Stamane, tra una chiacchierata e l’altra sotto l’ombrellone,
chiacchierate di stampo prettamente balneare, mi sono sentito rimbrottare, dai
pochissimi del gruppo amicale che avventurosamente abbiano letto il mio post di
ieri, per quelle mie affermazioni laddove ho scritto che: «Oggi ci sentiamo di confessargli
amorevolmente che da quelle letture non ci siamo mai più distaccati. Una colpa
nostra? Una mancanza di “rispetto” per Lui? Sappiamo bene che Andrea non
l’avrebbe presa così, per come ce lo fa pensare l’averlo conosciuto attraverso
il suo scrivere. E pubblicamente scontiamo la “trascuratezza” – chiamiamola
così – nei Suoi confronti che abbiamo avuto allorché il Suo personaggio a furor
di popolo ha sfondato nella editoria, nella televisione, nel cinema. Non ce la
sentivamo di aggiungerci al codazzo dei turiferari di turno».
Ecco, stamane mi sono ritrovato in buona, anzi ottima compagnia. Lo è stato alla lettura dell’editoriale “Il nostro caro Andrea” di Marco Travaglio, editoriale pubblicato su “il Fatto Quotidiano” di oggi. Nell’editoriale racconta Camilleri che «Renzi – (…) – svelò che alla cena c’era anche l’ex presidente Bill Clinton, che gli aveva chiesto se conoscesse Camilleri. ‘Camilleri chi?’, aveva domandato lui. E Clinton: ‘Lo scrittore’. Renzi tirò un sospiro di sollievo e disse: ‘Ah sì, lo conosco, l’autore di Montalbano’. Ma Clinton ribatté: ‘Sì, Montalbano è bello, ma Il birraio di Preston è un capolavoro’. E temo proprio che Il birraio Renzi non sapesse nemmeno cosa fosse». Ecco perché mi sono sentito in buona compagnia. E rassicurato. E che compagnia! Bill Clinton, nientepopodimenoche. Poiché, come il Bill Clinton, abbiamo preferito il Camilleri ante-Montalbano. Ha scritto Marco Travaglio nel Suo editoriale: Ci vedemmo un anno e mezzo fa, prima delle elezioni-terremoto del 4 marzo 2018. Nella sua casa romana, più biblioteca che casa, in via Asiago, a due passi dal palazzo di Radio Rai. Andrea Camilleri l’avevo incontrato qualche mese prima a teatro, alla prima di uno spettacolo con Moni Ovadia su un suo racconto. E mi aveva invitato a fare due chiacchiere. Non ci vedevamo da quando aveva aderito con entusiasmo alla campagna del Fatto per il No alla schiforma costituzionale Renzi-Boschi. Come del resto a tutte le nostre campagne di impegno civile, da quelle contro il berlusconismo a quella contro le interferenze del Quirinale nell’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia e in difesa dei pm di Palermo. La novità, rispetto all’ultima volta, era la sua completa cecità, che però non gli aveva tolto il buonumore e nemmeno la voglia di scrivere, di raccontare, di combattere. Parlammo un po’ di tutto, per un’ora e mezza. Anche della sua menomazione e di come, da scrittore impenitente, ci conviveva. Ma soprattutto di politica: dell’annunciata vittoria dei 5Stelle alle imminenti elezioni, della sua sinistra violentata dal renzismo (all’epoca si parlava di una lista guidata da Giuliano Pisapia), del Rosatellum fatto apposta per propiziare l’ennesimo governo di larghe intese fra Pd e B. Fu lì che, fra un aneddoto e l’altro, mi confidò di essersi un po’ pentito di aver sempre respinto le proposte di candidatura per fare politica anche direttamente: da parlamentare e non da intellettuale. A un certo punto però s’interruppe: “Ora sono un po’ stanco, se non ti dispiace tieni gli appunti in freezer e riprendiamo la nostra chiacchiera tra qualche settimana, quando sarò tornato dalla Sicilia”. Dopodiché, fra impegni miei e suoi (aveva sempre un nuovo libro in uscita e le esigenze di promozione editoriale escludono le interviste “politiche”), quel colloquio interrotto e mai pubblicato restò lì nel congelatore, scavalcato dagli eventi tumultuosi dell’ultimo anno (Renzi sconfitto e tramontato, Pisapia scomparso dai radar, il voto del 2018, il governo giallo-verde, l’ascesa di Salvini: tutto un altro mondo, che non gli piaceva per nulla). Ieri alla notizia che Andrea non c’è più ho ripreso in mano quel taccuino con quegli appunti. E l’intervista imterrupta, pur monca del secondo round e dei pensieri di Andrea sull’ultimo anno, mi è parsa una bellissima intervista. La trascrivo così com’era, con le parti invecchiate e quelle freschissime, quasi di giornata. Sperando che Andrea, di Lassù, non se ne abbia a male.
