Ha scritto Michele Serra in “Quanto è ricco il populismo” pubblicato sul quotidiano la
Repubblica del 4 di luglio 2019: (…). …per turlupinare, se non "il
popolo", almeno una sua parte rilevante, basta un poco di doping
ideologico (nazionalismo, xenofobia, spregio per i diritti), quanto ne basta
per non andare mai al nocciolo della questione. La crudezza verbale dei capetti
sovranisti e dei loro giornali-megafono si fa molto più vaga quando si tratti
di discutere dell'approdo finale: uno Stato forte nei suoi apparati repressivi
e debole nel welfare, fortemente detassato, nel quale i più forti se la cavino
benone e i più deboli trovino consolazione nella continua, disperata ricerca di
qualcuno ancora più debole di loro da odiare: stranieri, migranti, zingari. In
caso di guerra, quale migliore "carne da cannone" sarebbe
immaginabile, se non le masse esasperate dall'impotenza sociale e accecate
dalla propaganda? "Ricco" è un termine che Salvini adopera in modo
dispregiativo. Per esempio contro la capitana Carola, le cui origini borghesi
gli sono utili ad aggiungere un tassello alla ormai annosa, stucchevole
campagna contro i "radical chic". Ma non sentirete mai Salvini, o uno
dei suoi megafoni al seguito, chiamare "ricco" Putin o Trump. Perché
non sono davvero i ricchi, i nemici del populismo sovranista; non gli
oligarchi, non i plutocrati. Sono i democratici di qualunque censo, dal
borghese all'operaio, dall'imprenditore all'insegnante. Ed è tutt'altro
bersaglio.
Dallo stesso quotidiano del 4 di luglio una attenta analisi di Ezio Mauro che ha per titolo “La legalità sovranista”: Basato com'è sull'istinto, sui gesti, sugli slogan e su una formidabile capacità di creare e interpretare lo spirito dei tempi, il populismo è l'unico modello politico che non ha bisogno di avere una teoria, perché la suscita a spintoni mentre procede per la sua strada, e la inventa dentro il fuoco del conflitto permanente con un nemico d'occasione, dato ogni volta in pasto alla pubblica opinione. E tuttavia ogni tanto - (…) - conviene guardare al quadro politico d'insieme, sfuggendo al vortice delle singole performance, per cogliere, se non la cultura, almeno l'idea del potere e la concezione dello Stato di questa nuova ultradestra italiana. Salvini è stato costretto a nascondere la clamorosa sconfitta incassata dai sovranisti nelle nomine al vertice delle istituzioni europee che volevano sovvertire. Per questo ha cercato di sfruttare alla massima potenza il caso Sea-Watch, facendosi paladino dei confini minacciati "dall'invasione" di 42 migranti. Per raggiungere il suo scopo, non ha esitato a criminalizzare la figura della capitana della nave Ong, costruendo il personaggio di comodo di una delinquente infiltrata nei porti italiani, pronta a speronare le motovedette della Finanza che le intimavano l'alt, potenziale assassina. Per di più donna e giovane, dunque da dileggiare perché mossa da scelte politiche e non umanitarie, che salva i naufraghi nelle pause di una vita comoda e lussuosa: "Il posto di questa signorina sarebbe stata la galera, un giudice ha deciso che non sia così - ha aggiunto ieri il ministro. Adesso ci devono dire se la possiamo mettere su un aereo con destinazione Berlino, oppure se la dobbiamo vedere far shopping a Santa Margherita Ligure o a Portofino, in attesa di attentare alla vita di altri finanzieri". È la raffigurazione di un ideal-tipo creato nel laboratorio populista, da additare all'odio delle masse mentre lo si fa muovere sui palcoscenici simbolici dell'elite, in una sceneggiatura quasi teatrale. È prevedibile che il vicepremier, avendo anche molto tempo libero dal lavoro, porti avanti lo spettacolo della serie "Carola" per tutta l'estate, inventando nuovi episodi per un pubblico già immediatamente prodigo d'insulti. Ma la novità è che accanto alla Capitana da ieri è comparso un secondo bersaglio da criminalizzare: il giudice. È successo, infatti, che il Gip chiamato a convalidare l'arresto di Carola ha deciso altrimenti, con un'ordinanza che buca nelle sue 13 pagine la bolla propagandistica di Salvini. Intanto le direttive ministeriali sui porti chiusi e il divieto di ingresso nelle acque territoriali previsto dal decreto sicurezza (sulla cui base le motovedette hanno intimato l'alt alla Sea-Watch) non possono essere applicati, perché una