"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

sabato 13 luglio 2019

Letturedeigiornipassati. 15 «I diritti costituzionali hanno bisogno d'un popolo che li sostenga».


Tratto da “I superpoteri del rancore” di Francesco Merlo, pubblicato sul quotidiano la Repubblica del 13 di luglio dell'anno 2018: Salvini non aveva e non ha il potere di ordinare l'arresto di nessuno, ma l'immagine di uomini neri che scendono da una nave italiana con le catene ai polsi ha una tale forza evocativa, che è come se fosse accaduto; ed è già così, in questa sua realtà virtuale, una violazione dei diritti umani fondamentali. (…). …tutto è finito come doveva finire in un Paese che è ancora uno Stato di diritto e di misericordia. Tutto è finito con lo sbarco dei naufraghi e la denunzia di due sole persone su 67, tra i quali tre donne e tre minori, e per un'ipotesi di reato - violenza privata - che non prevede le manette.
Ma in questi strani giorni ciascuno l'aveva costruita con la propria immaginazione quell'immagine che a noi pare terribile e all'Italia leghista della tracimazione rancorosa sembra invece magnifica. Ovviamente Salvini sa bene che chiunque, lui compreso, al posto di quei migranti si sarebbe comportato come i due indagati, agitandosi, gridando e contestando la volontà di riportare i 67 sopravvissuti nell'inferno dal quale erano scappati. Semmai c'è da chiedersi perché non si siano ribellati, e più decisamente, tutti e 67, come vorrebbe il buon senso e anche la letteratura di mare, a partire da Melville, il quale raccontò nel suo Benito Cereno l'ammutinamento antirazzista su un mercantile spagnolo, sovvertendo gli stereotipi dell'epoca che purtroppo somigliano ancora a quelli di oggi. È probabile che alla fine quei 67 infelici avessero capito che gli italiani che avevano preso a bordo i loro corpi umiliati e maltrattati mai li avrebbero riportati e trascinanti di peso davanti alle coste libiche. La nostra impressione, la nostra speranza, è che l'Italia generosa, prima a bordo della Vos Thalassa e poi a bordo della Diciotti, abbia inscenato, come chiamarla?, "l'ammuina antirazzista" contro "l'ammuina razzista" del ministro. E perciò hanno esagerato le minacce, per salvare quei naufraghi dall'Italia di Salvini che è diventata feroce per paura. L'Italia si riconosce irriconoscibile all'Italia: ma davvero siamo noi? Ecco il punto: “ma davvero siamo noi?”. Una analisi ed una risposta l’ha cercata per noi Michele Ainis in “Noi prigionieri nel Paese dei divieti” pubblicato sul quotidiano la Repubblica del 10 di luglio: (…). soffia un vento autoritario. Che si rafforza attraverso la lista dei nuovi divieti, e però non solo. Vi s'aggiunge infatti un atteggiamento d'incuria, d'abbandono verso le istanze dei più deboli. Esempio: la legge sull'eutanasia. Il Parlamento avrebbe dovuto battezzarla entro settembre, così ha stabilito la Consulta. Invece non caverà un ragno dal buco, dato che il suo esame non figura più nemmeno nel calendario dei lavori. Come del resto qualsiasi altra proposta normativa sui temi etici, ormai diventati eretici. In compenso fioccano diktat, piovono castighi. A leggere l'ultimo decreto Sicurezza, si contano 5 nuovi divieti; 6 reati; 7 inasprimenti delle pene; 3 misure di sicurezza disposte dai questori. E il buon esempio fa proseliti, si propaga dal Nord al Sud della penisola attraverso le ordinanze sindacali, specie nei piccoli Comuni. Ne è prova un campionario ristretto agli episodi più recenti. A Cigliano (nel Vercellese) il primo cittadino ha proibito ogni forma d'accattonaggio. Idem a Treviglio (provincia di Bergamo), con una multa di 300 euro, da pagare ovviamente in monetine. O a Terni, dove chi chiede l'elemosina rischia 3 mesi di galera. Mentre a Cinisello Balsamo il sindaco ha vietato la sosta per caravan e furgoni, le case ambulanti in cui vivono i nomadi. L'alternativa è dormire sotto i ponti, ma il 4 luglio a Genova i vigili hanno inflitto 200 euro di multa a un senzatetto, applicando il regolamento di polizia urbana. Questo accanimento contro gli ultimi determina un'offesa alla Costituzione. Se c'è un tratto, se c'è un segno distintivo nella Carta del 1947, esso consiste infatti nella protezione dei più deboli, di chi versa in condizioni di minorità sociale. I malati (articolo 32). I disoccupati (articolo 4). Gli studenti bisognosi (articolo 34). I detenuti (articolo 27). Gli stranieri (articolo 10). I poveri (articolo 38). E naturalmente vecchi, donne, bambini, cui si rivolge una decina di disposizioni. Ma i diritti costituzionali hanno bisogno d'un popolo che li sostenga, che se ne faccia interprete. Viceversa l'autoritarismo della società politica contagia la società civile, rendendola più intollerante, più cattiva. Sicché i femminicidi aumentano (39 casi nell'ultimo semestre). Cresce la violenza sui minori, come ha denunziato un paio di settimane fa l'associazione dei pediatri, durante un'audizione in Parlamento. E in Italia un anziano su 3 subisce a propria volta atti