"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

mercoledì 3 giugno 2015

Oltrelenews. 43 “Ripresa-ripresina”.



Da "La ripresa c'è ma è troppo debole, a trainarla finora è solo l'export" di Eugenio Occorsio, intervista alla economista Lucrezia Reichlin - della London Business School – pubblicata sul quotidiano la Repubblica del 28 di febbraio 2015: "Il dato dell'Istat, e il moderato ottimismo che ha generato, non mi stupiscono perché è quasi fisiologico che un'economia si riprenda dopo una recessione. I segnali positivi sono cominciati ad arrivare da ottobre ma, dato il ritardo con cui i dati sono stati pubblicati, si può stimare che l'economia abbia ricominciato a marciare fin da settembre". (…). Certo, è una "ripresina", ma per noi che eravamo abituati al segno negativo... È solo una questione di cicli? "Con la mia società di ricerca Now casting economics che analizza i dati in tempo reale, stimiamo anche cifre più alte, +0,16%, una previsione più ottimistica di quella della Commissione europea. Non scordiamoci però che la ripresa dell'Italia è più anemica di quella della Spagna, della Francia e della Germania. In senso relativo non andiamo bene. E questo è particolarmente preoccupante perché noi siamo il paese che, dopo la Grecia, ha avuto la maggiore perdita di Pil (e produzione industriale) dalla crisi del 2008". (…). Renzi naturalmente si attribuisce buona parte del merito. È riuscito a iniettare almeno un po' di fiducia, di dinamismo? "Renzi ha tanti meriti e sicuramente l'ottimismo aiuta in economia. A mente fredda, però, non direi che si possa facilmente identificare un nesso tra le sue politiche e la ripresa. La ripresa italiana è correlata a quelle delle altre economie europee. E' in parte anche da attribuire alla ripresa Usa, molto robusta, e alle politiche della Bce che hanno agito su tasso di cambio e costo del credito, e ancora al ribasso del prezzo del petrolio e a una minore incertezza sulla crisi europea". Quando andrà a regime il Jobs Act ci saranno risultati visibili in termini di occupazione? "Speriamo! Non scordiamoci però che per gli investitori i fattori chiave sono burocrazia, corruzione e sistema giudiziario. Bisogna andare avanti su tutti i fronti". (…). Quali saranno gli effetti positivi del QE e qual è la possibilità di un vero trasferimento all'economia reale con l'uscita dalla deflazione? "L'effetto del QE in qualche modo c'è già stato. Nel momento stesso in cui una politica del genere è annunciata e quindi attesa, si riflette subito su tasso d'interesse e tasso di cambio. Ne stiamo già beneficiando. Ma uscire dalla deflazione non sarà facile. Il mercato del lavoro è ancora molto debole, gli investimenti e la crescita della produttività molto bassi. Una crescita trimestrale di 0,16% che fa sperare un tasso per il 2015 intorno all'1% non è del tutto confortante".

Da “Cosa dicono davvero i dati Istat sulla ripresa” di Alberto Bisin, sul quotidiano la Repubblica del 30 di maggio 2015: Il Paese ha finalmente ripreso a crescere; il timore della deflazione è finito. I titoli dei giornali si sprecano, ed è giusto che sia così. Il Paese ha bisogno di buone notizie e la pubblicazione dei conti economici trimestrali da parte dell’Istat permette un qualche ottimismo. Persino il Financial Times titola, “L’Italia torna in piedi”. (…). Commentare queste notizie per un economista è sempre compito ingrato. (…). …una prospettiva più analitica non può che soffermarsi con maggiore attenzione sulle tendenze di crescita dell’economia e quindi sulle indicazioni che le diverse componenti dei dati congiunturali permettono di trarre sulla situazione economica generale. Da questo punto di vista i dati Istat vanno purtroppo letti in modo meno trionfale di quanto non vorremmo fare. Innanzitutto la crescita del Pil nel primo trimestre 2015 è stata dello 0,1% rispetto allo stesso trimestre dell’anno precedente (questa è la cosiddetta “crescita tendenziale”). Non è molto se confrontata all’1% della Germania, al 3% degli Stati Uniti, al 2,4% del Regno Unito e anche allo 0,7% della Francia. Il risultato è ancora peggiore se si tiene conto che la crisi ha colpito il nostro paese più severamente di questi altri e che quindi sarebbe naturale aspettarsi un effetto “rimbalzo” più pronunciato in Italia. L’immagine che meglio riassume la situazione economica del Paese purtroppo è quella della crescita cumulata del Pil negli ultimi 15 anni. Se il Regno Unito è cresciuto di circa il 30% e l’Eurozona di circa il 15%, l’Italia è rimasta al palo. Zero. Questo è il risultato di una combinazione di tre fattori: una minore crescita fino al 2008, una recessione più profonda fino al 2013, e una ripresa più tarda e più lenta da allora. Una lettura più ottimistica dei nuovi dati Istat è però chiaramente possibile. I dati sulla crescita tendenziale in Italia patiscono il ritardo della ripresa, che ha notevolmente faticato negli ultimi tre trimestri del 2014. I dati di “crescita congiunturale”, relativi cioè all’ultimo trimestre, sono invece più favorevoli, sia in assoluto che relativamente agli altri paesi. L’Italia cresce dello 0,3%, come la Germania e il Regno Unito, e più degli Stati Uniti. Questi sono i dati che potrebbero farci pensare di aver svoltato l’angolo. Difficile a dirsi naturalmente: estrapolare da un trimestre in controtendenza è operazione statisticamente suicida che evito con piacere. Ma un’occhiata ai dati disaggregati è utile per cercare di farsi un’idea più precisa di cosa stia succedendo. Innanzitutto la crescita del primo trimestre del 2015 è dovuta in misura sostanziale alla crescita degli investimenti fissi lordi e delle scorte, senza un contributo positivo dei consumi finali nazionali. La spesa delle famiglie è leggermente diminuita e quella della Pubblica Amministrazione è aumentata in pari entità percentuale. Questo non è un buon segno naturalmente, nel senso che una solida ripresa dopo una recessione è associata tipicamente ad una rinnovata fiducia dei consumatori e quindi ad una ripresa dei consumi assieme a quella degli investimenti. Anche il fatto che cresca l’Agricoltura e non i Servizi non è un buon presagio: è nei Servizi che si nascondono le maggiori opportunità di sviluppo di una economia moderna e avanzata come la nostra. Anche a “nutrire il pianeta” e produrre “energia per la vita” si arriva attraverso innovazione e tecnologia, è lì che si genera crescita. Ma il dato più rilevante, non so dire se allarmante, è che la crescita congiunturale degli investimenti si è manifestata in larga parte nel settore Mezzi di trasporto. Sarà anche vero che quando va bene la Fiat va bene il Paese, ma una crescita più omogenea tra settori avrebbe indicato più nettamente una ripresa in atto. Infine, è necessario anche ridimensionare i commenti sulla fine della deflazione. L’inversione di tendenza dei prezzi è dovuta in parte sostanziale al fatto che il calo dei prezzi dei beni energetici abbia rallentato notevolmente. Il deflatore della spesa delle famiglie residenti e quello degli investimenti sono calati ma non direi in modo preoccupante. La notizia rilevante riguardo ai prezzi è quindi che possibili tendenze deflattive continuino a non manifestarsi. (…). A costo di apparire Cassandra, come spesso accade agli economisti che discutono della situazione economica del nostro Paese, i dati dell’Istat sono meno positivi di quanto non possa sembrare. Vi sono pochi dubbi che la ripresa, ammesso che sia iniziata, rimanga debole e fragile. E certo, meglio che niente, ma uno 0.1%, o 0,3% che dir si voglia, non ha un gran potere taumaturgico di per sé.