nave che soccorre migranti non può essere considerata una minaccia per la sicurezza nazionale. E in ogni caso il comandante ha l'obbligo di portare in salvo le persone che ha raccolto in mare e non solo di ospitarle a bordo, e deve scegliere come approdo un luogo dove vengono garantiti i diritti, primo fra tutti il diritto d'asilo: e questo non è certo il caso della Libia, ma nemmeno della Tunisia. Dal che si deduce che la scelta di far rotta sull'Italia è "legittima" e il teorema salviniano viene totalmente svuotato e rovesciato dall'ordinanza. Si capisce il nervosismo del ministro dell'Interno. Che infatti ha reagito scompostamente: "Mi vergogno", "Pessimo segnale", "Cosa bisogna fare per finire in galera in Italia"? "È veramente una sentenza scandalosa". Poi la minaccia: "Questa giustizia la cambiamo". E infine lo schema populista supremo: i giudici che vogliono far politica si tolgano la toga, si candidino al Parlamento "con la sinistra", e cambino le leggi che non gli piacciono. Non siamo soltanto davanti a un ministro che attacca il giudizio di un magistrato, a un vicepresidente del Consiglio che cancella la separazione dei poteri, uno dei principi base della cultura liberaldemocratica, e uno dei fondamenti dello Stato moderno. Siamo di fronte al disvelamento dell'ideologia populista, che vede il potere come un fascio indistinto nelle mani degli "eletti dal popolo". Questa unzione popolare sacra non solo li legittima alla funzione legislativa e di governo, com'è ovvio in democrazia, ma evidentemente nel pensiero sovranista li pone su un piano sovra-ordinato rispetto agli altri poteri dello Stato. Il magistrato che con una sua sentenza esprime un parere contrario all'ideologia dominante è dunque automaticamente da oggi un sovversivo, un dissidente, un oppositore. Risultato: le sentenze devono adeguarsi non alla legge, ma al potere, che diventa così supremo, autonomo, sottratto al controllo di legalità e di legittimità, fuori da qualsiasi concerto istituzionale. (…). …sembra un invito a una magistratura debole, delegittimata e disorientata perché si metta al riparo sotto il potere dominante: vedremo le conseguenze nei prossimi mesi. In realtà solo un potere intimamente fragile cerca spazio nel campo altrui, non sapendosi accontentare dello spazio legittimo che ha saputo conquistarsi. Dimenticando che nell'articolo 1 della Costituzione sta scritto che la sovranità "appartiene" al popolo, che "la esercita" nelle forme e nei limiti previsti dalla Carta. La sovranità dunque oggi, "appartiene", e viene esercitata direttamente, quindi non si trasferisce col voto dal popolo agli eletti. Ecco perché quella di Salvini non è una polemica, ma una forzatura. Come se da oggi, nell'anno primo dell'era sovranista, si potesse cambiare la scritta nelle aule dei tribunali: la legge è uguale a patto che la giustizia sia conforme al potere.
Dallo stesso quotidiano del 4 di luglio una attenta analisi di Ezio Mauro che ha per titolo “La legalità sovranista”: Basato com'è sull'istinto, sui gesti, sugli slogan e su una formidabile capacità di creare e interpretare lo spirito dei tempi, il populismo è l'unico modello politico che non ha bisogno di avere una teoria, perché la suscita a spintoni mentre procede per la sua strada, e la inventa dentro il fuoco del conflitto permanente con un nemico d'occasione, dato ogni volta in pasto alla pubblica opinione. E tuttavia ogni tanto - (…) - conviene guardare al quadro politico d'insieme, sfuggendo al vortice delle singole performance, per cogliere, se non la cultura, almeno l'idea del potere e la concezione dello Stato di questa nuova ultradestra italiana. Salvini è stato costretto a nascondere la clamorosa sconfitta incassata dai sovranisti nelle nomine al vertice delle istituzioni europee che volevano sovvertire. Per questo ha cercato di sfruttare alla massima potenza il caso Sea-Watch, facendosi paladino dei confini minacciati "dall'invasione" di 42 migranti. Per raggiungere il suo scopo, non ha esitato a criminalizzare la figura della capitana della nave Ong, costruendo il personaggio di comodo di una delinquente infiltrata nei porti italiani, pronta a speronare le motovedette della Finanza che le intimavano l'alt, potenziale assassina. Per di più donna e giovane, dunque da dileggiare perché mossa da scelte politiche