di violenza, secondo dati Oms. È il frutto avvelenato del clima che segna i nostri tempi: l'avvento della "personalità autoritaria", come la definì un celebre studio di Theodor Adorno e dei suoi allievi, condotto all'università di Berkeley negli anni Quaranta. Ovvero un tipo umano forte con i deboli, debole con i forti. Dunque razzista per vocazione, più che per convinzione. Tipi così sono sempre esistiti, nelle sacche maleolenti d'ogni società. Ma se adesso diventano un esercito è a causa delle parole d'ordine che ci somministra la politica, della militarizzazione dei conflitti, della criminalizzazione del diverso. Sennonché in questa guerra non contano il nemico né il pericolo, fantasmi procreati ad arte, come in un teatro d'ombre cinesi. Conta la guerra in sé, l'agire combattente. Il rischio, per l'Italia, è di fare harakiri. Raccapricciante. Un arretramento del Paese che non ha riscontro neppure nei momenti più oscuri e tragici della sua Storia, ché lo spirito di solidarietà – anche se spesso male indirizzato verso una solidarietà d’intesa – ha fatto sì che il Paese venisse fuori alla grande dalle tragedie anche le più grandi e devastanti. Continua Francesco Merlo nel Suo pezzo del 13 di luglio dell’anno 2018 – sono trascorsi 12 mesi dal Suo scritto -: Ecco: in questi giorni io ascoltavo Salvini alla radio e già li vedevo scendere i neri incatenati con le camicie aperte sul petto; leggevo le parole del ministro e subito la memoria si metteva in moto legando ricordi: il monumento nel porto di Livorno con i 4 neri soggiogati, Il colore viola di Spielberg, Django Unchained di Tarantino, i ceppi del Tennessee, le navi dei negrieri. Iperboli? Salvini l'ha ripetuto cosi tante volte che non li avrebbe fatti scendere se non in manette che alla fine l'Italia ha creduto che potesse farlo davvero. A lui non importava che le minacce fossero inventate, figuriamoci. Non c'è infatti bisogno che i migranti facciano qualcosa di proibito: scontano semplicemente il fatto di essere dei naufraghi salvati da una nave italiana. Il loro crimine è di essere sopravvissuti. E il razzismo gaglioffo non vede nell'evocazione dell'immagine dei neri in catene gli schiavi da domare, ma l'arresto degli invasori selvaggi e scrocconi. La memoria del razzismo si nutre di angosce che non sono le nostre. La sua immaginazione mette i ceppi ai neri di piazza Vittorio, ai nigeriani di Macerata, ai vucumprà di Rimini, ai lavavetri di Siena e di Pisa, a "la friche" di Gilles Clément: le piante vagabonde, i residui, la proiezione del male, le bisce, i serpenti, gli stranieri. Smettiamola dunque di ridere del "come se" di Salvini e delle sue sbruffonate. È purtroppo serissima la sarabanda delle sue puttanate, (…). E pensate all'abuso delle parole dirottamento e ammutinamento. L'astuto Salvini sapeva che sarebbe stato canzonato e preso in giro come incompetente, che sarebbe stato irriso e trattato come un tontolone che non conosce i codici, cominciando con il confondere i migranti con l'equipaggio. La sua "destra di popolo" è attrezzata contro le ironie e contro i sentimenti e le magliette rosse: i suoi nemici sono tutti liquidati come radical chic che non vogliono ospitare i neri dentro le loro case, sono i buonisti ipocriti, i pietisti comunisti. (…). Corbellerie, è vero. Ma la parola dirottamento rimanda al terrorismo e la parola ammutinamento rimanda al Bounty di Marlon Brando al Caine di Humphrey Bogart, all'autorità che sulle navi deve essere rispettata anche quando è senza cuore, alle vittime che diventano carnefici, al conflitto fra le regole e la libertà. Salvini sa che l'ammutinamento è un reato militare e che due migranti arrabbiati non sono né un equipaggio né un carcere in rivolta. Ma non si cura né della verità né dei codici. E anzi si nutre dei motteggi dei professori e degli scienziati del diritto, che sarebbero l'élite mentre lui sarebbe il popolo. Sapeva che sarebbe toccato al giudice indagare e che lui non ha né competenze né poteri, non essendo né procuratore né ministro dei trasporti. Ma è lì, nel porto di Trapani, che questa sua pantomima ha raggiunto il punto di massima chiarezza. E speriamo che tutti l'abbiano capito. Matteo Salvini finge di disporre di superpoteri e dunque, ogni volta affacciandosi al virile balcone del suo Twitter, esibisce il "ghe pensi mi" dell'uomo forte pur sapendo di non avere la forza che ostenta. Certo, è facile ridere del capitano (così lo chiamano i suoi) che un giorno spezza le reni alla Germania della Merkel e il giorno dopo rimbrotta il francese Macron come un plutocrate. I razzisti sono una banalità di cui è purtroppo pieno il mondo, ma Salvini, benché sia ridicolo, è più pericoloso perché arricchisce la vecchia pulsione della destra italiana per "il qui ci vuole un uomo" con una passione sincera e un delirio creativo contro i poveri, i naufraghi, i neri, gli islamici, i gay, i clochard, i Rom... A tutti vuole mettere le manette.

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