A proposito di questa ondata di odio collettivo, che si sta manifestando in molti Paesi europei e nella nostra società in coincidenza con la pandemia, secondo lei il populismo da dove si genera? "Potrei dire che ogni crisi, e soprattutto una crisi grave e gravida di emozioni come questa, suscita molta angoscia e inquietudine sia riguardo al presente sia riguardo al futuro. E io stesso, che nella mia adolescenza ho vissuto un'epoca molto drammatica - gli anni che hanno preceduto la guerra segnati da una crisi economica gravissima che ha contribuito a determinare la presa del potere da parte di Hitler - ho visto come nella società francese si siano scatenate due polarità. Da un lato la Francia umanista, aperta, che integra i suoi immigrati, dall'altro la Francia reazionaria, xenofoba, antisemita. E penso che oggi, in modo diverso, durante una crisi, le stesse ansie provocano due contraddizioni: da una parte una paura che produce regressioni psicologiche e mentali e fa appello a un reset magico oppure a un capro espiatorio giudicato responsabile di tutti i mali odierni; e dall'altra un'immaginazione che si manifesta in modo estremamente dispersivo, in cui si vedono tante persone, tante associazioni, soprattutto in Francia, di solidarietà, di aiuto reciproco, di obiettivi umanistici, ma in modo dispersivo e senza una direzione precisa. Dunque, se vogliamo, c'è un rischio tipico delle crisi: pensiamo alla crisi del 1929, che ha prodotto da un lato Roosevelt, quindi un esito progressista, e dall'altro Hitler. Insomma, la crisi attuale, anche se prodotta da condizioni diverse, è di una gravità e di un'intensità tali da rendere difficile mettere in discussione le dichiarazioni perentorie, le affermazioni gratuite o addirittura le fiammate di odio; tutti questi sono elementi che, sfortunatamente, si sviluppano nelle crisi in contemporanea con gli elementi opposti, e oggi sembrano più potenti".
Perché manca la forza del pensiero? "Perché viviamo una crisi spaventosa del pensiero: persino e soprattutto coloro che sembrano i detentori della verità oggettiva, gli economisti che parlano di calcoli, non si rendono conto che i calcoli non sono sufficienti per comprendere tutti i problemi umani. Il calcolo è uno strumento ausiliario necessario, come le statistiche, i sondaggi e tutto il resto. Ma il punto è che sono tutti strumenti ausiliari di un pensiero assente o inserito in una serie di dogmi come i dogmi del neoliberismo. Dunque la situazione è grave. Perché? Perché viviamo in un'epoca storica eccezionale. Si può dire che tutte le epoche siano eccezionali, ma che cos'ha la nostra? La nostra è eccezionale perché comincia con una minaccia su tutta l'umanità, che è la bomba di Hiroshima, una minaccia che si moltiplica per follia, per stupidità. Per esempio noi abbiamo la consapevolezza del degrado della biosfera, che ci è necessaria per vivere e che ha prodotto il dispiegamento tecnoeconomico animato dal profitto o dal potere, dalla volontà di potenza degli Stati. Le condizioni del pianeta sono degradate in modo spaventoso e poi è arrivata la pandemia. Siamo quindi in un'epoca del tutto nuova dell'avventura umana. Siamo di fronte a dei rischi spaventosi, che non abbiamo mai percepito in modo così generale, e anche con promesse della scienza e della tecnica talmente favolose che ci si chiede se non potrebbero essere utilizzate non per accrescere i poteri umani, come vogliono i transumanisti, ma per migliorare le relazioni umane".
Lei sta descrivendo un'umanità in bilico... "È il contesto in cui ci troviamo. E cerchiamo di fare una diagnosi corretta, ma è difficile, perché ogni crisi crea anche delle enormi incertezze. Vivevamo già in una pseudoricerca di certezze: si facevano dei piani, come sarà l'Europa nel 2040, nel 2050, come se fosse possibile prevedere meccanicamente il futuro quando l'intento della storia è il dispiegamento dell'imprevisto, come la pandemia stessa era imprevista, come la stessa crisi della biosfera era imprevista. Serve una riconversione mentale totale: imparare a scendere a compromessi con l'incertezza, imparare a vedere la complessità, cercare di scendere a compromessi con la complessità, è questo il problema per me. E purtroppo vedo che nella classe dirigente, a tutti i livelli, non c'è affatto una presa di coscienza".
