Da “Effetto
serra i giochi pericolosi degli apprendisti stregoni” di Federico Rampini,
sul settimanale “Affari&Finanza” dell’8 di giugno 2015: Quaranta
dollari per tonnellata: è la carbon tax che sarebbe necessaria per ridurre le
emissioni di CO2 in misura tale da rallentare il cambiamento climatico. Ma
nessuna grande nazione è disposta a varare una carbon tax di questa entità. Gli
economisti spiegano che siamo in presenza di una classica situazione da
free-rider, come si chiama chi sale in bus senza pagare il biglietto. Una
carbon tax così elevata avrebbe forti costi sull’economia nazionale, ma i
benefici andrebbero al resto del mondo. In un’ottica di interesse egoistico e
di breve periodo, ciascuno calcola che conviene che siano altri a pagare.
Questo spiega perché i progressi nella lotta alle emissioni carboniche siano
insufficienti. La frustrazione spinge gli esperti a cercare un altro tipo di
soluzione: la geo-ingegneria. Tecnologie che rallentino il cambiamento
climatico senza passare attraverso la riduzione delle emissioni di CO2. Molti
progetti sono stati esaminati in un rapporto della National Academy of
Sciences, “Climate Intervention: Reflecting Sunlight to Cool Earth”. La maggior
parte delle soluzioni di geo-ingegneria punta a riflettere la luce del sole,
cioè a rinviarla al mittente per attenuarne l’effetto riscaldante. Si tratta di
imbiancare la terra: le pareti dipinte di bianco garantiscono un ambiente più
fresco perché il bianco riflette la luce, l’assorbe di meno dei colori scuri.
Un altro paragone è quello con le eruzioni vulcaniche. Dopo il vulcano Pinatubo
nelle Filippine (1991) ci fu un abbassamento di mezzo grado
nella temperatura della terra. Il Pinatubo aveva proiettato nella stratosfera
20 milioni di tonnellate di anidride solforosa, le cui particelle rispecchiano
i raggi del sole e schermano la terra. I progetti di geo-ingegneria puntano a
provocare l’equivalente artificiale delle eruzioni usando mezzi tipo cannoni o
missili che lancino nella stratosfera particelle di zolfo. Il rapporto
dell’Academy mette in guardia contro i rischi che corriamo giocando agli
apprendisti stregoni. Le finte eruzioni vulcaniche affronterebbero solo un
problema – la temperatura – ma lascerebbero intatti altri effetti
dell’inquinamento come l’acidità degli oceani. Né siamo sicuri che i benefici
delle eruzioni artificiali sarebbero equamente ripartiti su tutte le zone del
mondo. Questo apre la possibilità che le geo-ingegneria sia usata per scopi
bellici: manipolando il clima per colpire i propri nemici.
Da “Dal
patto Usa-Cina al fracking 2014, l'anno del sogno possibile” di Thomas L.
Friedman, sul quotidiano la Repubblica del 15 di dicembre dell’anno 2014: (…). …l'incipit
del mio editoriale ora dovrebbe essere così: (…). …il prezzo mondiale del
petrolio è precipitato, rendendo meno probabile che il mondo faccia quello che
secondo l'Aie dovremmo fare, cioè lasciare sottoterra la maggior parte delle
riserve mondiali di petrolio e gas naturale. Come l'Aie ha osservato, «di qui
al 2050 si potrà consumare non più di un terzo delle riserve dimostrate di
combustibili fossili», se non si vuole rischiare di superare quella soglia dei
2 gradi di aumento della temperatura media oltre la quale, secondo gli scienziati,
si metterebbero in moto processi sconvolgenti di scioglimento dei ghiacci,
innalzamento del livello dei mari e fenomeni meteorologici di portata estrema.
