“L’11 luglio del 1979, verso le undici di sera…”, tratto da “Quei morti a orologeria” di Carlo Lucarelli pubblicato sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” del 19 di novembre 2021:
“Poi, nella notte tra il 14 e il 15 marzo…”, tratto da “Ombretta che amava troppo” di Carlo Lucarelli pubblicato sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” del 3 di dicembre 2021: Ombretta non sta bene. Non dorme più, non mangia più, ha i nervi a pezzi. Sempre triste, nessuno si ricorda più l'ultima volta che l'abbiano vista sorridere. Ha sposato un dottore che viene da una famiglia di luminari della medicina, vive in un appartamento sopra la loro clinica, una delle più note di Bologna, farsi visitare è un attimo, e infatti il medico di famiglia conclude che è depressa, ma niente di grave. Basta un calmante, allora si chiamavano così, siamo agli inizi degli anni Sessanta, nel febbraio del 1963. Il marito, però, non è d'accordo. È medico anche lui e pensa che la situazione sia più grave, ci vuole qualcosa di più forte, un sedativo in fiale, una iniezione al giorno, ci pensa lui, è medico, no? Famiglia di luminari, eccetera eccetera. Poi, nella notte tra il 14 e il 15 marzo, Ombretta si sente male davvero. Non respira più, e per quanto sia già in una clinica, i medici di turno non riescono a salvarla. Accanto, sul comodino, ha la siringa e la fiala di tutti i giorni, ma dentro non c'è il sedativo, c'è un'altra cosa che si chiama sincurarina, e che è a base di curaro, uno dei veleni più potenti. Si è suicidata, dice il marito dottore, era depressa, non stava bene, ma non ci crede nessuno. Ombretta era depressa perché il marito la tradiva. La tradiva da sempre, e lei lo sapeva, ma da un po' di tempo si era innamorato di una ragazza bella come un'attrice del cinema, che aveva la metà dei suoi anni e lo faceva impazzire. Ombretta sapeva anche questo, anzi, era andata a parlarle, perché la ragazza aveva deciso di troncare la relazione, e lei l'aveva supplicata di non farlo, perché lui sarebbe stato troppo male e lei non sopportava di vederlo soffrire. Lo amava troppo, diceva, e troppo, a questo punto, diventa un termine in grado di suggerire una dolorosa e tormentata complessità. O lei o la moglie, insiste la ragazza col medico, e la situazione si fa così tesa che gli amici di Ombretta le suggeriscono di andarsene, ma lei non vuole. Lo ama troppo. Poi, siringa, sincurarina e Ombretta muore. Il processo a carico del dottor Carlo Nigrisoli si apre nel 1964, e dopo una serie di indizi e di testimonianze, tra cui quella del suo stesso padre, che lo indicano come l'assassino della moglie, il medico viene condannato prima all'ergastolo e poi, in appello a ventiquattro anni di carcere. Da quando lo hanno arrestato fino al giorno della sua morte, nel 2005, ha continuato a proclamarsi innocente.
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