Ecco, stamane mi sono ritrovato in buona, anzi ottima compagnia. Lo è stato alla lettura dell’editoriale “Il nostro caro Andrea” di Marco Travaglio, editoriale pubblicato su “il Fatto Quotidiano” di oggi. Nell’editoriale racconta Camilleri che «Renzi – (…) – svelò che alla cena c’era anche l’ex presidente Bill Clinton, che gli aveva chiesto se conoscesse Camilleri. ‘Camilleri chi?’, aveva domandato lui. E Clinton: ‘Lo scrittore’. Renzi tirò un sospiro di sollievo e disse: ‘Ah sì, lo conosco, l’autore di Montalbano’. Ma Clinton ribatté: ‘Sì, Montalbano è bello, ma Il birraio di Preston è un capolavoro’. E temo proprio che Il birraio Renzi non sapesse nemmeno cosa fosse». Ecco perché mi sono sentito in buona compagnia. E rassicurato. E che compagnia! Bill Clinton, nientepopodimenoche. Poiché, come il Bill Clinton, abbiamo preferito il Camilleri ante-Montalbano. Ha scritto Marco Travaglio nel Suo editoriale: Ci vedemmo un anno e mezzo fa, prima delle elezioni-terremoto del 4 marzo 2018. Nella sua casa romana, più biblioteca che casa, in via Asiago, a due passi dal palazzo di Radio Rai. Andrea Camilleri l’avevo incontrato qualche mese prima a teatro, alla prima di uno spettacolo con Moni Ovadia su un suo racconto. E mi aveva invitato a fare due chiacchiere. Non ci vedevamo da quando aveva aderito con entusiasmo alla campagna del Fatto per il No alla schiforma costituzionale Renzi-Boschi. Come del resto a tutte le nostre campagne di impegno civile, da quelle contro il berlusconismo a quella contro le interferenze del Quirinale nell’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia e in difesa dei pm di Palermo. La novità, rispetto all’ultima volta, era la sua completa cecità, che però non gli aveva tolto il buonumore e nemmeno la voglia di scrivere, di raccontare, di combattere. Parlammo un po’ di tutto, per un’ora e mezza. Anche della sua menomazione e di come, da scrittore impenitente, ci conviveva. Ma soprattutto di politica: dell’annunciata vittoria dei 5Stelle alle imminenti elezioni, della sua sinistra violentata dal renzismo (all’epoca si parlava di una lista guidata da Giuliano Pisapia), del Rosatellum fatto apposta per propiziare l’ennesimo governo di larghe intese fra Pd e B. Fu lì che, fra un aneddoto e l’altro, mi confidò di essersi un po’ pentito di aver sempre respinto le proposte di candidatura per fare politica anche direttamente: da parlamentare e non da intellettuale. A un certo punto però s’interruppe: “Ora sono un po’ stanco, se non ti dispiace tieni gli appunti in freezer e riprendiamo la nostra chiacchiera tra qualche settimana, quando sarò tornato dalla Sicilia”. Dopodiché, fra impegni miei e suoi (aveva sempre un nuovo libro in uscita e le esigenze di promozione editoriale escludono le interviste “politiche”), quel colloquio interrotto e mai pubblicato restò lì nel congelatore, scavalcato dagli eventi tumultuosi dell’ultimo anno (Renzi sconfitto e tramontato, Pisapia scomparso dai radar, il voto del 2018, il governo giallo-verde, l’ascesa di Salvini: tutto un altro mondo, che non gli piaceva per nulla). Ieri alla notizia che Andrea non c’è più ho ripreso in mano quel taccuino con quegli appunti. E l’intervista imterrupta, pur monca del secondo round e dei pensieri di Andrea sull’ultimo anno, mi è parsa una bellissima intervista. La trascrivo così com’era, con le parti invecchiate e quelle freschissime, quasi di giornata. Sperando che Andrea, di Lassù, non se ne abbia a male.
