"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

martedì 11 novembre 2025

CosedalMondo. 77 Carlo Maria Martini: «Se ciascun popolo guarderà solo al proprio dolore, allora prevarrà sempre la ragione del risentimento, della rappresaglia, della vendetta».


(…). nel nostro tempo non possiamo non constatare come la religione, proprio nei suoi aspetti più fondamentalisti, sia ritornata prepotentemente sulla scena. Al centro non è certamente la dimensione spirituale della religiosità, ma il nesso pre-illuminista che aveva vincolato strettamente la religione al potere. Quello che ritorna non è un Dio che scuote e interroga le coscienze, ma il suo rovescio mostruoso: un Dio ridotto a essere uno strumento ideologico del potere. È questo il denominatore comune che unisce figure politiche distanti tra loro quali sono quelle di Donald Trump, Vladimir Putin, i leader di Hamas, Benjamin Netanyahu e i suoi ministri che sostengono il massacro inaccettabile di Gaza insieme alla colonizzazione selvaggia delle terre palestinesi. In evidenza è il ricorso a Dio come sostengo inossidabile della politica, della follia della guerra o della propria affermazione personale. Si tratta di un uso perverso della religione che storicamente non è affatto nuovo. Per questo il luterano Dietrich Bonhoeffer ricordava criticamente che Gesù non è venuto a chiederci di aderire a una nuova religione, ma alla vita. Il richiamo continuo di Putin ai valori della tradizione e alla fede ortodossa, a Dio come garante della Santa Madre Russia che benedice i suoi confini e i carri armati santificando l’annientamento dell’Ucraina nazista e corrotta dall’Occidente, mostra la religione non tanto come antidoto dell’odio e della violenza ma come un suo terrificante amplificatore. Trump mobilita un’altra Chiesa: non quella istituzionale, ma quella dei patrioti, degli eletti, dei veri americani. Il suo Make America Great Again ha i caratteri del mantra religioso, è un appello a un’età dell’oro perduta da riconquistare. La sua fede è performativa, il suo Dio è colui che lo riconosce narcisisticamente come esso stesso divino in una sorta di delirio megalomanico a due. La reazione alla cultura liberal avviene anche in questo caso attraverso la difesa orgogliosa dei principi fondamentali della tradizione che trovano in Dio il loro fondamento ultimo. Si tratta di forme di religione, come direbbe Kierkegaard, anti-spirituali: Putin non invoca Dio per elevarsi spiritualmente, ma per scavare un fossato tra la «civiltà russa» e «l’Occidente decadente». La sua, come quella di Trump, è una religione della purezza etnica e culturale, un’arma identitaria che esige la vittoria sui nemici. In Medio Oriente la dinamica è ancora più tragica. I leader di Hamas e Netanyahu giocano la stessa partita sul corpo straziato dei loro rispettivi popoli. Da una parte un Islam delirante ridotto a una ideologia della violenza e della morte, dove il martirio terrorista viene invocato come l’unica forma di vita degna di essere vissuta contro l’oppressore: nei loro discorsi i leader di Hamas più che legittimare il diritto alla resistenza del popolo palestinese inneggiano alla distruzione dello Stato di Israele. Dall’altra parte un sionismo trasformato in nazionalismo messianico che trasfigura la Terra Promessa in una fortezza da difendere mediante l’espansione cruenta e illegittima, giustificata per diritto divino. In entrambi i casi l’evocazione di Dio risponde alla finalità perversa di esercitare la violenza della distruzione senza rimorso in quanto compiuta nel nome del Bene. La fede religiosa qui non pacifica, non unisce, ma divide e uccide. In questo schema non c’è spazio per il dubbio, per la domanda, per la parola. Siamo di fronte all’architettura fanatica di un’identità senza alterità, dell’Uno-tutto che esclude l’incontro con il Due. Il fondamentalismo religioso fornisce la cornice sacra e inviolabile a questo schema. Dio non è più colui che preserva il comandamento “non uccidere”, ma è colui che, in un cortocircuito perverso, legittima l’uccisione nel suo nome. Non a caso la Bibbia non accusa mai l’ateo, ma solo l’idolatra poiché conosce bene dove può portare la pretesa religiosa di essere proprietari esclusivi della verità. Quando Gesù, al termine della tremenda notte del Getsemani, viene aggredito e arrestato dai soldati e un suo discepolo cerca di difenderlo alzando la spada, egli interviene interrompendo la lotta, come se dicesse, con grande chiaroveggenza, è il caso di dire, “nessuna guerra di religione in mio nome!”. Trump che sovverte le norme democratiche, Putin che perseguita il dissenso interno rafforzando il proprio potere personale, Netanyahu che mina la Corte Suprema e scatena una guerra immonda contro un popolo inerme, Hamas che impone, sempre nel nome di Dio, la sua legge con la violenza, innanzitutto al popolo palestinese. In questa strana congiuntura storica la religione non è più, come riteneva a suo tempo Marx, «l’oppio dei popoli» che alimentando la credenza illusoria in un mondo aldilà del mondo, depotenziava le istanze critiche di cambiamento, ma diviene un combustibile micidiale che scatena un odio perpetuo. Non serve a pacificare ma a eccitare, a mobilitare le masse non verso un ideale di giustizia e di pace ma verso il godimento di sentirsi dalla parte giusta della storia, il godimento della distruzione del proprio nemico umiliato e annientato. È un tunnel senza uscita. Sarebbe invece necessario uno sforzo collettivo estremo. Lo ammoniva a suo tempo il cardinale Martini: «Se ciascun popolo guarderà solo al proprio dolore, allora prevarrà sempre la ragione del risentimento, della rappresaglia, della vendetta». (Tratto da “Il potere che si fa religione”).

