“Storytelling, dica lei…”, testo di Angelo Flaccavento pubblicato sul periodico “U” del quotidiano “la Repubblica” del 30 di ottobre 2025: Signore, per piacere, si fermi. Ci racconti la sua storia, lei che di tutte le storie è il re, la voce cui tutti ricorrono per vendere prodotti inani o raccontare il proprio insulso quotidiano, lei che è lo strumento imprescindibile per la trasmissione di sé, oggi che l'esistenza stessa è una sorta di infinita televendita. Si fermi, signor Storytelling, e confabuli con noi. «Pur volendo, non potrei, mio caro interlocutore: sono poco interessato, e per nulla incline, al conversare. Tutto quel che so fare è confondere, irretire, intortare, in prima persona. Della gente mi cale il minimo indispensabile, solo e sempre come spettatori imbambolati; il dialogo non mi stimola nemmeno un po'. Mi basto. Quel che mi piace e appaga è il bagliore che emano, calamitare tutte le attenzioni. Sono così convincente in questa attività egotica e prodiga di emozioni a buon mercato, che ipnotizzo un po' tutti».
Impossibile darle torto. A causa sua è tutto un fiorir di storie e storielle, di apologhi e raccontini, banali assai però, addirittura triviali, eppure capaci di muovere le masse. Come ci riesce? «Suppuro gli ego, con la promessa del "puoi farlo anche tu": è questo il senso delle mie attività, la ragione del mio dilagare. Influencer, tiktoker, bricoleur del self-streaming che ritengono degna di una immortalità di pochi secondi la loro trita esistenza, le loro più banali attività e il loro stile prezzolato sono i miei ambasciatori. È grazie a loro che sono diventato chi sono».
Questo è chiaro. Meno, invece, a che pro avvenga tutto ciò. «Per puro godimento personale, per sopperire alla noia, per guadagnare un sentimento di importanza. Tocco nervi così scoperti da unire in un solo affiato esibizionisti e voyeur, aspiranti guru e follower. Ho imposto una trasmissione a reti unificate a uso, consumo e stordimento generali, convincendo che si viva veramente solo se le esperienze passano dallo schermo e, truccate a dovere, le si schiaffa in faccia a tutti con prove tangibili e riproducibili. Digito ergo sum, e addio ricordi che nutrono memorie incancellabili perché sempre lì in bilico sul crinale dell'oblio. Non si coglie l'attimo, ma lo si registra e distorce per farlo vedere agli altri. Splendido, no?»,
Tutto questo non sottrae dal presente, non distrae dalla vita? «Si, ma ne giova il marketing, di persone e prodotto. C'è sempre qualcosa da vendere a qualcuno che guarda».
Da strumento di comunicazione lei sembra però essere diventato centro di gravità permanente. Dei fatti e forse anche dei prodotti non frega più niente a nessuno: si racconta per raccontare, si parla per parlare, e lei stesso da strumento si è fatto merce, in un cannibalismo feroce di chi la spara più grossa e sorprende con la storia più inaudita. «Sono un pubblicitario, vivo di mistificazioni e delle pappe in cui riduco i cervelli. Ma le ricordo che incantare con le parole, mitizzare, affabulare è una delle più sincere esigenze umane, da sempre. È dalle caverne che l'uomo racconta balle. Io ho solo portato questa attività a nuove vette, a nuovi livelli di eccitante stordimento, facendo a meno della verità. Vedere le cose come stanno non piace a nessuno. Io offro filtri, chiavi di lettura, punti di vista e punti di fuga. Almeno, questo è lo storytelling di me Storytelling».

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