Da “Occupazione, la ripresa sarà lenta” di Paolo Onofri, sul settimanale “Affari&Finanza” del 22 di febbraio 2015: (…). La svolta nell’attività economica che s’intravede nel corso di quest’anno per il nostro paese, non necessariamente potrà portare frutti rilevanti per la disoccupazione, ma non solamente perché prima di riprendere ad assumere in termini netti il sistema economico deve riassorbire le persone in Cassa Integrazione. Va anche messo nel conto che le ristrutturazioni in corso comportano miglioramenti della produttività che risparmiano lavoro e difficilmente ci si può attendere che la domanda possa rapidamente crescere in misura tale da recuperare in termini di livello di produzione quell’occupazione che si perde per il miglioramento della produttività. La ripresa comporterà anche riallocazioni produttive da un settore all’altro, ma le vischiosità saranno elevate. Non sempre i nuovi posti di lavoro richiederanno le stesse competenze di chi il lavoro l’ha perso e magari da più di un anno. Difficilmente, ad esempio, il settore delle costruzioni potrà ritornare ai livelli di occupazione pre-crisi e chi ha perso il lavoro in quel settore potrebbe avere minori possibilità di trovarlo in settori più dinamici. Man mano che il tempo trascorre, più difficile sarà per i disoccupati di lunga durata trovare un nuovo lavoro e ciò sarà aggravato nei casi di bassi livelli di scolarità. La disoccupazione di lunga durata che ora osserviamo è costituita per più della metà da lavoratori in età matura, ma anche il numero dei disoccupati tra i 15 e i 24 anni, che apparirebbe non preoccupante se misurato in termini di popolazione nella stessa età (l’11 per cento, contro il 10 medio dell’Europa), lo diventa se si considera che chi non si offre sul mercato del lavoro non frequenta nemmeno le aule scolastiche o universitarie in una misura decisamente divergente da quella europea. In parte è ciò che sta succedendo negli Stati Uniti, la ripresa è in corso dal giugno 2009, ma solo nell’ottobre del 2014 ha celebrato il sorpasso del numero di occupati che aveva a novembre del 2007, sette anni prima. Non è tutto: dopo il giugno 2009 l’occupazione ha continuato a ridursi per altri sei mesi. (…). …migliore è stata in questi anni la performance del tasso di disoccupazione a causa della riduzione dell’offerta di lavoro. A prima vista, l’andamento del mercato del lavoro americano non consente di alimentare eccessive speranze per la situazione prospettica dell’occupazione italiana, ma va anche considerato che l’economia italiana, a differenza degli Usa, ha avuto sei anni di tempo e due recessioni per mettere in atto le ristrutturazioni. E’ per questa ragione che, ad esempio, Prometeia prevede che nel 2018 in Italia avremo recuperato la metà dei nove punti di Pil persi tra il 2007 e il 2014 e che a parità di regole del mercato del lavoro, del milione di posti di lavoro perduti tra il 2007 e il 2014, probabilmente, ne saranno stati recuperati quasi la metà, ma la disoccupazione, nel nostro caso, sarà scesa solamente all’11 per cento. Sarà possibile fare meglio? (…). Molto dipenderà dalle nuove regole del mercato del lavoro. Poiché l’esperienza degli anni novanta suggerisce che nuove regole richiedono tempo per ingranare e dare risultati apprezzabili, sarà importante l’interazione sinergica tra le nuove regole del mercato del lavoro, gli sgravi fiscali sull’occupazione a tempo indeterminato e lo svecchiamento dei processi di formazione dei disoccupati.

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