A lato. Caspar David Friedrich: "Il viandante sul mare di nebbia".
Ha scritto Michele Serra in “La solitudine dell’escluso” pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” del 30 di settembre 2021: (…). …il complottista è prima di tutto l'umiliato, l'escluso, l'isolato che cerca una spiegazione semplice (e sbagliata) della sua sconfitta sociale e umana: il complotto contro di lui, appunto. È una tesi convincente, che innesca, però, una lunga serie di domande.
La prima, e forse quella fondamentale, è se gli umiliati siano sempre stati
complottisti; oppure abbiano trovato, in passato, altre maniere per rivalersi,
o almeno per cercare di farlo. Una di queste maniere era la politica, che con
tutte le sue derive ideologiche (a loro volta semplificatorie) dava però a chi
si ritrovava solo, e sconfitto, la possibilità di sentirsi partecipe di una
riscossa collettiva, o anche solo di sognarla, che è già qualcosa. Per
paradosso, viene da dire che la politica era capace di "mettere in
rete" più della rete, che così spesso appare una smisurata somma di
debolezze e arroganze. Non grandi movimenti, ma piccole e furenti conventicole
si sono aggregate, almeno fin qui, in rete, tanto è vero che esiste il
complottismo ma non esiste un Partito Complottista, e un eventuale congresso
delle diverse correnti complottiste finirebbe a bastonate, e reciproche accuse
di complotto. Detto questo, mi rendo conto di non avere detto ancora niente. Se
non che la politica, intesa come mutuo soccorso e ricerca di un senso
collettivo, assomiglia molto a quella che (Massimo) Polidoro propone come sola via per
convivere con il complottismo, ovvero con gli umiliati: "Contribuire, per
quanto in nostro potere, a migliorare un poco la vita di tutti". Di seguito, “Quei no vax senza il limite dell’altro” di Wlodek Goldkorn,
pubblicato sul settimanale “L’Espresso” del 27 di dicembre 2021: La
scena è questa. All’uscita di un hub in una città medio-grande del Centro
Italia, una giovane donna, proprietaria di un piccolo business, dice: «Il
momento del vaccino è stato per me un attimo in cui mi sono sentita e
riconosciuta cittadina, parte di una comunità». Si potrebbero riassumere in
questa frase, di una persona che non è filosofa né teorica della politica, le
ragioni di tutti quanti siano convinti che la vaccinazione contro il Covid-19
riguarda il nostro essere parte della società e non solo la nostra salvezza
individuale. E allora, qual è il problema con i no vax? Proviamo a fare un
brevissimo elenco. C’è la teoria del complotto, della cospirazione, della
manipolazione delle persone da parte dei poteri occulti. Non ci entreremo, se
non per richiamare Umberto Eco e due suoi romanzi, “Il pendolo di Foucault” e
“Il cimitero di Praga”, in cui si raccontano i meccanismi, le origini e la
sintassi delle teorie complottistiche appunto, teorie che peraltro non sono
confutabili, perché un segreto svelato non è più segreto. O se vogliamo: quando
la realtà è troppo dolorosa o difficile da comprendere, si abbandona astrazione
e metafora per ripiegare sul concreto e tangibile, seppur falso. Poi c’è il
considerarsi vittima, in quanto soggetto cui diritti sono stati violati o
negati. Il vittimismo ha anche un suo lato macabro, fra le stelle di David
gialle e richiami alla simbologia della Shoah (non c’è dissacrazione in questi
gesti - i simboli dell’Olocausto fanno parte del registro nichilista e quindi
non hanno niente di sacro). Sarebbe comunque il complotto a creare le vittime e
privarci, appunto, della nostra libertà. Ecco la parola: la libertà. Libertà di
che cosa? E in quale contesto? Qui il discorso si fa più complesso perché
riguarda le fonti culturali del pensiero e della sensibilità no vax, ed è un
errore illuministico liquidarli come non razionali e per questo degni solo di
essere derisi. La complessità è data dal sincretismo di queste fonti.
