“Violante”, semplicemente un “participio”
(non ricordo di chi sia il copyright). Tratto da “Violante, che cambiò idea su tutto e ora ambisce al Quirinale” di
Pino Corrias, pubblicato su “il Fatto Quotidiano” di ieri martedì 14 di dicembre
2021: (…). Nacque sfortunato, Luciano Violante, nel campo di prigionia
inglese di Dire Daua, Etiopia, anno 1941, impero coloniale dell’Italietta già
in sfacelo. Rientra con la madre in Italia, a Rutigliano, provincia di Bari, il
padre, giornalista comunista, arriverà solo nel 1946. Si laurea in
Giurisprudenza, diventa assistente di Aldo Moro in università e militante
togliattiano in casa. Primo incarico, Giudice Istruttore a Torino, anno 1968.
Prima condanna, quella di un ragazzo che ha dato del fesso a un vigile urbano.
Cosa che oggi lo farebbe inorridire, ma all’epoca fa curriculum. Si specializza
in inchieste sul terrorismo rosso e nero. Ma sarà il cosiddetto “golpe bianco”
di Edgardo Sogno a lanciarlo nella piena risonanza mediatica. Edgardo Sogno è
un personaggio di molti romanzi in proprio, nobile, monarchico, franchista in
Spagna e antifascista clandestino in Italia – guiderà l’evasione dal carcere di
Ferruccio Parri – in tempo di pace polemista senza pace, giornalista, carriera
diplomatica in mezzo mondo. Violante lo accusa di preparare il colpo di Stato.
Lo indaga. Nel 1976 lo arresta. Due anni dopo le prove non reggono, l’inchiesta
va in fumo. Ma intanto Violante ha conquistato le prime pagine dei giornali e
delle polemiche. Cosa che oggi lo farebbe inorridire, ma all’epoca fa
curriculum. Al punto che il Pci lo candida alle elezioni politiche del 1979,
bye bye magistratura. Entra trionfale alla Camera dei deputati, dove rimarrà
per sei legislatura, 29 anni filati, un record che si gioca con il
capocannoniere Mastella. In pieni Anni di Piombo diventa membro della Sezione
Problemi dello Stato, delfino di Ugo Pecchioli, eminenza grigia del Pci, canale
di collegamento con il generale Carlo Alberto dalla Chiesa nella lotta alle
Brigate Rosse, gestendo infiltrati e controinformazione nelle fabbriche. Si
impegna nell’antimafia dalla parte sbagliata, anche se lui crede a fin di bene:
fa la guerra a Falcone che dopo il Maxiprocesso a Cosa Nostra si ritrova
isolato tra i corvi della Procura di Palermo, accusato di protagonismo e di non
inquisire Andreotti. Salvo santificarlo subito dopo il boato di Capaci, come
tutti, e conquistare, un mese dopo, la presidenza della Commissione Antimafia. Quando
scoppia Mani Pulite, cavalca l’onda, più di tutti. Cossiga lo battezza “il
piccolo Vishinskj”, il giudice dei processi staliniani. Diventa la bestia nera
dei socialisti e dei democristiani inquisiti, addirittura il capo del partito
dei magistrati giustizialisti. Lui replica indignato: “Il partito dei
magistrati non esiste. Esiste invece quello degli imputati eccellenti,
capeggiato da Craxi e da un pezzo di classe politica abituata all’impunità”.
Quando Berlusconi scende in campo, anno 1994, annuncia battaglia contro il
“giro mafioso” che lo sostiene, definisce Forza Italia “un manipolo di
piduisti”. E siccome gli piace vantarsi di saperla lunga, rivela a mezzo stampa
che “esiste una inchiesta a Palermo su Dell’Utri”. Ecco il complotto delle
toghe rosse, strilla Silvio B. che vince alla grande le elezioni, mentre
Vishinskj deve dimettersi dall’Antimafia. Visto che non paga, Violante si
dimette anche da soldato dell’intransigenza per trasformarsi in “uomo del
dialogo”. Dice che con le inchieste forse si è esagerato e che Craxi non è solo
un latitante. Funziona. Al punto che due anni dopo, 1996, viene eletto
presidente della Camera, dove esordisce con l’entusiasmo del neofita, chiedendo
di riconoscere sempre le ragioni degli avversari, comprese quelle “dei ragazzi
di Salò”. Che poi sarebbero i patrioti che con le SS tedesche bruciavano i
paesi italiani e impiccavano ai lampioni i partigiani. Seguono polemiche,
applausi, fuochi d’artificio. Ma specialmente segue la celebre Bicamerale per
le riforme costituzionali condivise, dove sinistra e destra promettono la
riconciliazione sotto il magistero di D’Alema e Berlusconi. Il quale, istruito
dalla politica degli affari, rovescia il tavolo al momento opportuno e si
prende il banco. Violante regala precetti al nuovo corso: “Mani Pulite è stata
una stagione giacobina”, “Craxi un capro espiatorio”. E poi: “Esistono giudici
che hanno costruito le loro carriere sul consenso popolare”. Stigmatizza, da
reduce, l’“intreccio malato” tra giornalisti e pm. Conferma a Silvio B, in un
celebre intervento alla Camera nel 2002 “che lui sa per certo che gli è stata
data la garanzia piena, non adesso, nel 1994, quando ci fu il cambio di
Governo, che non sarebbero state toccate le televisioni. Lo sa lui e lo sa
l’onorevole Letta”. Con il quale, siamo nel 2008, apre la sua riconciliante
fondazione bipartisan, “Italiadecide”, dove non si decide un bel nulla, ma si
intagliano idee di palissandro, grazie alla liberalità dei finanziatori
coinvolti, non le masse popolari, ma Eni, Enel, Autostrade, Banca Intesa,
Terna, Poste italiane, Unicredit e naturalmente Leonardo. Mondo di massima
eleganza, dove Violante, che veste abiti su misura e cena d’abitudine in
terrazza con vista sui Fori Imperiali, si trova come un’acciuga nel burro. A
coronare oggi la sua metamorfosi arrivano gli elogi di destra, sinistra,
centro. Gli inviti quotidiani di Mediaset. I complimenti di Dell’Utri: “Anche
lui può redimersi”. Regalo magari inaspettato, ma mai restituito.
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