Scriveva Fabio Bogo in “I migranti lo Ius soli
e l'economia che cresce”, pubblicato sul settimanale “Affari&Finanza”
del 24 di luglio dell’anno 2017: (…). …la scorsa settimana il presidente
dell'Inps Tito Boeri, (…) ha fornito dati importanti: gli immigrati regolari
versano ogni anno 8 miliardi di euro di contributi sociali, e ne ricevono in
cambio 3: il saldo a favore delle casse dell'Inps, e quindi del sistema
nazionale, è di 5 miliardi. Da loro arriva pertanto, in termini di contributi,
un punto di Pil. Ma la comunità straniera non è fatta solo di lavoratori
dipendenti, spalmati ormai su molti livelli di attività e specializzazione.
Buona parte degli immigrati regolari che vivono nel nostro paese ha attività
imprenditoriali che stanno crescendo in numero e qualità, creando dei distretti
etnici di notevole rilevanza. A marzo scorso, in base alle rilevazioni di
Unioncamere, la componente straniera dell'imprenditoria era fatta da 575mila
unità, pari al 9,5 per cento dello stock complessivo iscritto ai registri delle
camere di commercio. Quasi un'impresa su 10 in Italia non è di origine
tricolore, nel 2011 la percentuale era del 7,5% . L'iniziativa straniera ha poi
un'altra caratteristica, quella di registrare un trend di crescita costante
negli anni, capace di sopportare meglio di altri i colpi della crisi, se non
addirittura di trovare proprio nelle opportunità e nelle trasformazioni aperte
dalla crisi l'essere della propria esistenza. Anche qui parlano i numeri: Dal
2011ad oggi il saldo tra imprese straniere nate e imprese cancellate è sempre
stato positivo: più 6.700 nel 2011, 4.400 nel 2012, 3.200 nel 2013, 5.500 nel
2014, 6.000 nel 2015, 5.300 nel 2016. Nello stesso tempo il saldo per le
imprese italiane è stato invece complessivamente negativo, con 172 mila imprese
sparite dalla circolazione. Gli immigrati-imprenditori quindi hanno colmato un
vuoto, che è evidente se si considerano i comparti di attività. Nel settore
delle costruzioni operano 130mila aziende, in quello del commercio 206mila,
nella componente alloggi e ristorazione altre 44mila, 33mila si occupano di
servizi alle imprese e noleggi. E ci sono anche quasi 10mila aziende che
lavorano in campo professionale, scientifico e tecnico. Tutto questo va
considerato, quando si boccia strumentalmente la legge sullo ius soli. Che non
aiuta l'immigrazione clandestina. Ma rende solo giustizia ai figli di chi sta
aiutando la nostra economia.
È tornato a scriverne dopo un biennio compiuto, di quell’argomento scabroso assai nell’era del “sovranismo” imperante, con gli scenari politico-istituzionali radicalmente cambiati e non più da presidente dell’I.N.P.S., Tito Boeri in “Quella ricchezza tenuta nascosta”, pubblicato sul quotidiano la Repubblica del 5 di luglio 2019: Matteo Salvini passerà alla storia come il ministro dell’immigrazione clandestina. Come recentemente confermato dal presidente dell’Istat, Gian Carlo Blangiardo, ci apprestiamo a superare il record nel numero di immigrati irregolari presenti sul nostro territorio. Saranno oltre 700.000 nel 2020. Non erano mai stati così tanti. E questo nonostante il flusso di rifugiati e richiedenti asilo sia da tempo tornato ai livelli precedenti la crisi del 2015 quando un milione di persone si riversarono sulle coste europee fuggendo dai conflitti in Siria, Iraq e Afghanistan. Nel 2018 ci sono stati 23.370 sbarchi (un ottavo di quelli registrati nel 2017). E il crollo degli arrivi sulle nostre coste è continuato nel 2019 per ragioni che non hanno nulla a che vedere con le politiche restrittive varate prima da Minniti e poi da Salvini. I flussi giornalieri di sbarchi non mostrano, infatti, alcuna discontinuità in corrispondenza dei periodi in cui sono entrati in azione i due ministri. Erano già in calo e hanno continuato a diminuire seguendo la stessa traiettoria. L’unico effetto