“StorieDiDonne”. 1 “A meno che non si dia fuoco”: (…). Negli ultimi tempi Michela (Michela Murgia n.d.r.) mormorava il dubbio che, se si fosse offerta un po' meno a petto aperto alle ingiurie dei miserabili, si sarebbe consumata un po' meno. Ma era la sua indole. Non poteva vivere senza una contesa, si accendeva nello scontro. Molti anni fa, quando era ragazza, molti anni prima che diventasse l'obiettivo chiarissimo ed evidente di ogni contumelia nemica, chiamava al telefono, la mattina, e diceva: con chi ci dobbiamo arrabbiare oggi? Non diceva arrabbiare, ci siamo capiti. Credo che il dubbio sulla consunzione le sia venuto come viene a chiunque sia divorato da una malattia mortale: una magnifica terapeuta che ho avuto la buona sorte di incontrare nel mio cammino di cura me lo ha spiegato bene, sulla base della sua esperienza clinica. Mi ha rivelato con parole semplici quel che sentivo e non mi azzardavo a dire. Noi, tutti, abbiamo in potenza la possibilità di ammalarci. Il nostro organismo è come il quadro di una consolle, pieno di tasti. Ci sono degli interruttori. Se li tocchi - o se qualcuno li tocca - si attivano. Noi sappiamo, il nostro corpo sa perfettamente cosa innesca la malattia. Un dolore grande, un disamore, un abbandono, un lutto, un torto subito. Un'ingiustizia. Un conflitto esasperato e costante. Un tormento. Le grandi storie raccontate dal cinema e dalla letteratura sono lì a dircelo ma sì, ovvio, è solo una suggestione artistica, non è una tesi scientifica. Eppure è la realtà. Tutte e tutti sappiamo che c'è sempre un danno all'origine del male che divora. Io so dove nasce il mio guasto, da cosa origina, da chi. (Jorge Luis Borges è stato uno scrittore presto diventato cieco, già da prima misogino e dispotico, autore di capolavori assai celebrato. Un profittatore di talenti altrui, anche e di passaggio, sarebbe lungo l'elenco dei suoi debiti inevasi. Citerò solo Silvina Ocampo fra chi scrisse senza un grazie parecchie delle sue pagine. Era, oltre che un genio, uno stronzo - detto molto semplicemente. Ma anche Picasso era uno stronzo, eppure lo pensiamo Picasso. Si può essere geni ed essere anche stronzi, andrà pur detto. Alfonsina Storni, argentina, era una poeta magnifica che ha anticipato di un secolo i temi di cui parliamo ancora oggi, leggete se potete - tra le sue liriche - Tu mi vuoi bianca e sappiatemi dire). Nel 2025 in Italia, Occidente evoluto, il dibattito di pensiero continua ad essere appannaggio di maschi caucasici anziani. Ogni tanto compare una donna, al sesto o settimo posto, perché sarebbe brutto se no: presto, cercatene una. Non c'è mai, mai, un tema che una femmina ponga per prima a meno che non sia vedova, orfana, parente appendice e testimone di eroismi altrui. Vittima secondaria. A meno che non si dia fuoco, altrimenti, e che non muoia. Certo, costa fatica.
“StorieDiDonne”. 2 “Superstiti non ce ne sono”: Quando non si possono eliminare le storie è più semplice cancellare chi le racconta. Descritta alternativamente come ricattatrice, puttana, drogata, alcolizzata e bugiarda, Virginia Giuffre si è tolta la vita quest'anno, nel giorno di aprile in cui in Italia si festeggia la Liberazione. Lo ha fatto in Australia, a un'ora di macchina da Perth, perché per le catene che l'avevano imprigionata fin da bambina, pur viaggiando agli antipodi del suo mondo, non aveva mai trovato la chiave. In Via col vento, Rhett Butler suggerisce che «chi ha molto coraggio» possa fare a meno di una «buona reputazione». Virginia Giuffre, usata, ferita, venduta, comprata, minacciata e poi abbandonata al confine del proprio personale inferno, ne ha dimostrato moltissimo sacrificando l'onorabilità - un concetto ozioso, quando a iniziare dalla dolcezza si è perso tutto - alla verità. La sua vicenda, insostenibile, è descritta nel libro Nobody's girl, che ogni tanto fa paura più di un'antica fiaba e non meno di un film dell'orrore. È un testo feroce da cui impariamo che Barbablù non è esclusiva delle fantasie di Perrault. È un libro istruttivo da cui intuiamo che il valore di un'esistenza, nel lusso circondato dalle palme di un'isola o in un vicolo di Port Moresby, può essere sorprendentemente simile e avvicinarsi allo zero. Il primo dei tanti mostri che approfittarono di lei e di cui incrociò la traiettoria, Virginia Giuffre lo incontrò a sette anni. Era un amico di famiglia rimasto anonimo, a differenza degli orchi che vennero dopo, capitani d'industria, finanzieri e annoiati ereditieri ricchi e famosi che all'epoca in cui Giuffre era già precipitata nella rete di Jeffrey Epstein e Ghislaine Maxwell, la fecero sentire «come un piatto di frutta». Offerta agli ospiti di Epstein, data in pasto agli appetiti di varia e voracissima natura del microcosmo che con l'ex insegnante ed ex bancario - poi diventato consulente finanziario e lenone in una scalata in cui il mistero dà la destra alla nebbia - facevano affari e vacanze, Giuffre smise di essere Virginia. Sognava di diventare una massaggiatrice. Lavorava a nove euro l'ora impilando asciugamani e annerendo registri in una spa a Mar-a-Lago. Finì per mettere in fila gli eventi, ricostruire le tappe, ricordare nomi, volti e abiezioni, muovere accuse, preoccupare famiglie reali, presidenti ed ex presidenti, agitare stimatissimi studi legali, decidere, come il Levene di Mamet in Glengarry Glen Ross, che "è arrivato il momento di smettere di far finta di niente", Virginia Giuffre ha riconosciuto l'irripetibilità di quel momento e ha combattuto. Non ha vinto. Non ha trovato requie. Ha visto affievolirsi la sua voce perché è così che accade quando il limite di ciò che può essere detto supera l'immaginazione. Gli altri si voltano, abbracci e solidarietà diventano un'eccezione. È stata circondata dal silenzio per 41 anni, Virginia Giuffre, e alla fine, in un tramonto triste, velato e senza luce, avrebbe voluto tacessero anche i rumori di fondo e sparissero i fantasmi, quelli che nessuna giustizia a posteriori, transazione economica o latitudine potevano eliminare dalla mappa. Superstiti, nella storia di Virginia così vicina e così lontana a quelle delle tante altre ragazze che hanno denunciato Epstein, non ce ne sono. Sono morte tutte, anche quelle che hanno l'illusione di avercela fatta. Di averla scampata. Di essere ancora qui tra noi. Di Virginia rimangono alcune foto. Alcune espressioni. A 16 anni, con i suoi aguzzini: un lampo triste negli occhi, un'assenza. A 35, in una serata di gala, appoggiata a un muro con il logo dell'associazione che la premia, con l'aria di chi sogna che finisca tutto al più presto. A 41, con i postumi di un oscuro incidente stradale a pochissimi giorni dal suo suicidio, spaventata, arresa, distante, pronta all'addio.
N.d.r. I testi sopra riportati sono a firma di Concita De Gregorio e di Malcom Pagani e sono stati pubblicati sul settimanale “d” del quotidiano “la Repubblica” del primo di novembre 2025.

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