"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

lunedì 28 aprile 2014

Cosecosì. 77 “I sovrani della crisi”.



Incontro la giovane persona. Mi dice: - L’Italia non è un paese per giovani -. Gli rispondo: - Ma lo è per i vecchi? – . Intanto sento lontano il mare mugghiare. Mi hanno detto che, nella notte, il mare ha spiaggiato una infinità di meduse. Non era mai accaduto in quel di C***. Un presagio. Aggiunge la giovane persona: - Se ad ottobre le cose dovessero essere ancora così come lo sono ora, zaino in spalla ed andrò via anch’io -. La giovane persona ha allestito in quel di C***, qualche anno addietro, uno straordinario, bellissimo atelier d’arte fotografica. Ma a chi può interessare la fotografia come arte? Oggigiorno, in un eccesso di delirio narcisistico, tutti si auto-fotografano tanto che è stato coniugato un apposito termine. E così i migliori pensano di andare via. Non è “un paese per giovani”. Non è “un paese per vecchi”. È solamente un paese per avventurieri, opportunisti, per cinici e furbi. Mi hanno detto che appena sarà spuntato un po’ di sole le meduse spiaggiate a migliaia sulla costa di C***, dal mare che da ieri mugghia furioso, cominceranno a decomporsi e l’esito finale del processo porterà un odore acre e pungente per le vie del piccolo centro nebroideo. È quasi un presagio. Quante giovani persone saranno “spiaggiate” nel corso dell’anno? Quante vite saranno costrette a tagliare le loro radici d’affetto? Entrerà, da qui ad ottobre, anche l’atelier fotografico della giovane persona, una delle tante, tantissime iniziative di lavoro, nelle statistiche che vedono ben quaranta attività chiudere battenti giornalmente nel paese che non è né dei giovani né tanto meno dei vecchi? È il paese dei furbi.
Scriveva Barbara Spinelli sul quotidiano la Repubblica del 24 di agosto dell’anno 2011 – “I sovrani della crisi” -: Il linguaggio della verità è la rivoluzione più urgente da fare: esso ci farebbe vedere i pericoli che corriamo, quando accusiamo solo la casta politica e non le mille caste che usano il denaro pubblico a fini privati e hanno un interesse nello status quo. Chi ci tiene all’oscuro lo fa con la nostra complicità, tutti abbiamo accettato di essere consumatori ciechi anziché cittadini vedenti. Se cominciamo a voler guardare e sapere, vedremo quel che accade: a governare le nostre esistenze non c’è oggi la politica, con la sua capacità di dominio intelligente sugli interessi. Non c’è il sovrano eletto, con un mandato a termine. Sovrani sono poteri non eletti, come gli speculatori di borsa o le agenzie di rating che storcono le nostre vite e sono i nuovi tribunali delle democrazie. O sono poteri che potrebbero rappresentarci – l’Unione europea, la sua Banca centrale – ma che non hanno vera autorità perché i vecchi Stati-nazione gliela negano. (…). È come fossimo immersi, oltre che in un angoscioso presente, in un quadro di Magritte: sulla tela c’è il sovrano democratico, c’è l’Europa. Ma la didascalia dice, come sotto la pipa disegnata dal pittore: Questo non è un sovrano. Questa non è Europa. Gli effetti dell’impostura pittorica sono visibili a chiunque usi gli occhi. Il quadro è in realtà occupato da forze oscure, opache, che si fanno scudo del trono dipinto. Da una parte la forza dei mercati. Dall’altra le sommosse che esplodono ai margini e fin dentro le metropoli. Disinformate da anni, cullate in sogni di crescita, di consumi, di lavoro rettamente remunerato, le società imbestialiscono pur di farsi vedere, sentire, temere. Le due forze (speculatori e agenzie di rating; ammutinati delle periferie urbane abbandonate) hanno istinti simili, di branco che s’avventa. Tra i due caos nessun mediatore ma, appunto, l’immagine tradita di Magritte. Il luogo della politica è deserto, afono. Un magistrato esperto di criminalità urbana, Michel Marrus, scrive su Le Monde del 21 agosto che le sommosse inglesi o francesi potremmo vederle, in Tv, commentate con le parole del crac finanziario. Stessa terminologia, stesso registro di distruzione, sfascio, guerra: gli spiriti si abituano a uno stato permanente di sommossa. Stessa propensione all’illegalità infine, anche se gli Stati combattono l’una e non l’altra. (…). S’inginocchiano tutte le democrazie a una sommossa permanente che è repressa, dunque non regolata, quando viene dalla società. Che è subita quando la scatenano i mercati. Hans Tietmeyer, ex governatore della Banca centrale tedesca, disse nel 1998 che accanto al plebiscito delle urne esiste il permanente plebiscito dei mercati mondiali. Esiste ormai anche il plebiscito dei tumulti urbani, e anche qui la politica risponde autodecapitandosi. Le sommosse sono pura criminalità, afferma David Cameron: la colpa è dei genitori, della caduta dei valori, delle psicologie. Mai dello Stato, che può replicare togliendo sussidi alle famiglie disastrate dei