della chiusura dei porti e della repressione delle organizzazioni non governative attuata sotto il Governo Conte è stato quello di aumentare la probabilità di perdere la vita per coloro che si mettono in viaggio. Le persone che fuggono da teatri di conflitto e che sono disposte a rischiare la propria vita pur di avere l’opportunità di chiedere protezione internazionale, lo fanno con o senza i porti chiusi. Men che meno possono servire le campagne mediatiche e i tweet del nostro ministro dell’Interno. Saranno utili per procacciare voti in Italia, ma non certo per dissuadere gli attraversamenti del Mediterraneo Centrale. Del resto, nelle stesse ore in cui si spargevano fiumi di inchiostro e si dedicavano ore televisive alla vicenda Sea–Watch, si registravano 100 nuovi sbarchi nella sola Lampedusa, più del doppio dei migranti bloccati per 15 giorni sulla nave capitanata da Carola Rackete. Se gli sbarchi continuano a diminuire, cosa spiega i nuovi massimi raggiunti dall’immigrazione clandestina nel nostro Paese? Sono il frutto di tre scelte compiute da questo Governo. La prima scelta è quella di negare che la nostra economia abbia bisogno di un crescente numero di immigrati. Questo porta a decreti flussi risibili, che ignorano le esigenze delle imprese e delle famiglie. Risultato: gli immigrati arrivano da noi per altri canali, spesso con visti turistici, e poi rimangono da noi illegalmente quando i visti sono scaduti, lavorando in nero. I dati sui lavoratori domestici nel nostro Paese lo confermano. La domanda di colf e badanti delle famiglie italiane è in costante aumento alla luce anche dell’incremento del numero di persone non-autosufficienti. Tuttavia, in mancanza di decreti flussi con quote per colf e badanti il numero di lavoratori domestici extra-comunitari iscritti alla gestione Inps tende inesorabilmente a ridursi, come documentato anche dall’ultimo osservatorio sui lavoratori domestici, non compensato dall’aumento dei lavoratori comunitari o italiani che non hanno problemi coi visti. Ma non appena c’è un provvedimento di regolarizzazione del lavoro nero, il numero di colf e badanti extracomunitarie si impenna, a dimostrazione del fatto che questi lavori continuano a essere richiesti, ma vengono svolti in nero, senza versare i contributi perché queste persone, anche qualora volessero lavorare regolarmente, non potrebbero farlo. La seconda scelta è quella di negare la protezione a chi la richiede nel nostro Paese. Le richieste si sono dimezzate dal 2017 al 2018, anno in cui siamo scesi sotto la media UE nel rapporto fra richieste di asilo e popolazione residente. Ma il decreto sicurezza ha chiuso il canale della protezione umanitaria portandoci a rigettare quasi 9 domande su 10. Risultato: coloro la cui domanda non viene accolta rimangono da noi come irregolari, non potendo lavorare legalmente e versare i contributi sociali. Da giugno 2018 è stata negata la protezione a 45.000 persone, che sono per lo più rimaste da noi illegalmente. La terza scelta è quella di portare anche coloro cui era stata riconosciuta la protezione umanitaria al di fuori del circuito dell’accoglienza e di chiudere gli SPRAR (i piccoli centri che si sono rivelati più efficaci dei CAS nel promuovere l’integrazione) ai richiedenti asilo. Al contempo sono stati azzerati i fondi per i corsi di italiano e di educazione civica. Risultato: abbiamo più immigrati fuori dai centri che vivono da irregolari ancora prima che la loro domanda venga esaminata. E anche se poi la loro richiesta venisse accolta, difficilmente troveranno lavoro regolare. L’esperienza della Germania ci insegna, infatti, che l’aver frequentato un corso di lingua raddoppia la probabilità di trovare lavoro. Al di là del decreto sicurezza, le circolari del ministero dell’Interno impongono ai CAS di allontanare dai centri coloro che ricevono offerte