Da “Basta
con le banche, il destino dell’Unione lo scelgano i popoli” di Jürgen
Habermas, sul quotidiano la Repubblica del 23 di giugno 2015: (…). L’unione
monetaria resterà instabile finché non sarà integrata da un’unione bancaria,
economica e fiscale. In altri termini, se non vogliamo che la democrazia sia
palesemente ridotta a puro elemento decorativo, dobbiamo arrivare ad un’unione
politica. (…). L’esito elettorale greco è quello di una nazione la cui netta
maggioranza insorge contro l’opprimente e avvilente miseria sociale imposta al
paese dall’austerità. In quel voto non c’è nulla da interpretare: la
popolazione rifiuta la prosecuzione di una politica di cui subisce il
fallimento sulla propria pelle. Sorretto da questa legittimazione democratica,
il governo greco sta tentando di ottenere un cambio di politica nell’Eurozona;
ma a Bruxelles si scontra coi rappresentanti di altri 18 paesi che giustificano
il loro rifiuto adducendo con freddezza il proprio mandato democratico. Il velo
su questo deficit istituzionale non è ancora del tutto strappato. Le elezioni
greche hanno gettato sabbia negli ingranaggi di Bruxelles, dato che in questo
caso gli stessi cittadini hanno deciso su un’alternativa di politica europea
subita dolorosamente sulla propria pelle. Altrove i rappresentanti dei governi
prendono le decisioni in separata sede, a livelli tecnocratici, al riparo
dell’opinione pubblica, tenuta a bada con inquietanti diversivi. Le trattative
per la ricerca di un compromesso a Bruxelles sono in stallo, soprattutto perché
da entrambi i lati si tende a incolpare gli interlocutori del mancato esito nei
negoziati, piuttosto che imputarlo ai difetti strutturali delle istituzioni e
delle procedure. Certo, nel caso di specie siamo di fronte all’attaccamento
cieco ostinato a una politica di austerità giudicata negativamente dalla
maggior parte degli studiosi a livello internazionale.
Ma il conflitto di fondo
è un altro: mentre una delle parti chiede un cambiamento di rotta, quella
contrapposta rifiuta ostinatamente persino l’apertura di una trattativa a
livello politico: ed è qui che si rivela una più profonda asimmetria. (…). Occorre
avere ben chiaro il carattere scandaloso di un tale rifiuto: se il compromesso
fallisce, non è per qualche miliardo in più o in meno, e neppure per la mancata
accettazione di una qualche condizione, ma unicamente per via della richiesta
greca di dare la possibilità di un nuovo inizio all’economia della Grecia, e
alla sua popolazione sfruttata dalle élite corrotte, attraverso un taglio del
debito o una misura analoga, quale ad esempio una moratoria collegata alla
crescita. I creditori insistono invece sul riconoscimento di una montagna di
debiti che l’economia greca non riuscirà mai a smaltire. Si noti che presto o
tardi un taglio del debito sarà inevitabile. Eppure, contro ogni buon senso, i
creditori non cessano di esigere il riconoscimento formale di un onere
debitorio realmente insostenibile. Fino a poco tempo fa ribadivano anzi una pretesa
surreale: quella di un avanzo primario superiore al 4%, ridotto poi a un 1%
comunque non realistico. Così è fallito finora ogni tentativo di arrivare un
accordo da cui dipende il futuro dell’Ue, soltanto in nome della pretesa dei
creditori di mantenere in piedi una finzione. (…). …le carenze del governo
greco non tolgono nulla allo scandalo dell’atteggiamento dei politici di
Bruxelles e Berlino, che rifiutano di incontrare i loro colleghi di Atene in
quanto politici. Anche se si presentano come tali, sono presi in considerazione
esclusivamente sul piano economico, nel loro ruolo di creditori. Questa
trasformazione in zombie ha il significato di conferire alle annose insolvenze
di uno Stato la parvenza di una questione di diritto privato, da deferire a un
tribunale. In tal modo risulta anche più facile negare qualsiasi responsabilità
politica. (…). La nostra stampa ironizza sul cambio di nome della troika, che
effettivamente assomiglia a un’operazione di magia. Ma è anche espressione del
desiderio legittimo di far uscire allo scoperto, dietro la maschera dei
finanziatori, il volto dei politici. Perché è solo in quanto tali che i
responsabili possono essere chiamati a rispondere di un fallimento che porta
alla distruzione di massa delle opportunità di vita, alla disoccupazione, alle
malattie, alla miseria sociale, alla disperazione. (…). Questa dissoluzione
della politica nel conformismo di mercato spiega tra l’altro l’arroganza con
cui i rappresentanti del governo federale tedesco – persone moralmente ineccepibili,
senza eccezione alcuna – rifiutano di ammettere la propria corresponsabilità
politica per le devastanti conseguenze sociali che pure hanno messo in conto
nell’attuazione del programma neoliberista. Lo scandalo nello scandalo è
l’ingenerosità con cui il governo tedesco interpreta il proprio ruolo di guida.
