“Leggere”. “Il mondo va in pezzi ma la festa è qui”, testo di Saverio Raimondo – dal primo capitolo del volume “Annus Horribilis”, edito da Sem, pagg. 144, euro 15 – riportato sul settimanale “Robinson” del quotidiano “la Repubblica” del 26 di ottobre 2025:
Questa scena si svolge nel 536 dopo Cristo, l'anno peggiore della Storia.
Io mi ammazzo!» strillò Licia in faccia al marito, così forte da fargli tremare le guance come due gelatine. Non era certo la prima volta che minacciava il suicidio. La prima fu anni addietro, durante una cena all'aperto, quando un passero comune adottò come nido una sua elaborata acconciatura e vi depose le uova; l'ultima, in ordine di tempo, soltanto il mese precedente, quando suo marito le aveva comunicato che i loro soldi si stavano esaurendo. In entrambi i casi, e in quelli in mezzo, si era trattato di escandescenze prive di conseguenze: Licia non aveva mai tentato seriamente di togliersi la vita, aveva sempre e solo emesso degli acuti - alcuni dei quali realmente notevoli per estensione vocale, tanto che avevano suscitato nel vicinato più ammirazione che allarme. Stavolta però non si trattava dei soliti gorgheggi: Licia diceva sul serio. Gaio lo capì dal tono disperato della sua voce, dall'espressione sconvolta del viso, e dal fatto che brandiva un pugnale. «Metti giù quel coso, anzi ridammelo, è mio» le intimò lui. «Potrai riprendertelo quando sarò morta, sfilandomelo dal cuore» gridò Licia, puntandoselo al collo. Gaio avrebbe voluto farle notare che quello non era il cuore, ma nell'avvicinarsi a lei inciampò nei lacci dei suoi stessi sandali, e per non cadere mise le mani avanti, cioè addosso a Licia. A quel punto, già che c'erano, moglie e marito ebbero una rapida colluttazione, durante la quale, dopo vicendevoli morsi e calci sugli stinchi, lui riuscì a strapparle di mano il pugnale - ma dalla parte della lama. «Ahia» Gaio si era tagliato un dito. Niente di grave, solo un taglietto, ma la sua condizione privilegiata lo aveva sempre tenuto alla larga dal dolore fisico, a parte la gotta. Si infilò in bocca il dito sanguinante ma in modo troppo energico, giù fino in gola, tanto che si strozzò e si mise a tossire. Licia, ora disarmata, si afflosciò a terra; ma subito si rialzò di scatto, perché il marmo del pavimento, benché lustro, era troppo freddo per fingersi svenuta. Si mise a piangere, e per dare maggiore drammaticità al tutto iniziò a tirarsi i capelli, ma stando ben attenta a non strapparseli. «Questa non è più la mia vita», piagnucolò. «Prima in questa casa si rideva, si danzava... C'era musica fino all'alba, e la gente veniva qui persino da Capua per banchettare assieme a noi. Ora invece dove sono finiti tutti quanti? Sono mesi che non abbiamo più ospiti». «Licia, la gente non esce più di casa, fa troppo freddo». «Non è forse riscaldata questa villa? Diremo ai nostri servi di accendere un grande braciere in ogni stanza». «Abbiamo più di una ventina di camere, vuoi forse appiccare un incendio? E poi il problema non è solo il gelo. La gente non può più camminare per le strade, è sempre buio e le persone adesso vengono rapinate non soltanto nei vicoli, anche nelle piazze. Proclo l'altra sera è stato aggredito e derubato di tutto, persino delle sue vesti; lo hanno lasciato nudo, con questo freddo! E infatti è morto, stecchito. Lo hanno trovato pochi giorni dopo in un fosso, tutto rannicchiato, praticamente senza denti per quanto deve averli battuti, e sul fianco rivolto a nord gli si stava già formando il muschio. A Fozio è andata meglio, almeno dopo che lo hanno rapinato gli hanno tagliato la gola ed è morto nel caldo del suo sangue. Alto com'era, mi chiedo come abbiano fatto i malviventi ad arrivare con il coltello sin lassù, evidentemente dovevano avere anche uno sgabello». Licia sbuffò: «Mi stai annoiando». «Io parlo di gente che muore sgozzata, e lei si annoia». «Sì perché non c'entra nulla con quanto ti sto dicendo io. La gente viene ammazzata per strada, mica in questa casa. I nostri ospiti qui sarebbero al sicuro, cosa le abbiamo fatte a fare sennò il mese scorso quelle mura così alte attorno alla villa? Solo per rovinarci il panorama?». «Quale panorama? Non c'è più nessun panorama, solo nebbia». Ma Licia nemmeno lo stava più a sentire: «Possiamo dare una grande festa per non pensare a quello che sta succedendo là fuori, e in foresteria abbiamo decine di posti letto, i nostri ospiti se vogliono possono dormire qui e aspettare che tutto finisca