Brutalmente: abbiamo a che fare con un richiamo romantico alla natura e
all’autenticità contro la tecnica, le metropoli e la vita moderna. Ma c’è pure
una componente di quello che nella modernità del Novecento, da José Ortega y
Gasset a Hannah Arendt, al troppo poco conosciuto Nicola Chiaromonte, ad Ágnes
Heller e via elencando, si chiama “l’uomo-massa”. E ci sono, infine, elementi
di un’idea ultraliberale portata al parossismo, ossia la convinzione che la
società non esista, esistono solo gli individui. Era l’anno 1818, quando Caspar
David Friedrich dipinse “Der Wanderer über dem Nebelmeer” (Il viandante sul
mare di nebbia), il quadro icona del romanticismo. Vi si vede, di spalle, un
uomo solitario, in cima a una roccia, in montagna. I capelli dell’uomo sono
scompigliati dal forte vento. Lui scruta l’orizzonte, ma con la mente va oltre
il visibile, in cerca del sublime, dell’esperienza che corrisponda alla verità
dell’anima e non solo del cervello. L’uso che si è fatto del romanticismo è
vario e contiene pure una sua componente collettiva - il richiamo alla nazione
e alle sue origini mitologiche - ma nel caso dei no vax ci interessa il lato
dell’esaltazione della natura incontaminata, perché non manipolata dalla
tecnica né disturbata dal quello che Georg Simmel (sociologo per niente
romantico e riferimento di Zygmunt Bauman) considerava la nevrosi della vita
metropolitana. In questo contesto vanno richiamati i “Wandervogel” (Uccelli
viandanti) un movimento della gioventù tedesca, nato a fine Ottocento. I
Wandervogel, fra le altre utopie, erano molto interessati alla Naturopatia e
forme di medicina alternativa e potremmo continuare parlando della convinzione
che l’esposizione al sole, nudi, fosse una forma di terapia e di suggerimenti
sulla vita nella Natura in genere. Ma fermiamoci qui, per citare Ernst Junger,
scrittore fra i più bravi del Novecento e che alla meccanicità e la
massificazione della vita nelle trincee della prima guerra mondiale rispondeva
con l’esaltazione dell’ethos dell’individuo e del gesto artistico e
cavalleresco. Ecco, nelle idee, rimosse per anni dal pubblico dibattito e che
tornano nel discorso dei no vax, c’è l’anarchismo di destra e la rivolta
conservatrice contro la modernità. Negli ultimi anni della sua vita, la
filosofa Ágnes Heller parlava spesso del fatto che la nostra, da società di classe
è diventata società di massa. Intendeva solitudine e mancanza di legami
sociali. Ne scrisse, una settantina di anni fa, Hannah Arendt: «La
caratteristica principale dell’uomo-massa non è la brutalità e l’arretratezza,
ma il suo isolamento». E Nicola Chiaromonte, amico di Arendt, riportava in un
saggio, del 1956 (…) a sua volta Ortega y Gasset: «Per l’uomo-massa vivere
significa non incontrare limiti di sorta. Per un tale uomo non c’è praticamente
nulla di impossibile né di pericoloso, è il suo principio primo è che nessuno è
superiore a nessun altro». Ecco, l’uomo che non “incontra limiti” è anche un
prodotto di quell’idea che propagava Margaret Thatcher, per cui, appunto non
esiste la società, ma solo gli individui. La premier britannica intendeva
spezzare ogni legame di classe nel suo Paese. In gran parte ci è riuscita, pure
altrove e su scala globale. Oggi, è molto diffusa la convinzione circa la
totale precarietà dei legami sociali ed è altrettanto diffuso il rifiuto di
immaginarsi azioni improntate a valori come solidarietà, fraternità, mutuo
soccorso. In fondo, il vecchio slogan leghista, padroni a casa nostra, a questo
alludeva: non solo alla poca disponibilità nei confronti degli immigrati,
quanto all’idea per cui lo Stato è solo un apparato che limita l’iniziativa dei
singoli, e anche alla convinzione che fuori da casa propria c’è guerra di tutti
contro tutti, e per questo è bene armarsi e via elencando le istanze care alla
destra statunitense, insofferenza per le tasse compresa. E così torniamo
all’inizio del nostro ragionamento. Essere cittadini significa avere la
responsabilità per le sorti altrui. La responsabilità per gli altri significa
che tutto quello che facciamo è parte di un’impresa collettiva. Il collettivo
però ci costringe a esercitare la nostra libertà entro certi limiti, che non
sono banalmente la libertà dell’altro, quanto l’idea del futuro. L’avvenire è
un’impresa collettiva, è cooperazione fra persone, altrimenti non esiste né è
immaginabile. In concreto. In pandemia vaccinarsi non significa restare immuni
(l’immunizzazione totale è un’altra variante dell’idea della natura
incontaminata e della salvezza individuale), ma semplicemente, fare sì che gli
ospedali non siano pieni di malati gravi, che le scuole possano funzionare, i
treni viaggiare, le attività economiche restare aperte. Mi vaccino perché così
contribuisco alla sopravvivenza della società. Non sono uomo-massa, ma persona
che si assume le proprie responsabilità. È il contrario della libertà intesa
come arbitrio e solitudine. Resta, ovviamente, sempre aperta la questione del
controllo delle autorità sui nostri corpi. Ma non sembra questo, oggi, il pericolo
che corre l’Italia né la maggior parte dei Paesi di quello che chiamiamo
Occidente.
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