di lavoro superiori ai 3.000 euro all’anno, spingendoli verso il lavoro nero e l’illegalità. Il comune denominatore di queste scelte è far crescere l’immigrazione irregolare fingendo di fare esattamente il contrario, e ostacolare l’integrazione, per poi capitalizzare sul disagio e le tensioni sociali associate alla presenza di persone che non possono risiedere e lavorare legalmente nel nostro Paese. Alleandoci con i 9 paesi europei che hanno ricevuto in questi anni molti più rifugiati di noi in rapporto al loro reddito nazionale, è possibile riformare il Regolamento di Dublino sulla base della proposta approvata dal Parlamento Europeo nel 2017, ottenendo così un maggiore coinvolgimento dei Paesi non di confine nel presidio delle frontiere e nella gestione dei flussi. Ma, almeno a giudicare dall’assenteismo del nostro ministro dell’Interno in occasione dei vertici europei (ne ha disertati 7 su 8, il più delle volte per andare in televisione), sembrerebbe che questa strada non interessi al governo italiano. A quanto pare l’immigrazione serve solo come attrazione mediatica e come terreno di conflitto, fra italiani e immigrati oltre che fra il nostro governo l’Unione europea.
È tornato a scriverne dopo un biennio compiuto, di quell’argomento scabroso assai nell’era del “sovranismo” imperante, con gli scenari politico-istituzionali radicalmente cambiati e non più da presidente dell’I.N.P.S., Tito Boeri in “Quella ricchezza tenuta nascosta”, pubblicato sul quotidiano la Repubblica del 5 di luglio 2019: Matteo Salvini passerà alla storia come il ministro dell’immigrazione clandestina. Come recentemente confermato dal presidente dell’Istat, Gian Carlo Blangiardo, ci apprestiamo a superare il record nel numero di immigrati irregolari presenti sul nostro territorio. Saranno oltre 700.000 nel 2020. Non erano mai stati così tanti. E questo nonostante il flusso di rifugiati e richiedenti asilo sia da tempo tornato ai livelli precedenti la crisi del 2015 quando un milione di persone si riversarono sulle coste europee fuggendo dai conflitti in Siria, Iraq e Afghanistan. Nel 2018 ci sono stati 23.370 sbarchi (un ottavo di quelli registrati nel 2017). E il crollo degli arrivi sulle nostre coste è continuato nel 2019 per ragioni che non hanno nulla a che vedere con le politiche restrittive varate prima da Minniti e poi da Salvini. I flussi giornalieri di sbarchi non mostrano, infatti, alcuna discontinuità in corrispondenza dei periodi in cui sono entrati in azione i due ministri. Erano già in calo e hanno continuato a diminuire seguendo la stessa traiettoria. L’unico effetto della chiusura dei porti e della repressione delle organizzazioni non governative attuata sotto il Governo Conte è stato quello di aumentare la probabilità di perdere la vita per coloro che si mettono in viaggio. Le persone che fuggono da teatri di conflitto e che sono disposte a rischiare la propria vita pur di avere l’opportunità di chiedere protezione internazionale, lo fanno con o senza i porti chiusi. Men che meno possono servire le campagne mediatiche e i tweet del nostro ministro dell’Interno. Saranno utili per procacciare voti in Italia, ma non certo per dissuadere gli attraversamenti del Mediterraneo Centrale. Del resto, nelle stesse ore in cui si spargevano fiumi di inchiostro e si dedicavano ore televisive alla vicenda Sea–Watch, si registravano 100 nuovi sbarchi nella sola Lampedusa, più del doppio dei migranti bloccati per 15 giorni sulla nave capitanata da Carola Rackete. Se gli sbarchi continuano a diminuire, cosa spiega i nuovi massimi raggiunti dall’immigrazione clandestina nel nostro Paese? Sono il frutto di tre scelte compiute da questo Governo. La prima scelta è quella di negare che la nostra economia abbia bisogno di un crescente numero di immigrati. Questo porta a decreti flussi risibili, che ignorano le