prima di tornare a casa». «Tutto cosa? Quest'eclissi perenne? La guerra? Potrebbero volerci anni». «Vorrà dire che resteranno qui degli anni». A Gaio prudevano le mani. Sua moglie era una deficiente. Avrebbe voluto rimetterle il pugnale in mano e lasciare che si suicidasse una volta per tutte, un rito funebre gli sarebbe costato meno di quella festa. Ma Licia era bellissima - anche adesso, con il broncio - e a Gaio quel viso chiaro con le labbra rosse e le palpebre scure gli rimescolava il sangue ogni volta, pompandoglielo dal cuore ai corpi cavernosi e ritorno senza deviazioni, tantomeno verso il cervello; era così bella che lui negli anni le aveva perdonato tutto, persino il fatto di non avergli mai dato un figlio. Licia era un tipo decorativo, e Gaio un uomo così attento ai dettagli da perdere la visione d'insieme: lui l'amava - sì, l'amava! - proprio perché, così serio e tutto d'un pezzo, era fatalmente attratto dalla frivolezza e dalla superficialità. Forse, dei due, il cretino era lui. Licia invece per Gaio non provava niente, al massimo un po' di fastidio. Lui era basso, senza capelli e con i fianchi pesanti; ma era ricco, quindi un ottimo marito. Sposandolo, Licia aveva fatto di Gaio il suo destino, e lei sarà anche stata una sciocca ma non così tanto da non sapere che il destino non lo si combatte né si può cambiare, lo si accetta così com'è e poi al massimo lo si aggiusta un po', come l'orlo di una veste. Quello che Licia però non poteva accettare era questa vita vuota e inutile che conduceva da mesi. Licia amava essere al centro dell'attenzione, ma ora che non vedevano più nessuno si sentiva sprecata e senza senso: non sapeva che farsene delle buone maniere, della sua classe, del suo senso di superiorità. Licia continuava tutti i giorni a indossare tessuti pregiati e calzature finissime, a truccarsi gli occhi, a lavarsi i lunghi capelli con miscele profumate per poi raccoglierli in reti dorate; ma improvvisamente, per la prima volta nella sua vita, le era capitato di chiedersi perché lo stesse facendo, visto che non c'era più nessuno ad ammirarla - a parte il marito, vabbé. Un tempo Licia passava le ore a specchiarsi nello speculum forgiato nel bronzo come in quello d'argento, grande e a parete, che aveva posto nelle sue stanze private; le capitava persino di fermarsi come fosse marmorizzata di fronte alla vasca decorativa nell'atrio, per rimirare il suo riflesso nell'acqua. Le piaceva guardarsi pregustando chi l'avrebbe contemplata, venerata o invidiata. Ma ora che tutti quegli sguardi non c'erano più, e gli unici occhi puntati sul suo aspetto erano sempre i suoi, Licia iniziò a non piacersi più, a notare solo i difetti, le sproporzioni (da quando le era cresciuto il mento?), i segni del tempo, i peli lì dove una volta non c'erano. Inorridita, Licia aveva iniziato a evitare gli specchi; e quando adesso incontrava una superficie riflettente volgeva lo sguardo dall'altra parte e accelerava il passo. E si chiedeva se tutte le persone che avevano frequentato quella casa sentissero la sua mancanza così come lei sentiva la loro. Per la servitù, i capricci di Licia e le conseguenti liti funambolesche con Gaio erano uno spettacolo imperdibile al quale tutti assistevano divertiti - anche se poi comportava ripulire e mettere a posto il disordine lasciato dal tiro degli oggetti; oppure toccava uscire nottetempo a recuperare la signora che vagava sulla Flaminia per dare seguito alle sue minacce di andare via di casa. Anche quella mattina i servi si erano rapidamente conquistati i posti migliori da cui assistere alla scenata: chi dietro una colonna, chi nascosto da una tenda, chi in fondo a un corridoio ma con un favorevole punto di fuga prospettico su moglie e marito; e c'era perfino chi, al piano di sopra, fingeva ci fossero macchie sul pavimento per mettersi carponi a pulire con un panno solo per poter premere l'orecchio al suolo e ascoltare così quanto avveniva di sotto. Licia sapeva di dare spettacolo, e ne era contenta: benché di rango inferiore, quelli dei suoi servi erano comunque occhi e orecchie puntati su di lei, e intendeva mostrarsi al massimo delle sue potenzialità urlando come una pazza e tirando al bersaglio. Tali erano le premesse, che la servitù rimase molto delusa quando sentirono Gaio sospirare «D'accordo, daremo una grande festa!» senza che la moglie gli avesse ancora tirato addosso niente, nemmeno uno sputo.

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