(…). Ma come possono le istituzioni democratiche aiutare a migliorare oggi la qualità della vita dei loro cittadini?
"Direi che anche qui si tratta di prendere coscienza di una cosa: che con l'aumento, diciamo quantitativo, delle possibilità di benessere materiale si è sviluppato anche un degrado della qualità della vita, con un degrado delle solidarietà tradizionali, una perdita di senso della comunità, le condizioni di isolamento e chiusura in cui viviamo, o ancora il dominio di un potere economico che fa sì, per esempio, che l'agricoltura industriale produca dei prodotti malsani, insipidi, distrugga i suoli e continui a svilupparsi a discapito di quella che potrebbe essere l'agricoltura ecologica, agroecologica, di fattoria. Dunque, se vogliamo, la riconquista della qualità della vita è innanzitutto una riconquista personale, ma ha bisogno di un aiuto politico costante. Che si viva o meno in comunità, non si fanno adeguate politiche di consumo, politiche che non ci spingano verso beni privi di reale valore, che hanno solo un valore mitologico attribuito dalla pubblicità, o prodotti malsani che degradano la salute dei bambini come le bibite zuccherate. Se non si fanno politiche che aiutino questa presa di coscienza, tutto questo non sfocia in nulla, né da un lato, cioè dai cittadini, dove effettivamente qualcosa si è rimesso in moto, né dal versante politico, dove non si comprende che la qualità della vita è diventata un problema centrale, quello che in America Latina viene chiamato il buen vivir, il buon vivere, che parte dal benessere materiale, da certe condizioni di benessere materiale, ovviamente, ma che va oltre, che è qualcosa legato alla qualità dei rapporti umani. E se i politici non capiscono questo, non vedono questa cosa, se vedono soltanto i calcoli, i tassi di crescita, il Pil pro capite e tutto il resto, non vedono l'essenziale".
(…). Cosa pensa delle persone che sono contro il vaccino, che rifiutano di proteggersi con la scienza e la medicina dalla pandemia? "In questo caso siamo arrivati all'impossibilità di instaurare un dialogo, perché il vaccino si mostra come una specie di dogma; è accaduto nel momento in cui ci siamo resi conto che due dosi non sono riuscite a immunizzarci completamente, e allora c'è chi si chiede il perché della terza dose, ora che sappiamo che anche se siamo vaccinati possiamo contagiare gli altri. È una domanda, ma anziché discuterne, si ingaggiano lotte a base di statistiche contraddittorie, ognuna delle quali, tuttavia, è ben orientata; di conseguenza prende piede la radicalizzazione, perché non c'è stato un vero dibattito democratico sulla questione dei vaccini. Penso che anche in questo caso ci sia un problema: esiste una minoranza di biologi e di medici che contesta il vaccino - persino loro - e li si considera dei complottisti, ma in realtà non c'è vero dibattito, e un vero dibattito forse avrebbe evitato questa situazione, questi scontri. In realtà nemmeno il parere degli specialisti è mai del tutto chiaro; io stesso leggo ogni giorno informazioni completamente diverse e non riesco mai a formarmi un'opinione definitiva su questo argomento. Nel frattempo si è arrivati a battaglie verbali, a scontri nelle manifestazioni, ed è deplorevole".
Lei afferma che la nostra maggiore debolezza è vivere in una stagione dove il pensiero è vuoto e quindi che c'è grande bisogno di conoscenza e che la conoscenza viene dallo studio. È questo il suo pensiero? Ritiene che dobbiamo ricominciare a studiare per ricostruire la conoscenza? "Sì, penso sia fondamentale; anzi, nella scuola primaria e secondaria la diversità è un concetto chiave, e la conoscenza è un problema chiave".
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