(…). …le élite della politica europea non possono più nascondersi ai loro
elettori, eludendo le decisioni da prendere a fronte dei problemi creati dalle
lacune politiche dell’unità monetaria. Devono essere i cittadini, e non i
banchieri, a dire l’ultima parola sulle questioni essenziali per il destino
dell’Europa. (…).
Da “La casta
dei burocrati non ci vuole ascoltare così l’Eurogruppo sta perdendo potere”
di Yanis Varoufakis, sul quotidiano la Repubblica del 22 di giugno 2015: (…).
La zona euro si muove in modo misterioso. Decisioni di importanza preminente
sono approvate senza riflettere da ministri delle Finanze che restano
all’oscuro dei dettagli, mentre i funzionari non eletti di istituzioni potentissime
sono bloccati in negoziati con una parte sola, un governo isolato e in
difficoltà. È come se l’Europa avesse deciso che i ministri eletti delle
Finanze non sono all’altezza del compito di conoscere a fondo i dettagli
tecnici, compito che è meglio lasciare a “esperti” che non rappresentano
l’elettorato ma le istituzioni. È impossibile in tali circostanze non chiedersi
fino a che punto tale metodo sia proficuo, e tanto meno se sia anche solo
lontanamente democratico. (…). Dal 2009 il deficit pubblico greco è stato
ridotto, in termini corretti per il ciclo, di uno strabiliante 20 per cento,
tanto da trasformare un ingente deficit in una grande eccedenza primaria
strutturale. I salari si sono contratti del 37%, le pensioni anche del 48%. Il
numero dei dipendenti statali è sceso del 30%, la spesa per i consumi del 33% e
perfino il disavanzo delle partite correnti si è contratto del 16%. Ahimè, la
correzione è stata a tal punto drastica che l’attività economica è stata
strangolata, il reddito complessivo è diminuito del 27%, la disoccupazione è
balzata alle stelle del 27%, il lavoro sommerso è progressivamente aumentato
arrivando al 34%, il debito pubblico è salito al 180% del Pil in rapido calo
della nazione. Ciò di cui la Grecia ha assolutamente bisogno ora non sono altri
tagli, tali da spingere una popolazione già molto depauperata in una condizione
di ulteriore avvilimento; né più alte percentuali di prelievo fiscale o oneri
che finiscano con lo strangolare del tutto ciò che resta dell’attività economica.
Queste misure “parametriche”, come le chiamano le istituzioni, sono state
eccessive, e ad esse si deve il fatto che oggi la nazione è in ginocchio. Ciò
di cui la Grecia ha disperatamente bisogno sono riforme serie ed equilibrate.
Ci serve un nuovo apparato fiscale che contribuisca a debellare l’evasione
fiscale e al contempo ad arginare le interferenze della politica e delle
imprese. Ci servono un sistema di approvvigionamento esente da corruzione,
procedure di concessione di licenze che siano business friendly, riforme
giudiziarie, soppressione di scandalose prassi di pensionamento anticipato,
adeguata regolamentazione dei media e del finanziamento dei partiti politici e
così via. Durante il meeting dell’Eurogruppo (…) ho presentato l’agenda di tutte
le riforme messe a punto dal nostro governo, studiate appositamente per
raggiungere gli obbiettivi enumerati, e ho annunciato la nostra decisione di
collaborare ufficialmente con l’Organizzazione per la cooperazione e lo
sviluppo economico (OC-SE) per vararle. Ho anche presentato una tassativa
proposta per far entrare in vigore un meccanismo di freno all’indebitamento
instaurato per legge che, fatto scattare da una commissione fiscale
indipendente, possa automaticamente ridurre tutte le spese pubbliche della
percentuale necessaria a rimettere sulla giusta strada la spesa pubblica per il
raggiungimento di obiettivi pre-concordati di primaria importanza. Ho
presentato all’Eurogruppo una serie di proposte ben ponderate per procedere a
swap del debito che consentirebbero alla Grecia di rientrare nei capital market
e di prendere parte al programma della Bce (meglio noto come quantitative
easing o alleggerimento quantitativo). (…). È increscioso, ma purtroppo la mia
presentazione è stata accolta da un silenzio assordante. (…). …tutti gli (…)
interventi hanno ignorato completamente le nostre proposte e rafforzato la
frustrazione dei ministri per il fatto che la Grecia…non aveva proposte! Chi
avesse assistito in maniera imparziale alle delibere dell’Eurogruppo giungerebbe
inesorabilmente alla conclusione che si tratta di un forum assai bizzarro, mal
attrezzato per prendere buone e solide decisioni quando l’Europa ne ha davvero
bisogno. Grecia e Irlanda all’inizio della crisi sono state fortemente colpite
perché l’Eurogruppo non era stato concepito per gestire efficacemente le crisi.
Ed è tuttora incapace di farlo. La domanda pressante è la seguente: quanto è
probabile che la zona euro diventi un’unione migliore alla quale appartenere,
qualora la Grecia sia data in pasto ai lupi malgrado il tipo di proposte
presentate (…)? O è più probabile che un’intesa su queste proposte potrebbe
effettivamente portare a maggiore apertura, maggiore efficienza e maggiore
democrazia?
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