(…). Una delle ragioni per cui mi ero convinto che la bilancia stesse pendendo
con decisione dalla parte dell'azione era una notizia rilanciata dalla Bbc da
San Paolo del Brasile: «Nella più grande città del Brasile una stagione secca
senza precedenti e una domanda di acqua in costante aumento hanno prodotto una
pesantissima siccità». Quando una regione metropolitana di 20 milioni di
abitanti rimane a secco a causa della distruzione delle sue foreste naturali e
dei suoi bacini idrografici, sommata a un evento meteorologico estremo reso
ancora più pesante, secondo gli scienziati, dai cambiamenti climatici,
ostinarsi a negare l'evidenza diventa impossibile. Poi c'è stato quel patto di
importanza storica del 12 novembre fra il presidente americano Obama e il
presidente cinese Xi Jinping, che impegna gli Usa a ridurre le loro emissioni
di anidride carbonica del 26-28 per cento rispetto ai livelli del 2005 entro il
2025, e che impegna la Cina a raggiungere il picco delle sue emissioni nel 2030
o anche prima. La Cina si è impegnata anche a sviluppare, sempre entro il 2030,
fra gli 800 e i 1.000 gigawatt in più di energia pulita, il che darà una grossa
spinta all'innovazione nel campo delle energie pulite e contribuirà a fare per
il solare, l'eolico e le batterie quello che Pechino ha fatto per le scarpe da
tennis, cioè ridurre significativamente i prezzi a livello mondiale. Ma che cosa
succede se (…) il fracking, come successe con l'introduzione del pc che fece
precipitare il costo dei calcolatori elettronici, finisse per inondare il
pianeta di petrolio sempre più a buon mercato, ostacolando la riduzione delle
emissioni? C'è una via d'uscita da questo dilemma. Bisogna prendere una scelta
politica difficile che però porterà benefici al clima: alzare l'accisa sulla
benzina. «Le strade americane si stanno sgretolando», (…). «Le infrastrutture
cadono a pezzi. Le nostre ferrovie sono una barzelletta ». Nel frattempo il
prezzo della benzina alla pompa sta scendendo verso i 2,5 dollari al gallone
(il livello medio nazionale più basso dal 2009) e i consumatori corrono a
comprare Suv e camion. La «soluzione chiara», (…), è fissare un prezzo per la
benzina in America, per esempio 3,5 dollari al gallone, e poi tassare qualsiasi
prezzo inferiore a 3,5 dollari fino ad arrivare a quel livello. Gli europei
dovrebbero fare qualcosa di simile. «E poi cominciamo a spendere immediatamente
i miliardi per le infrastrutture. Con una tassa di 1 dollaro per gallone, il
governo Usa potrebbe intascare circa 150 miliardi di dollari l'anno», (…). «Il
moltiplicatore degli investimenti darebbe un'ulteriore spinta all'economia sia americana
che europea». E allora: un modo per fare del 2014 un anno realmente decisivo
esiste: ma solo i leader politici possono scrivere quell'incipit.
Da “Un tetto
di due gradi al surriscaldamento ma il mondo deve rinunciare al petrolio” di
Maurizio Ricci, sul quotidiano la Repubblica del 9 di giugno 2015: (…). Dunque,
ci siamo: sull’orlo dell’abisso, il mondo si è fermato e ha scongiurato la
prospettiva di un pianeta inabitabile? La risposta è no. C’è in giro una
diversa sensibilità, una nuova consapevolezza, una inedita urgenza nelle mosse
dei politici. Usa e Europa sono riusciti a superare le resistenze di Canada e
Giappone. Ma la virata è solo iniziata. Gli impegni presi finora da Usa, Cina,
Ue non bastano a centrare l’obiettivo dei 2 gradi, oltre i quali il clima,
dicono gli scienziati, impazzirebbe. La valutazione è di lord Nicholas Stern,
uno dei massimi esperti internazionali sul clima. Di questo passo, arriveremmo
oltre i 3 gradi nel 2100. Secondo Climate Action Tracker, gli impegni attuali
costituiscono solo il 5 per cento di quello che sarebbe necessario già subito,
entro il 2020. E, in realtà, nel 2030, invece di ridurre, staremmo più o meno
come adesso. Perché, per diminuire le emissioni nel 2050, bisogna cominciare
subito, anzi, è già tardi. E senza barare: Obama, la Merkel e gli altri G7,
quando annunciano un impegno a ridurre le emissioni del 60-70 per cento,
rispetto a quelle registrate nel 2010, sanno benissimo che, secondo gli
scienziati, per centrare l’obiettivo dei 2 gradi, la riduzione deve essere,
invece, più alta (l’80 per cento) e rispetto ai livelli di emissione del 1990,
più bassi di quelli del 2010, dunque più severa. Anche le buone intenzioni,
comunque, contano. E, in politica, costano anche. Soprattutto, se alle parole
si vogliono far seguire i fatti ed evitare contraddizioni come il via libera di
Renzi alle trivellazioni in Adriatico e di Obama nell’Artico. Perché, rispetto
a Copenaghen, molte cose sono più chiare: a cominciare dalla posta in gioco e
dagli interessi in ballo. Questa non è una storia da anime belle preoccupate
per il destino delle cinciallegre e di vetri termici alle finestre per ridurre
il riscaldamento. Se si vuole, si può anche azzardare una cifra: 28 mila
miliardi di dollari, quasi quanto il prodotto annuale di tutti i G7. Sono le
riserve di gas, petrolio, carbone in portafoglio — secondo gli analisti di
Kepler Cheuvreux — ai grandi dell’energia, da Exxon in giù. La vera partita che
sarà giocata a Parigi è cosa fare di queste riserve. Se non possono essere
contate, il valore di Big Oil in Borsa sarà devastato e decimato. Ma, secondo
una recente ricerca pubblicata su Nature , l’80 per cento delle riserve di
carbone, metà di quelle di gas, un terzo del petrolio deve restare per sempre
sotto terra: usarle significa sfondare il muro dei 2 gradi. Di conseguenza,
bisognerebbe fare come se non esistessero. Quando Bp, Eni, Total, Shell
sollecitano una tassa sulle emissioni puntano a salvare le riserve, pur
accettando di pagare un costo maggiore. Ma, oltre Atlantico, Exxon e Chevron
hanno trattato i loro colleghi europei da traditori e menagramo e fatto capire
che sono pronti ad una resistenza ad oltranza. Prepariamoci ad uno scontro
epocale sul futuro dei combustibili fossili. (…). …i politici dovranno
dimostrare più coraggio di quello mostrato finora. (…).
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