“I tecnici”, “esperti”
ma non troppo. Oggi sarebbe il caso che non si parlasse di loro. Ché ben altri
affanni stanno ad assediare ed insidiare le nostre già magre esistenze.
Parliamo allora degli “esperti”. Non capisco perché oggi
li si voglia nomare “tecnici”. Forse per il fatto che la tecnica abbia invaso così
prepotentemente, stravolgendole, le nostre esistenze? Bisogna pur riconoscere
che essa, la tecnica intendo dire, ha reso un tantino più semplice la nostra
vita. È che è stata la politica ad avere decretato l’abbandono del termine “esperti”
per rifugiarsi in quell’equivalente oggigiorno di gran moda. Ma forse dietro
l’ambiguità della scelta si nasconde l’imbroglio. E l’imbroglio sta nel fatto che
quelli della “casta” – copyright di quel grande che è Gian Antonio Stella; e
maledizione torniamo a parlare di quelli! –, che risultano non essere esperti
in nulla, hanno trovato molto meglio definire
“tecnici” i momentanei soccorritori alle loro deficienze, termine
che lascia tutto nel vago in un malandato paese nel quale di “tecnici”
se ne ritrovano a milioni, basti pensare a tutti i “tecnici” che dal lunedì
al sabato sera disquisiscono di tattiche,
moduli e quant’altro afferisce al disincantato, corrotto mondo del
calcio. Cosicché utilizzando a piene mani come “fonema” il termine “tecnici”
si dice e non si dice di un qualcuno chiamato all’ardua impresa, e tutto resta
nell’ambiguo, stante proprio quella moltitudine di “tecnici” che albergano spensierati
nelle ridenti contrade del bel paese. Che in più quel “tecnici” ha il pregio di
poter essere appiccicato a chicchessia. Tanto è vero che, in quelle ridenti e
verdi contrade, sia potuto accadere che i “tecnici” abbiano mutato in un sol
giro di danza la loro pelle e siano divenuti arditamente di quelli della “casta”
mostrandone le insufficienze, le megalomanie e la spaventevole sfrontatezza.
Una piroetta di quei voltagabbana dei “tecnici” che non abbisogna di
esempi per essere confermata, tanti ce ne sono stati nei decenni passati, di
esempi intendo dire, che pur volendone scacciare il ricordo pessimo che hanno
dato nel loro operare una traccia indelebile rimarrà nell’immaginario
collettivo per l’eternità.
Ora, dell’ultimo “tecnico” rivelatosi
puntualmente un (in)esperto – quello che ad ogni pie’ sospinto intravvedeva
luci in fondo ai tunnel scavati nel bel paese – ne aveva scritto il professor
Umberto Galimberti il 31 di marzo dell’anno 2012 col titolo “In che senso è tecnico il governo Monti?”
sul settimanale “D” di Repubblica. Buona cosa sembra sia stata che l’illustre
studioso non abbia fatto ricorso al più pregnante “esperto”. Scriveva a
quel tempo l’illustre: Ci sono delle parole, come avvertiva Nietzsche,
che, a furia di usarle, lasciano intendere che la realtà a cui si riferiscono
esista. Una di queste è la parola «democrazia» la cui attuazione forse non è
mai esistita. Non in Grecia dove la parola fu coniata, non nell'Impero romano,
tanto meno nei mille anni di Medioevo, non parliamo delle Signorie e dei
Principati, e via via proseguendo nell'Ottocento e nel Novecento che ha
assistito a fascismi, nazismi e due guerre mondiali. E questo solo per
limitarci all'Occidente, senza sporgere lo sguardo sul resto del mondo dove è
difficile reperire forme democratiche di convivenza. Non riduciamo poi la
democrazia alla possibilità di voto, perché, come spesso ribadisce Giovanni
Sartori, questa è solo una modalità tra le tante di eleggere i capi. La
democrazia è ben altro. Dobbiamo allora concludere, utilizzando una
formulazione di Kant, che la democrazia è un'«idea regolativa» verso cui
dobbiamo tendere, per quanto faticoso sia il percorso per giungervi. Lo stesso
Platone non credeva alla democrazia, che significa «governo del popolo», se poi
il popolo veniva persuaso da quegli affabulatori che erano i retori e i sofisti
che, con la loro retorica e i loro sofismi, con falsi sillogismi e con la
mozione degli affetti, ottenevano il consenso. Oggi la retorica ha il suo
strumento potentissimo nei media. E l'arte della persuasione, e non un corretto
esame della realtà, ha affascinato e sedotto per anni molti italiani, finché è
giunta la resa dei conti che ha determinato il discredito della politica (…).