esigenze delle imprese e delle famiglie. Risultato: gli immigrati arrivano da noi per altri canali, spesso con visti turistici, e poi rimangono da noi illegalmente quando i visti sono scaduti, lavorando in nero. I dati sui lavoratori domestici nel nostro Paese lo confermano. La domanda di colf e badanti delle famiglie italiane è in costante aumento alla luce anche dell’incremento del numero di persone non-autosufficienti. Tuttavia, in mancanza di decreti flussi con quote per colf e badanti il numero di lavoratori domestici extra-comunitari iscritti alla gestione Inps tende inesorabilmente a ridursi, come documentato anche dall’ultimo osservatorio sui lavoratori domestici, non compensato dall’aumento dei lavoratori comunitari o italiani che non hanno problemi coi visti. Ma non appena c’è un provvedimento di regolarizzazione del lavoro nero, il numero di colf e badanti extracomunitarie si impenna, a dimostrazione del fatto che questi lavori continuano a essere richiesti, ma vengono svolti in nero, senza versare i contributi perché queste persone, anche qualora volessero lavorare regolarmente, non potrebbero farlo. La seconda scelta è quella di negare la protezione a chi la richiede nel nostro Paese. Le richieste si sono dimezzate dal 2017 al 2018, anno in cui siamo scesi sotto la media UE nel rapporto fra richieste di asilo e popolazione residente. Ma il decreto sicurezza ha chiuso il canale della protezione umanitaria portandoci a rigettare quasi 9 domande su 10. Risultato: coloro la cui domanda non viene accolta rimangono da noi come irregolari, non potendo lavorare legalmente e versare i contributi sociali. Da giugno 2018 è stata negata la protezione a 45.000 persone, che sono per lo più rimaste da noi illegalmente. La terza scelta è quella di portare anche coloro cui era stata riconosciuta la protezione umanitaria al di fuori del circuito dell’accoglienza e di chiudere gli SPRAR (i piccoli centri che si sono rivelati più efficaci dei CAS nel promuovere l’integrazione) ai richiedenti asilo. Al contempo sono stati azzerati i fondi per i corsi di italiano e di educazione civica. Risultato: abbiamo più immigrati fuori dai centri che vivono da irregolari ancora prima che la loro domanda venga esaminata. E anche se poi la loro richiesta venisse accolta, difficilmente troveranno lavoro regolare. L’esperienza della Germania ci insegna, infatti, che l’aver frequentato un corso di lingua raddoppia la probabilità di trovare lavoro. Al di là del decreto sicurezza, le circolari del ministero dell’Interno impongono ai CAS di allontanare dai centri coloro che ricevono offerte di lavoro superiori ai 3.000 euro all’anno, spingendoli verso il lavoro nero e l’illegalità. Il comune denominatore di queste scelte è far crescere l’immigrazione irregolare fingendo di fare esattamente il contrario, e ostacolare l’integrazione, per poi capitalizzare sul disagio e le tensioni sociali associate alla presenza di persone che non possono risiedere e lavorare legalmente nel nostro Paese. Alleandoci con i 9 paesi europei che hanno ricevuto in questi anni molti più rifugiati di noi in rapporto al loro reddito nazionale, è possibile riformare il Regolamento di Dublino sulla base della proposta approvata dal Parlamento Europeo nel 2017, ottenendo così un maggiore coinvolgimento dei Paesi non di confine nel presidio delle frontiere e nella gestione dei flussi. Ma, almeno a giudicare dall’assenteismo del nostro ministro dell’Interno in occasione dei vertici europei (ne ha disertati 7 su 8, il più delle volte per andare in televisione), sembrerebbe che questa strada non interessi al governo italiano. A quanto pare l’immigrazione serve solo come attrazione mediatica e come terreno di conflitto, fra italiani e immigrati oltre che fra il nostro governo l’Unione europea.
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