Questa “letturadeigiornipassati” tratta da “Prof che sanno pescare i giovani nella
rete” di Umberto Galimberti, pubblicata sul settimanale “D” del 30 di
luglio dell’anno 2016, è il perfetto “sequel” - brutto anglicismo per dire
molto più semplicemente “seguito” – al post di ieri «Le parole portano con sé la Legge dell'uomo; sono luce, apertura,
orizzonte, casa». Poiché l’estate dell’Invalsi ha portato a scoprire il “buco
nero” creatosi – da solo, inaspettatamente? - nella scuola italiana.
Eppure questa lettura, come tante altre ancora, stanno a testimoniare di quell’inerzia propria della struttura scolastica italiana. Con una conferma: l’indifferenza della struttura a problematiche che sono antecedenti all’estate dell’Invalsi. E sui gravi problemi creati dalla “connessione permanente” negli adolescenti come negli adulti, denunciati nel post di ieri, ne ebbe a scrivere Federico Rampini in “Diventare rinoceronti senza accorgersi”, pubblicato sul settimanale “D” dell’8 di dicembre dell’anno 2018: Chi di noi ricorda la prima volta che vide per strada uno zombie umano camminare con gli occhi incollati allo schermo dello smartphone? Impossibile ricordarlo. Probabilmente la scena ci colpì solo per un attimo. (…). Chi ancora si ostina a camminare guardando gli altri negli occhi è destinato all’estinzione? Ci rendiamo conto della metamorfosi di massa cui ci hanno sottoposti i Padroni della Rete? Esperimenti da laboratorio su miliardi di esseri viventi. Cavie già affette da una mutazione irreversibile, temo: il sequestro dell’attenzione. Ebbene, è proprio il “male” denunciato da Massimo Recalcati nel post di ieri. Ho scelto di rendere permanente a pie’ di pagina di questo blog, a “futura memoria”, la brevissima citazione di Federico Rampini. Quanti degli incauti visitatori di questo blog l’hanno “scovata” per leggerla? E per rifletterci su? Quanti si sono riconosciuti in quello “zombie umano” che ci ha ricordato Rampini? E di tutti gli “zombi” incontrati in treno, nelle sale d’aspetto di un ospedale, di un pubblico ufficio, a tavola in un ristorante, o alla guida della propria vettura, chini sul loro perverso strumento di “distrazione di massa”? E se ci si è riconosciuti in quegli “zombi”, quale lezione se ne è tratta? Vai a saperlo! Ha scritto Umberto Galimberti: Se gli studenti sono tra loro sempre interconnessi, perché non connettersi, da insegnanti, con loro? L'idea è ottima ed efficace. Richiede solo dedizione. (…). È un lavoro, questo, che neppure i genitori fanno con i loro figli, ed è encomiabile che lo faccia un'insegnante con i suoi alunni. È ovvio che i (…) colleghi (…) critichino per la (…) disponibilità di tempo e di energie, perché per loro evidentemente la scuola è un "lavoro", e come ogni lavoro affatica, quindi non capiscono perché alla fatica mattutina bisogna aggiungerne una pomeridiana. Ci sono però dei lavori che non impegnano solo il nostro fare, ma soprattutto il nostro essere. Tale è il lavoro del medico, del prete, dell'artista, dello scrittore, e del professore. Questo non significa che tali lavori non affatichino, ma sono assolutamente convinto che affaticano molto di più se il nostro essere resta estraneo al nostro fare, per non parlare del fatto che la qualità del nostro fare ne soffre e risulta scadente per la mancata partecipazione del nostro essere. (…). E questo, per chi insegna, è molto più utile degli inutili corsi di aggiornamento, dove ad aggiornare sono sempre gli adulti che parlano dei giovani secondo le categorie con cui li interpretano, invece di sollecitare gli insegnanti a parlare direttamente con loro, in presa diretta, come i giovani parlano tra loro con quei mezzi informatici che li rendono radicalmente diversi da noi. Giusto per fare un esempio, Kant diceva che spazio e tempo sono due intuizioni a priori senza le quali è impossibile fare esperienza, ma l'informatica, accorciando lo spazio fino ad annullarlo e velocizzando il tempo fino a rattrappirlo nell'assoluto presente, ha trasformato in modo radicale la modalità con cui i giovani fanno esperienza, rendendola decisamente diversa da quella di quanti sono cresciuti in epoca pre-informatica, quando spazio, tempo, corpo e comunicazione avevano uno spessore materiale e non virtuale. Sono sicuri, gli insegnanti, di poter comunicare con efficacia e soprattutto di essere capiti senza entrare nel mondo esperienziale dei giovani, che ogni mattina hanno davanti agli occhi? Oppure, anche per questa mancanza di un mondo comune, rischiano di non vederli? Non lo dico per fare un'apologia dell'informatica e del mondo virtuale, che purtroppo ha sostituito quello reale. Ma per prendere atto che questa sostituzione è avvenuta. E poiché è stata la più grande rivoluzione della storia e ha collocato i giovani, a loro stessa insaputa, come pesci in una "rete", è proprio lì che i professori devono andare a "prenderli". (…).