Ora, (…), abbiamo un "governo tecnico" che non è "tecnico"
perché né lui, né ì suoi ministri sono stati eletti, come spesso si sente dire.
Io penso che il (…) governo Monti sia "politico", non solo perché non
c'è una sua decisione che non sia approvata dal parlamento (che essendo da noi
composto da nominati e non da eletti, questo si potremmo definire non
democratico), ma perché, com'era nell'ideale dei Platone, cerca di pensare al
«bene comune» del Paese e non agli interessi di parte. L'unica ragione per cui
lo possiamo definire «tecnico», e non è una ragione da poco, è che, dopo
l'esperienza berlusconiana Monti ha dovuto scegliere come orizzonte di riferimento,
a partire dal quale prendere i suoi provvedimenti, la "razionalità tecnica
dei mercati", capovolgendo l'ideale platonico che subordinava la tecnica
alla politica, perché la tecnica sa "come" le cose si devono fare, ma
spetta alla politica stabilire "se e per quale ragione" si devono
fare. La colpa di questa scelta tecnica (…) è (…) della nostra cultura europea
e americana che ha scelto la razionalità economica come unico riferimento per
organizzare una società, anche se la razionalità economica comprime il mondo
della vita e, per molti strati sociali, addirittura la sacrifica, in nome
dell'efficienza e della produttività che sono gli unici valori riconosciuti
dalla tecnica. Per cui, come osserva Heidegger, siamo diventati tutti
«impiegati», piegati alla razionalità tecnica che abbiamo eletto a forma
organizzativa della nostra società. Questo è il vero problema. Comprendo
la contrarietà di quei pochi incauti navigatori della rete incagliatisi su
questo blog essendo il mio discorrere, inevitabilmente, scivolato giù giù per
la china sino a tornare a parlare proprio di quelli, dei politici della
malapolitica. Me ne dolgo e tento un recupero estremo recuperando dal mio “archivio”
dello ieri e dell’altro ieri un pezzo di Giacomo Papi - che risale al 30 di
luglio dell’anno 2011 - che ha per titolo “Gli
esperti”: Eraldo rimane in disparte, zitto e un po' triste, a osservare la scena.