e non umanitarie, che salva i naufraghi nelle pause di una vita comoda e lussuosa: "Il posto di questa signorina sarebbe stata la galera, un giudice ha deciso che non sia così - ha aggiunto ieri il ministro. Adesso ci devono dire se la possiamo mettere su un aereo con destinazione Berlino, oppure se la dobbiamo vedere far shopping a Santa Margherita Ligure o a Portofino, in attesa di attentare alla vita di altri finanzieri". È la raffigurazione di un ideal-tipo creato nel laboratorio populista, da additare all'odio delle masse mentre lo si fa muovere sui palcoscenici simbolici dell'elite, in una sceneggiatura quasi teatrale. È prevedibile che il vicepremier, avendo anche molto tempo libero dal lavoro, porti avanti lo spettacolo della serie "Carola" per tutta l'estate, inventando nuovi episodi per un pubblico già immediatamente prodigo d'insulti. Ma la novità è che accanto alla Capitana da ieri è comparso un secondo bersaglio da criminalizzare: il giudice. È successo, infatti, che il Gip chiamato a convalidare l'arresto di Carola ha deciso altrimenti, con un'ordinanza che buca nelle sue 13 pagine la bolla propagandistica di Salvini. Intanto le direttive ministeriali sui porti chiusi e il divieto di ingresso nelle acque territoriali previsto dal decreto sicurezza (sulla cui base le motovedette hanno intimato l'alt alla Sea-Watch) non possono essere applicati, perché una nave che soccorre migranti non può essere considerata una minaccia per la sicurezza nazionale. E in ogni caso il comandante ha l'obbligo di portare in salvo le persone che ha raccolto in mare e non solo di ospitarle a bordo, e deve scegliere come approdo un luogo dove vengono garantiti i diritti, primo fra tutti il diritto d'asilo: e questo non è certo il caso della Libia, ma nemmeno della Tunisia. Dal che si deduce che la scelta di far rotta sull'Italia è "legittima" e il teorema salviniano viene totalmente svuotato e rovesciato dall'ordinanza. Si capisce il nervosismo del ministro dell'Interno. Che infatti ha reagito scompostamente: "Mi vergogno", "Pessimo segnale", "Cosa bisogna fare per finire in galera in Italia"? "È veramente una sentenza scandalosa". Poi la minaccia: "Questa giustizia la cambiamo". E infine lo schema populista supremo: i giudici che vogliono far politica si tolgano la toga, si candidino al Parlamento "con la sinistra", e cambino le leggi che non gli piacciono. Non siamo soltanto davanti a un ministro che attacca il giudizio di un magistrato, a un vicepresidente del Consiglio che cancella la separazione dei poteri, uno dei principi base della cultura liberaldemocratica, e uno dei fondamenti dello Stato moderno. Siamo di fronte al disvelamento dell'ideologia populista, che vede il potere come un fascio indistinto nelle mani degli "eletti dal popolo". Questa unzione popolare sacra non solo li legittima alla funzione legislativa e di governo, com'è ovvio in democrazia, ma evidentemente nel pensiero sovranista li pone su un piano sovra-ordinato rispetto agli altri poteri dello Stato. Il magistrato che con una sua sentenza esprime un parere contrario all'ideologia dominante è dunque automaticamente da oggi un sovversivo, un dissidente, un oppositore. Risultato: le sentenze devono adeguarsi non alla legge, ma al potere, che diventa così supremo, autonomo, sottratto al controllo di legalità e di legittimità, fuori da qualsiasi concerto istituzionale. (…). …sembra un invito a una magistratura debole, delegittimata e disorientata perché si metta al riparo sotto il potere dominante: vedremo le conseguenze nei prossimi mesi. In realtà solo un potere intimamente fragile cerca spazio nel campo altrui, non sapendosi accontentare dello spazio legittimo che ha saputo conquistarsi. Dimenticando che nell'articolo 1 della Costituzione sta scritto che la sovranità "appartiene" al popolo, che "la esercita" nelle forme e nei limiti previsti dalla Carta. La sovranità dunque oggi, "appartiene", e viene esercitata direttamente, quindi non si trasferisce col voto dal popolo agli eletti. Ecco perché quella di Salvini non è una polemica, ma una forzatura. Come se da oggi, nell'anno primo dell'era sovranista, si potesse cambiare la scritta nelle aule dei tribunali: la legge è uguale a patto che la giustizia sia conforme al potere.
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