Andrea, cosa faresti se ti affidassero le
sorti della sinistra italiana? Dedicherei tutto il mio tempo all’unica cosa
seria che c’è da fare: il lavoro. Qui invece si parla di legge elettorale:
importante, per carità, ma nulla di concreto, nulla che si mangi. L’altro
giorno sono venuti a trovarmi mia nipote e 14 ragazzi suoi compagni del liceo
Mamiani, erano lì davanti l’uno sull’altro. Mi sono scusato con loro: sono un
vecchio che ha creduto in questa Italia e non vi lascio nessuna eredità, in un
Paese che ormai va accettato con beneficio d’inventario. La sento su di me come
una colpa personale.
Ma tu non hai mai fatto politica. - Vero,
l’ho sempre accettata da esterno e sono fuggito da due proposte di farla da
interno. Forse per il rispetto che ho per questa funzione altissima, perché non
avrei mai avuto il tempo di farla seriamente -.
Pentito? - Sì, forse ho sbagliato a non
impegnarmi direttamente. Ora almeno potrei dire di averci provato, invece non
posso dire nemmeno questo -.
Chi ti voleva candidare? - Il Pci, poco dopo
la morte di Enrico Berlinguer, sotto la segreteria di Alessandro Natta. Venne
Pietro Folena, allora segretario della Fgci, quello che Cossiga dileggiava come
‘braccia rubate all’alta moda’, e mi offrì un collegio sicuro al Senato.
Risposi di no. Un’altra volta, nei primi anni Duemila, i vescovi siciliani
proposero al presidente Ciampi di nominarmi senatore a vita. Accadde ad
Agrigento, dove eravamo scesi entrambi a inaugurare dopo 40 anni il teatro
tanto amato da Leonardo Sciascia. Dalla sua segreteria mi fecero sapere che il
presidente voleva incontrarmi, infatti venne da me con la moglie Franca. Mi
offrì il laticlavio, io lo implorai di non farlo: ‘Per carità!’. Così mi fece
solo Grand’Ufficiale -.
Pentito anche di quel no? - Un po’ lo
rimpiango. Non avrei fatto molto, ma qualcosa magari sì. Ti racconto una
storiella senegalese. Una foresta prende fuoco per un terribile incendio e
tutti gli animali scappano. Tutti tranne uno: il leone che, essendo il re, non
può dileguarsi per dovere d’ufficio, e resiste fino all’ultimo. Poi però non ce
la fa più e corre via anche lui. Mentre scappa, vede venirgli incontro in senso
inverso un colibrì con una goccia d’acqua sul petto. Gli domanda dove vada e
come possa sperare di spegnere l’incendio con quella goccia d’acqua. Il colibrì
risponde: ‘Non importa, intanto vado a fare la mia parte’ -.
Ma tu, con i tuoi libri e i tuoi interventi
pubblici, hai fatto molto di più di una goccia d’acqua. - Sicuro? Il mio
consuntivo sono cento e più libri, di cui 25 romanzi e cinque raccolte di
racconti sul commissario Montalbano. Ma quanto hanno inciso sulle persone? La
gente li legge solo come romanzi, come storie di fantasia, temo che non abbia
mai preso sul serio quello che volevo dire con quelle storie -.
Io non ne sarei così sicuro. - Forse fa
eccezione Il giro di boa, dove racconto che Montalbano vuole dimettersi dalla
Polizia dopo i fatti del 2001 al G8 di Genova. Quella volta alcuni sindacati di
Polizia mi presero sul serio e organizzarono una serata di dibattito al teatro
Eliseo. C’era anche “il Cinese”, Sergio Cofferati, nel suo ultimo giorno da
segretario della Cgil. La conclusione del dibattito fu questa: la democrazia ha
bisogno di una manutenzione quotidiana. Avevano capito che quello non era solo
un romanzo -.
Ora però pare tutto dimenticato, anche le
vergogne del ventennio berlusconiano. Tant’è che Renzi vuole riportarlo al
governo e tutti, anche nell’intellighenzia di sinistra, ne parlano come di una
cosa tutto sommato accettabile, o comunque inevitabile, per salvare l’Italia
dai “populisti”. Con il più populista di tutti… - Già, heri dicebamus… Ci
scusiamo per la breve interruzione e riprendiamo le trasmissioni… Mi ricorda
l’immediato dopoguerra: ci eravamo appena liberati di Mussolini e già si
sentiva dire ‘Ridateci il puzzone, rivogliamo il capoccione nostro!’. Gli
italiani purtroppo ricordano due sole cose: la storia del calcio e le canzoni
di Sanremo -.
