grandi comparti economici: troppo grandi per fallire, ed eccoci all’oggi. La crisi del mercato dell’auto risolta con la riconversione bellica, i fenomenali rendimenti delle aziende di morte quotate in Borsa, i reparti ricerca & sviluppo bisognosi di cavie umane (compito riservato ai civili palestinesi), l’intelligenza artificiale applicata alla guerra. Il mondo non è pronto per lo scoppio della bolla macroeconomica di simili dimensioni, e se l’economia planetaria è economia di guerra, va bene, avremo la guerra per il semplice fatto che conviene ai padroni dell’economia mondiale, che permette a un sistema che non funziona di tirare avanti con l’unico metodo che conosce: quello del rilancio senza limiti, dell’all in sul tavolo da poker. Dove le fiches sacrificabili siamo noi rane. Caldo, eh? (Tratto da “Armi&Soldi. La guerra ibrida esiste, ma il vero bersaglio siamo tutti noi” di Alessandro Robecchi).

“La squallida zona grigia delle élite occidentali” di Elena Basile: La classe dirigente, malgrado il tracollo intellettuale e morale, ha una dote importante. Il senso di appartenenza produce lealtà e solidarietà all’interno, tra i politici, anche se appartengono a campi avversi, tra analisti, tra diplomatici, funzionari amministrativi, tra giornalisti e guru dei talk show. Nel mondo dell’opposizione alle destre e al centrosinistra a esse molto simile, anche se in genere si riscontra un livello di onestà intellettuale maggiore, non esiste la collaborazione tra piccoli leader, giornalisti, analisti, tribuni ammessi da mamma tv. Si tratta di segmenti schizzati, ciascuno va per sé. Gli oppressi sono monadi che non sfuggono al magnetismo del potere. Come non ricordare l’analisi lucida e disperata di Primo Levi della zona grigia, delle complicità che non salvano gli offesi? Mi balza agli occhi quotidianamente questa grave debolezza del mondo composito di movimenti e associazioni che condividono la critica alle politiche europee bellicistiche, pronte a una guerra con una potenza nucleare, la Russia, collaborazioniste col criminale di guerra Netanyahu. Se il dissenso fosse unito, se elaborasse anche dal punto di vista teorico un’istanza politica credibile, se cooptasse l’intellighenzia che esiste e lavora nell’ombra, potrebbe attirare il non voto, costituire una speranza per la rifondazione della democrazia. Ogni qualvolta ascolto uno scrittore, un intellettuale, un analista illuminato che, pur tentando di appellarsi alla oggettività delle dinamiche internazionali, si vede obbligato a fare concessioni alla propaganda del regime Nato, pronunciando condanne astoriche di Hamas oppure arrendendosi allo slogan aggredito/aggressore, sento che la zona grigia avanza e ci inghiotte. E allora torniamo a dirlo, nella purezza delle nostre convinzioni, che non c’è nulla di etico nell’immonda difesa della continuazione della guerra in Ucraina da parte delle oligarchie europee. L’Ucraina è stata sin dal 2014 la vittima dei progetti di dominio neoconservatori Usa che volevano pervenire allo smantellamento della Federazione russa. Un Paese è stato utilizzato per un esperimento bellico, un popolo è divenuto carne da cannone. La Russia ha violato il diritto internazionale (annessione della Crimea 2014 e invasione dell’Ucraina nel 2022) in quanto il colpo di Stato a Kiev ha reso evidente che gli oligarchi occidentali avrebbero facilmente posto sotto il loro controllo la base di Sebastopoli, strategica per Mosca dai tempi dello Zar. Dopo sette anni di diplomazia, di presa in giro occidentale (confessata da Merkel e Hollande), degli accordi di Minsk e di guerra civile, di massacri da parte dell’esercito di Kiev di civili russofoni, colpita da sanzioni economiche che altro non sono che la dichiarazione di guerra della Nato a Mosca, la Russia ha invaso l’Ucraina nel febbraio del 2022 per arrivare a un compromesso nel marzo dello stesso anno. Dopo un mese, l’Ucraina, senza perdere territori, avrebbe potuto essere un Paese neutrale e europeo. Le élite globali hanno deciso che essa doveva invece sanguinare per i progetti di dominio di Washington, per salvare il capitalismo piegato dal debito, bisognoso di nuove materie prime. Mosca ha violato le frontiere di uno Stato fantoccio, che aveva ormai rinunciato a rappresentare gli interessi del popolo ucraino, divenendo uno strumento foraggiato di armi, intelligence e mercenari per l’attacco alla Russia. Una guerra esistenziale dunque, quella di Mosca, per difendere la propria sovranità. Il diritto onusiano, sbandierato da noi occidentali per l’invasione della Libia, la responsabilità di proteggere, è stato invocato dalla Russia a cui le popolazioni russofone bombardate si erano rivolte. Ascolto Tajani e Gentiloni, che ho conosciuto come ministri degli Esteri, invocare la continuazione del sacrificio dei ragazzi ucraini al fronte contro i tentativi di mediazione in corso tra Trump e Putin e mi sembra impossibile che due uomini moderati, miti di carattere, possano sporcarsi le mani di sangue e sostenere la nuova Europa scandinava, baltica, polacca, che ha abbracciato la retorica bellicista del ventennio fascista. I territori, la pace giusta! Il ceto politico, che ho avuto modo di conoscere, ha alcuni tratti comuni, la moderazione e l’obbedienza gerarchica. Soltanto in questo modo si fa carriera, si diviene classe dirigente. Mai si difendono posizioni personali, un’etica personale. Altrimenti si è automaticamente fuori dai circuiti che contano. Come è allora possibile che queste classi dirigenti europee si ribellino all’egemone Trump, e al di fuori del quadro istituzionale della Nato, e in spregio alla Costituzione, caldeggino la guerra? Ritorna la domanda che inquieta: a chi rispondono? Questo il nodo. Le polemiche contingenti, viva la Schlein, abbasso la Meloni, servono a poco se non abbiamo risposte ai quesiti essenziali.

N.d.r. Ambedue i brani sopra riportati sono stati pubblicati su “il Fatto Quotidiano” di ieri, mercoledì 3 di dicembre 2025.

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