“Calunnie e guerra non in nostro nome”La storia non sarà Maestra di Vita, ma qualcosa ogni tanto la insegna sul serio. Per esempio attraverso certi illustri aforismi di lontana origine ellenico-romana o biblica, trasformati magari in “verità da Bar dello Sport”. Come quello, di antichissimo sapore ma difficile da rintracciare alla lettera nonostante Wikipedia – parte forse da Sun-Tzu, forse dal Machiavelli – secondo il quale, quando un qualche potere statale si sente arrivato in fondo alla sua parabola e ormai in trappola e in via di liquidazione fallimentare, ha a disposizione solo due vie d’uscita: o dichiara bancarotta o scatena una guerra. La dichiarazione di bancarotta è più agevole e diretta: certo però implica il riconoscimento di una sconfitta che si può anche attribuire alla malasorte o al destino cinico e baro, ma che insomma comporta esplicitamente o no l’assunzione della responsabilità dei propri errori. Più decorosa e meno certa negli esiti (in fondo, sul campo di battaglia si può anche vincere…) è la dichiarazione di una guerra. Ma per essa occorrono due elementi: una “buona causa” (sic) e un nemico opportunamente scelto. Quanto alla causa, è presto detto. A sant’Agostino, secondo il quale per dichiarare legittimamente una guerra occorre una buona causa, risponde implacabile lo Zarathustra di Nietzsche: “Vi è stato detto che una buona causa santifica anche la guerra: ma io vi dico che una buona guerra santifica qualunque causa”. Per il nemico, è ancora più facile. Il più adatto è quello che Hannah Arendt indica come il “Nemico metafisico”: vale a dire quello identificabile come il Male assoluto. Secondo la Arendt, però, l’identificazione del Nemico metafisico (un obiettivo inesistente in quanto realtà storica) è necessaria solo ai totalitarismi: può essere l’Ebreo, il Capitalista, l’Ateo, il Fanatico religioso, il barbaro. Ma ecco qua un altro insegnamento della storia, che qualcosa deve pur insegnare: nella realtà delle cose il Nemico metafisico-Male assoluto lo si può facilmente evocare sempre, in qualunque momento, e non c’è bisogno di avere a disposizione un totalitarismo per costruirlo. Basta una bella propaganda. Ebbene: è proprio quel che vediamo crescere nell’Europa dei nostri giorni. Un po’ meno negli Stati Uniti governati dal bisbetico, imprevedibile Trump: ma nell’Europa, terra dalla buona Frau Von der Leyen e dai suoi divertenti compagni di cordata la cosa è più facile. È un’erba che ci vediamo crescere attorno ogni giorno, nel nostro orticello. Lo svolgersi della guerra “russo-ucraina”, ormai piuttosto russo-occidentale, che sembra ogni giorno sul punto di concludersi e non finisce mai, è il contesto opportuno per evocare ed esorcizzare il Nemico metafisico – Male assoluto, una definizione che da sola richiama alla perfezione l’Antico Serpente, il Demonio. Che veglia là, nel fondo della steppa, chiuso nella sua fortezza dalle torri sormontate da stelle rosse e da aquile bicipiti. Non è, non può essere solo un uomo. Finora abbiamo cercato di descriverlo per mezzo di benevoli eufemismi (“nuovo zar”, “feroce tiranno”, “pazzo furioso”, affetto da millanta malattie, disperato leader di un paese allo