riottosi, censurando Internet, chiedendo ai giudici pene non commisurate ai reati. Neanche un attimo la politica è sfiorata dal dubbio che i giovani delle sommosse siano figli dei suoi errori, della sua latitanza. Fra pochi giorni celebreremo il decimo anniversario dell’11 settembre, e scopriremo che siamo tuttora impelagati nei luoghi comuni di allora. Si parlerà ancora una volta di atti nichilisti, credendo di svelare le vere radici del male. Nulla è svelato, invece. Si descrive la modalità dei tumulti, non la loro radice. Dire che le rivolte sono nichiliste è una tautologia: è come dire che la politica muore perché è morta. Andare alle radici significa, per la politica, ripensare le proprie responsabilità, non indulgere a discorsi psicologici sui valori decaduti. Significa guardare le sommosse urbane e dire a se stessi, con il coraggio che ebbe Rossana Rossanda nel ’78 di fronte ai terroristi: Sembra di sfogliare il nostro album di famiglia. In Italia significa fare i conti con la cultura dell’illegalità, del bene pubblico depredato. Non ne siamo ancora capaci, in piena crisi. Il solo contratto sociale considerato sacrosanto, in questi giorni, è quello con il mondo del crimine. (…). Non c’è da stupirsi per le sommosse. C’è da stupirsi che durino solo sei notti. I politici sono frenetici in queste settimane. Soprattutto in Italia, corrono pazzamente qua e là. Ma attenzione: si muovono inamovibilmente, come nei sogni. Come quando la Regina Rossa dice ad Alice: nel mondo oltre lo specchio puoi correre a precipizio, senza che nulla cambi: - Qui ti tocca correre più forte che puoi, per restare nello stesso posto -. Ed oggi abbiamo a governare quello che è stato definito il bel paese uno che va sempre di corsa. Per andare dove? Verso cosa? Sembra che non abbia mai tempo per pensare, soppesare le cose che dice, valutare l’impatto dei suoi annunci sulle migliaia di giovani vite che da oggi ad ottobre dovranno mettere sulle loro giovani spalle lo zaino del migrante. Scrive Curzio Maltese sull’ultimo numero del settimanale “il Venerdì di Repubblica” del 25 di aprile – “Questa strana Europa che salva le banche e lascia affondare i giovani” -: (…). …la realtà ha oramai smentito tutte le teorie liberiste. Le liberalizzazioni, i continui tagli allo Stato sociale, nelle promesse dei liberisti avrebbero dovuto renderci tutti più ricchi, soprattutto i ceti medi, garantendo così una poderosa crescita e un futuro più prospero alle future generazioni. È accaduto l’opposto. L’economia è andata in recessione, i ceti medi si sono impoveriti, la disoccupazione giovanile è schizzata alle stelle. Eppure i teologi del liberismo negano l’evidenza e anzi accusano gli Stati di non aver applicato abbastanza bene una ricetta disastrosa. Chiedono più precariato giovanile, altri tagli al welfare e austerità, più liberalizzazioni. Altro che morte delle ideologie. I liberisti di oggi sono come i comunisti di ieri, quelli che dipingevano i regimi dell’Est come il paradiso in terra dei lavoratori, nonostante la fame e i gulag. Ora dicono che i nostri giovani devono essere più flessibile e precari. (…). Naturalmente è vero il contrario. (…). Basterebbe destinare all’investimento in posti di lavoro anche soltanto la metà dei duemila miliardi messi a disposizione dall’Europa per il salvataggio delle banche negli ultimi anni. Purtroppo non è questa la direzione dell’Unione, che si prepara a dare altri mille miliardi alle banche. (…). A chi rivolgerà le sue domande la giovane persona in quel di C***? Ed il premier arrembante, quali risposte si appresta a dare se non quelle tanto care al liberismo più sfacciato? E le cosiddette risposte di sinistra? Non esistono proprio. “Il linguaggio della verità è la rivoluzione più urgente da fare” ha scritto Barbara Spinelli. In un inaspettato atto di resipiscenza ha scritto Eugenio Scalfari nel Suo ultimo editoriale della domenica sul quotidiano la Repubblica: L'attuale presidente del Consiglio è, (…), il figlio buono di Berlusconi, il principe di seduttori; i programmi vincolati alla coerenza non sono il suo forte. Il seduttore vive di annunci e aspira alle conquiste. È un dongiovanni come Berlusconi: non si innamora ma vuole sedurre. Se la seduzione non funziona, cambia obiettivo e sposta il tiro. La sua donna Elvira è la Boschi, come la Gelmini lo è per il Berlusca. Il suo Leporello è Delrio come per l'altro è stato Dell'Utri. Bastano forse questi nomi per comprendere che la qualità di Renzi è cento volte maggiore di quella dell'ex cavaliere. Ma si tratta pur sempre di due dongiovanni, con una differenza di fondo: Berlusconi finirà nell'abbraccio d'un Convitato di pietra che metterà la parola fine alle sue imprese. Renzi troverà invece un Figaro che venda per lui una "pomata fina" di ottima qualità. (…). È così. 

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