Dici? - Guardi i quiz alla televisione e
scopri che c’è gente che ricorda perfettamente la formazione della Juventus del
1926 o l’elenco completo dei vincitori del Festival. Poi gli domandano la data
delle leggi razziali e rispondono con grande sicurezza: il 1952! Non sanno
nulla! Quei quindici liceali del Mamiani mi hanno fatto un sacco di domande sul
fascismo e ho capito che a scuola non gli avevano detto niente. Mi è toccato
pure spiegare il referendum costituzionale a un gruppo di studenti
universitari: buio completo. Scuola e università non danno più alcun aiuto. E
con la smemoratezza si giustifica tutto -.
Neppure la cosiddetta informazione aiuta. - Da
quando non ci vedo più, ho smesso di leggere. Ma mi faccio leggere molti
giornali e ascolto i notiziari in tv. Non so tutto quel che vorrei, ma
abbastanza per essere aggiornato. Eppure ho una curiosità che tu mi devi
soddisfare: qualche mese fa arrestano i fratelli Occhionero che pare avessero
intercettato tutti i più alti vertici dello Stato. Esplode il caso in tv, per
due giorni non si parla d’altro, anche sui giornali. Poi silenzio totale.
Nessuno ne sa più nulla. Perché? Che è successo? Dove sono finiti? Chi avevano
effettivamente intercettato? Ogni giorno pare che crolli il mondo, poi cala il
black out e si passa al crollo successivo -.
(…). Intanto dimmi una cosa (…): ti
spaventano l’“antipolitica” e il “populismo”? - No, perché non capisco il senso
di queste parole. L’antipolitica è una forma di politica, spesso comprensibile
visto come si è ridotta la cosiddetta politica. E i populisti, a sentire i
politici, sono sempre gli altri, di solito quelli che prendono più voti. Ma
allora sono popolari, non populisti. È scaduto il peso-massa delle parole, che
un tempo avevano un loro potere, un loro senso. Erano pietre -.
Che ne pensi di Renzi? - Mi faceva paura
prima, me ne fa ancor di più oggi. Lui ha voluto quella riforma costituzionale
orrenda, lui ha personalizzato il referendum, lui ha promesso di ritirarsi se
l’avesse perso: e allora che ci fa ancora lì? È un giocatore d’azzardo e un
presuntuoso, che mi fa perdere quel poco di fiducia che avevo ancora nella
politica e nel centrosinistra -.
C’è sempre la sinistra-sinistra, che si
agita dalle sue decine di sigle e siglette. - Quelli mi ricordano quei poveri
naufraghi che arrivano sulle nostre coste a nuoto, stremati. (…) -.
Renzi l’hai mai incontrato? - Mai. Però l’ho
sentito una volta al telefono, in una circostanza buffa. Ricordo anche la data:
sabato 25 aprile 2016. Alle 10 del mattino squilla il telefono di casa: ‘È la
segreteria di Palazzo Chigi, lei dottor Camilleri sarebbe disposto a ricevere
una telefonata dall’estero?’. Rispondo: ‘Mi dica chi mi deve chiamare e io le
dirò se gradisco o meno’. Ma il centralinista non osa o non può nominare il
sacro personaggio: ‘Non sono autorizzato a dirglielo’. Gli dico di passarmi
qualcuno che sia autorizzato e finalmente un funzionario svela l’arcano: ‘Il
presidente Renzi, che si trova a New York, vorrebbe parlarle’. A quel punto
penso: vuoi vedere che è una presa per il culo di qualche cornuto, tipo
Fiorello o quelli della Zanzara? -.
Perché escludesti che fosse davvero Renzi? -
Ma perché erano le 10 del mattino e perché avevo sempre parlato male di lui.
Comunque, pensando allo scherzo, mi misi in posizione gelida e, quando mi
passarono la comunicazione, risposi: ‘Mi dica’. E quello cominciò a raccontare
che la sera prima era a cena con alti papaveri dell’Onu e della Casa Bianca, i
quali gli avevano detto una cosa bella su di me che gli aveva fatto piacere e
sperava avrei gradito anch’io -.
E qual era? - A quel punto Renzi – perché
era proprio lui – svelò che alla cena c’era anche l’ex presidente Bill Clinton,
che gli aveva chiesto se conoscesse Camilleri. ‘Camilleri chi?’, aveva
domandato lui. E Clinton: ‘Lo scrittore’. Renzi tirò un sospiro di sollievo e
disse: ‘Ah sì, lo conosco, l’autore di Montalbano’. Ma Clinton ribatté: ‘Sì, Montalbano
è bello, ma Il birraio di Preston è un capolavoro’. E temo proprio che Il
birraio Renzi non sapesse nemmeno cosa fosse. Clinton gli disse che voleva
conoscermi e gli chiese di procurargli un incontro con me, non appena fosse
venuto a Roma. Io ringraziai Renzi e lui mi inviò l’indirizzo email di Clinton,
pregandomi di scrivergli due righe di cortesia per non fargli fare una mala
figura -.