sbando). Ma ormai lo abbiamo finalmente smascherato come il Male, grazie ai Nostri Eroi. E costoro, chi sono mai? Facile e breve enumerazione. Per esempio il presidente francese, ora che si sente alle strette da quando il suo stesso primo ministro ha evocato lo spettro del fallimento per debiti che sta minacciando la Francia: e Macron, dopo aver pronunziato la definitiva excusatio non petita secondo la quale egli avrebbe comunque diritto a concludere il suo mandato democratico qualunque cosa accadesse, ha ribadito che il vero Nemico della Francia, della Civiltà, della Libertà è quello là, Vladimir Putin, “l’Orco”. Che è come dire il diavolo. Il responsabile di tutti i nostri mali, che non vuol far finire la guerra contro l’Ucraina bensì continuarla ed estenderla, magari fino agli estremi limiti occidentali d’Europa. E i solerti ministri macroniani ripetono a ogni piè sospinto che, con la Russia, “siamo ormai alle soglie del conflitto”, o praticamente già dentro. Façon de parler, senza dubbio. Metafore. Però… Al presidente francese fa puntuale eco il cancelliere tedesco, dietro la cui faccia da ragioniere del catasto si cela l’indomito Ricostruttore della Wehrmacht risorta dalle sue brune ceneri. Per Merz, Putin è ormai il nemico numero uno dell’Unione europea e ne sta preparando l’aggressione: quel che si sta sognando a Berlino è un nuovo 22 giugno 1941, una nuova “Operazione Barbarossa”. Difensiva, stavolta: sia chiaro. Il contagio bellicista dilaga. Se nei bombardamenti russi di Kiev e Zaporizhzhia, presentati come apocalittici, le vittime si contano in realtà sulla punta delle dita, la supposta ferocia russa riempie in cambio i piccoli schermi delle nostre case dai quali sono scomparse le migliaia di morti palestinesi di Gaza. E l’atletico ministro meloniano Abodi può dichiarare che a giusto titolo le squadre russe vanno espulse da tutte le gare sportive internazionali per gli orribili crimini di guerra commessi dal loro governo, laddove giammai Israele potrà subire analoga sorte dal momento che a Gaza come altrove essa si limita a difendere il suo diritto all’esistenza e all’autodifesa. Ebbene: io non ci sto più. E parlo anche per un nutrito gruppo di amici e colleghi che farà a breve sentire la sua voce. Noi italiani, noi europei, non meritiamo l’onta di dover sopportare in silenzio quest’infamia diventandone complici. Le calunnie contro la Russia e a favore di una guerra che a ritmi sempre più stretti si prepara non dovranno e non potranno venir proferite con il nostro avallo. Come cittadini, lo dichiariamo apertamente riservandoci il diritto di dimostrarlo con fatti concreti. Se si sta preparando davvero una guerra, ciò non avverrà con il nostro assenso. NON IN NOSTRO NOME.

N.d.r. I testi sopra riportati sono a firma - nell’ordine della presente pubblicazione - di Massimo Recalcati per il quotidiano “la Repubblica” e di Franco Cardini per “il Fatto Quotidiano”. Ambedue testi sono stati pubblicati, sui rispettivi quotidiani, il 3 di settembre 2025. Tutte le “foto-citazioni” di questo blog sono dovute alla cortese collaborazione della carissima amica Agnese A.

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