Eppure questa lettura, come tante altre ancora, stanno a testimoniare di quell’inerzia propria della struttura scolastica italiana. Con una conferma: l’indifferenza della struttura a problematiche che sono antecedenti all’estate dell’Invalsi. E sui gravi problemi creati dalla “connessione permanente” negli adolescenti come negli adulti, denunciati nel post di ieri, ne ebbe a scrivere Federico Rampini in “Diventare rinoceronti senza accorgersi”, pubblicato sul settimanale “D” dell’8 di dicembre dell’anno 2018: Chi di noi ricorda la prima volta che vide per strada uno zombie umano camminare con gli occhi incollati allo schermo dello smartphone? Impossibile ricordarlo. Probabilmente la scena ci colpì solo per un attimo. (…). Chi ancora si ostina a camminare guardando gli altri negli occhi è destinato all’estinzione? Ci rendiamo conto della metamorfosi di massa cui ci hanno sottoposti i Padroni della Rete? Esperimenti da laboratorio su miliardi di esseri viventi. Cavie già affette da una mutazione irreversibile, temo: il sequestro dell’attenzione. Ebbene, è proprio il “male” denunciato da Massimo Recalcati nel post di ieri. Ho scelto di rendere permanente a pie’ di pagina di questo blog, a “futura memoria”, la brevissima citazione di Federico Rampini. Quanti degli incauti visitatori di questo blog l’hanno “scovata” per leggerla? E per rifletterci su? Quanti si sono riconosciuti in quello “zombie umano” che ci ha ricordato Rampini? E di tutti gli “zombi” incontrati in treno, nelle sale d’aspetto di un ospedale, di un pubblico ufficio, a tavola in un ristorante, o alla guida della propria vettura, chini sul loro perverso strumento di “distrazione di massa”? E se ci si è riconosciuti in quegli “zombi”, quale lezione se ne è tratta? Vai a saperlo! Ha scritto Umberto Galimberti: Se gli studenti sono tra loro sempre interconnessi, perché non connettersi, da insegnanti, con loro? L'idea è ottima ed efficace. Richiede solo dedizione. (…). È un lavoro, questo, che neppure i genitori fanno con i loro figli, ed è encomiabile che lo faccia un'insegnante con i suoi alunni. È ovvio che i (…) colleghi (…) critichino per la (…) disponibilità di tempo e di energie, perché per loro evidentemente la scuola è un "lavoro", e come ogni lavoro affatica, quindi non capiscono perché alla fatica mattutina bisogna aggiungerne una pomeridiana. Ci sono però dei lavori che non impegnano solo il nostro fare, ma soprattutto il nostro essere. Tale è il lavoro del medico, del prete, dell'artista, dello scrittore, e del professore. Questo non significa che tali lavori non affatichino, ma sono assolutamente convinto che affaticano molto di più se il nostro essere resta estraneo al nostro fare, per non parlare del fatto che la qualità del nostro fare ne soffre e risulta scadente per la mancata partecipazione del nostro essere. (…). E questo, per chi insegna, è molto più utile degli inutili corsi di aggiornamento, dove ad aggiornare sono sempre gli adulti che parlano dei giovani secondo le categorie con cui li interpretano, invece di sollecitare gli insegnanti a parlare direttamente con loro, in presa diretta, come i giovani parlano tra loro con quei mezzi informatici che li rendono radicalmente diversi da noi. Giusto per fare un esempio, Kant diceva che spazio e tempo sono due intuizioni a priori senza le quali è impossibile fare esperienza, ma l'informatica, accorciando lo spazio fino ad annullarlo e velocizzando il tempo fino a rattrappirlo nell'assoluto presente, ha trasformato in modo radicale la modalità con cui i giovani fanno esperienza, rendendola decisamente diversa da quella di quanti sono cresciuti in epoca pre-informatica, quando spazio, tempo, corpo e comunicazione avevano uno spessore materiale e non virtuale. Sono sicuri, gli insegnanti, di poter comunicare con efficacia e soprattutto di essere capiti senza entrare nel mondo esperienziale dei giovani, che ogni mattina hanno davanti agli occhi? Oppure, anche per questa mancanza di un mondo comune, rischiano di non vederli? Non lo dico per fare un'apologia dell'informatica e del mondo virtuale, che purtroppo ha sostituito quello reale. Ma per prendere atto che questa sostituzione è avvenuta. E poiché è stata la più grande rivoluzione della storia e ha collocato i giovani, a loro stessa insaputa, come pesci in una "rete", è proprio lì che i professori devono andare a "prenderli". (…).
Grazie Aldo, certo che mi sento gratificata da questo post che considero un altro "gioiello". È vero, è il "seguito" ed il completamento di quello precedente ed è soprattutto una conferma di quanto sia importante l'opera degli insegnanti. Opera che, come sappiamo per esperienza," impegna non solo il fare, ma soprattutto l'essere", come afferma Galimberti. Infatti, senza una vera,totale partecipazione del docente con il cuore e con la mente, non si ottiene alcun risultato in campo educativo. Grazie ancora dei preziosi spunti di riflessione, contenuti nei post che ci offri e buon lavoro. Agnese A.
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