E poi? - Nel giro di due o tre giorni mi
arrivò l’indirizzo email di Clinton. Allora chiamai Valentina Alferj, la mia
collaboratrice che mi aiuta a scrivere sotto dettatura da quando sono diventato
cieco: ‘Valentì, dobbiamo scrivere una email a Clinton. Io detto, tu traduci e
scrivi… Caro Presidente, l’ho sempre ammirata per il modo distaccato e sereno
in cui, dalla sua scrivania alla Casa Bianca, è riuscito a vedere i problemi
del mondo… Le sono grato per l’apprezzamento… Sarò felice di incontrarla quando
verrà a Roma…”. Mi rispose il giorno stesso, in una lettera allegata alla email
su carta intestata ‘William Jefferson Clinton’, che era felice di avere un
contatto col suo scrittore preferito. Gli mandai il mio libro storico sulla
politica e le donne, La rivoluzione della luna, e ora lo aspetto. Ma m’immagino
ancora il povero Renzi tutto sudato, come diciamo dalle mie parti pigghiato dai
turchi, che non capiva bene chi fosse questo birraio di Coso. Le risate! -.
Dei 5Stelle cosa pensi? - Che devono
prepararsi bene, perché certamente vinceranno, in questa politica senza
ricambio. E dovranno essere all’altezza per governare, perché si capisce
benissimo che toccherà a loro. Mi auguro che funzionino, perché non rimanga
delusa anche questa speranza. Che è grande: gli italiani sono disperati e
impazienti, come si dice in Toscana sono ‘alle porte coi sassi’. Io non escludo
che ce la possano fare: certo, hanno dato anche esempi negativi, ma per esempio
a Torino la sindaca Appendino e la sua squadra sono un modello positivo, e
vengono dopo un sindaco come Fassino che funzionava benino: perché non se ne
parla mai? Io credo che l’unica soluzione, specialmente dopo questa truffa dei
voucher cancellati per ammazzare il referendum della Cgil e poi ripristinati il
giorno dopo, sia che nasca un’unica formazione a sinistra del Pd, che ormai è
destra, e cerchi un’intesa con i 5Stelle sulle politiche sociali: lavoro e
reddito minimo. Tutto il resto non conta. (…). -.
A proposito, Andrea: quando inizi a scrivere
il prossimo? - Quando finisco, vorrai dire? Ogni mattina Valentina e io ci
mettiamo lì al nostro tavolo matrimoniale, a due piazze. Io ormai intravedo
solo ombre: detto e lei riporta, rilegge e corregge sul suo computer. Due ore
filate di scrittura ogni giorno, prima che inizi l’assedio di quelli che chiamano
per un parere su un fatto di cronaca, quelli che vogliono premiarmi col Bullone
d’Oro, quelli che vorrebbero due paginette sull’evoluzione del fico d’India…
Col nuovo Montalbano siamo a buon punto: l’altro giorno abbiamo scoperto chi
era l’assassino e ora dobbiamo capire se è quello giusto… Così ci siamo fermati
prima dell’ultimo capitolo -.
In poco più di un’ora hai acceso e spento
cinque sigarette. Quante ne fumi? - Diciamo due pacchetti e mezzo, ma solo per
finta. In realtà sono molte meno. Accendo, do due o tre tiri, poi spengo.
Essendo cieco, non sono più costretto a vedere quell’orrenda scritta sui
pacchetti “Il fumo rende ciechi”. Già fatto, grazie… Per il resto sto benone,
compatibilmente con i miei 90 anni suonati. Mia madre diceva: ‘Passata la sittantina,
un dolore ogni matina’. I medici continuano a visitarmi alla ricerca di qualche
intoppo, stanno qui per ore, ma alla fine non trovano mai nulla e ci restano
male. Se ne vanno con l’aria sconsolata: ‘Che le devo dire, dottò, è tutto
nella norma. Se vuole, si faccia un po’ di vitamina B…”. Ma poi ritornano:
esami, analisi, accertamenti. E il sangue, e l’aorta, e l’eco-coso… Niente, li
deludo sempre. Se mi levassero le sigarette ora, mi ammazzerebbero -.
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