È una notte di luglio piena di stelle. I suoi amici si passano un iPhone e lo
puntano contro il cielo. Qualcuno ha scaricato "Star Walk" (…),
l'applicazione che consente di riconoscere al volo le costellazioni che ci
girano sopra la testa. Eraldo è un astrofilo dilettante. Soltanto cinque anni
fa, gli amici avrebbero chiesto a lui. Ora non serve più a nulla. Uberto è un
tipo scialbo. Per rimediare ha imparato gli accordi di mille canzoni. Se a
qualcuno veniva voglia - e a qualcuno ogni estate veniva - di cantare "Il
mio canto libero" di Lucio Battisti o "L'angelo azzurro" di
Umberto Balsamo, doveva chiedere a lui. Uberto imbracciava la chitarra, faceva
un sorriso e per qualche minuto riscattava la propria mediocrità agli occhi del
prossimo. Quest'anno è diverso. Tutti hanno scaricato "Songsterr",
l'app gratuita che ti insegna anche arpeggi e diteggiature di migliaia di
brani. E mio zio Giorgio chissà come sta? Da bambino mi ha insegnato tutto
quello che so sui lepidotteri. Oggi mi basterebbe scaricare "Sai
riconoscere le farfalle" (…) che si avvale della consulenza degli illustri
professori Pier Lugi Nimis e Stefano Martellos. Manca solo Nabokov. (…). Vecchi
pescatori ammaestrati dalla millenaria sapienza dei loro padri, nonni e
trisavoli a prevedere, attraverso piccoli segnali, i comportamenti del mare
fottuti dall'avvento di "Meteo3b"; riconoscitori di funghi spazzati
via da "Funghimania" (…); esperti di vini resi inutili da
"iSommellier" (…); legioni di cinefili umiliati da "Imdb"
(gratis); conoscitori di strade fagocitati da "Google Maps";
riconoscitori di canzoni ridicolizzati da "Shazam"; centinaia di
migliaia di medici assediati, ovunque, da falangi di pazienti arroganti e
saccenti grazie alle informazioni raccolte in rete. Fioriscono tutorial per
ogni cosa. (…). Per la prima volta, da quando 50mila anni fa l'homo sapiens è
comparso sulla Terra, l'autorità di sapienti e sacerdoti sta tramontando. Nel
giro di dieci anni accumulare nozioni e ricordarle non avrà più alcun senso.
Basterà saperle trovare. L'era del sapere individuale è terminata. La
conoscenza emigra nell'infinito metacervello collettivo della rete di cui
Wikipedia è simbolo e incarnazione. Non è un caso che da anni i quiz televisivi
non siano più basati sul nozionismo, ma sulla velocità e l'intuizione.
L'enciclopedico è una figura che appartiene al passato, come l'alchimista o
l'aruspice. Un unico sapere non sarà travolto. Si tratta dell'attitudine e
della capacità di definire i significati e il senso delle cose. Non c'è app che
possa fregare il mio amico Parmenide. Ho chiesto a due bambini, uno di dieci,
l'altra di sei: "Se trovate una foglia, come fate a sapere con certezza di
quale albero è?". Il primo ha risposto: "Chiedo al nonno". La
seconda: "Guardo sul computer" (…). Ma poi ha chiesto: "Che cosa
vuol dire certezza?". Ché i nostri “esperti”, rinomati dalla
malapolitica quali “tecnici”, al pari degli antichi aruspici ricorrano alla
osservazione delle viscere degli animali immolati per discernere nell’imponderabilità
degli avvenimenti della politica e della moderna economia globalizzata? Ha
scritto Michele Serra ne “L’Amaca” del 26 di aprile ultimo scorso sul
quotidiano la Repubblica: (…). A patto di trovare una definizione
consona anche per i sapientoni, gli espertissimi e i bilaureati che, da
ministro o da superconsulente pubblico e/o privato, non hanno previsto la
crisi, non hanno visto i capitali evadere dal mondo della produzione e
infrattarsi nei paradisi fiscali, non hanno mosso un dito contro la
decuplicazione dei redditi alti e la decimazione di redditi bassi, non hanno
impedito che gli imbroglioni alla Madoff costruissero sui debiti privati
colossali speculazioni (come edificare una cattedrale gotica su una voragine),
non hanno legiferato per rafforzare i controlli e al contrario hanno
de-regolato tutto il deregolabile e anche di più; insomma, per dirla con un
eufemismo, non si sono distinti nella prevenzione dell’attuale catastrofe, e
oggi come unico rimedio propongono in coro, con una sola voce, nuovi tagli allo
stato sociale. Non si tratta di fare di tutta l’erba un fascio; ma insomma, la
consorteria di tecnocrati che conduce o tenta di condurre l’economia europea
avrebbe buon gioco (…) se avesse alle spalle una lunga teoria di successi; e di
brillanti rimedi, almeno alcuni dei quali non punitivi per i poveri. Così non
è. Non bastano la camicia bianca e la cravatta giusta per azzeccarci.
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