Ma cos’è quella finta “sorpresa” stampata a mo’ di
ghigno sulle facce bronzee di quelli delle alte – alte si fa per dire –
istituzioni repubblicane? Ma cos’è quello sconcerto finto ed ipocrita che
ostentano nella circostanza contrassegnata dalle ultime intemerate televisive –
il suo regno - dell’uomo di Arcore? Essi, quelli delle alte – alte si fa per
dire – istituzioni repubblicane ne sono i primi responsabili, vecchi o nuovi
che siano, che abbiano coabitato in bicamere o che al momento si facciano
puntellare lo scranno del potere da quell’uomo che rappresenta la quintessenza
del male. Inteso nel senso del “crimine” perpetrato. L’uomo di Arcore è stato l’uomo
utile per tutte le stagioni della mala politica del bel paese. Di quella che
vado definendo da un bel po’ di tempo l’”antipolitica” al potere. La politica
dell’intrallazzo e del “vogliamoci bene”. Perché oggi sorprendersi, mostrarsi
sconcertati per chi ha avuto e da sempre ed in sommo grado in uggia le regole
della democrazia e dello stato di diritto?
Ha scritto giorni addietro Daniela
Ranieri su ‘Il Fatto Quotidiano' del 18 di aprile a commento delle disposizioni
del giudice di sorveglianza di Milano – “Il paradosso del rieducando” -: (…). L'espiazione
si applica a quei soggetti che compiendo un reato hanno rotto il patto sociale,
non a quelli che ne hanno creato uno ad hoc tra se stessi e la collettività
basato sullo scambio "io vi do l'illusione, voi mi date l'impunità". Il
"ridimensionato", qui (ché chiamarlo detenuto è un'offesa per chi lo
è davvero), viene riconosciuto sì pericoloso, ma infiacchito in questa
pericolosità sia per usura biologica, sia perché rubare 360 milioni di dollari
è una cosa che si fa una volta sola nella vita, come sposarsi a Las Vegas,
trafugare il sangue di San Gennaro, ballare sui tavoli. Inoltre la
rieducazione, come sanno i cultori del sadomaso, non serve a dissuadere il
trasgressore dal compiere un'azione ritenuta punibile, ma semmai a perfezionarla.
La sfida consiste nel farla sempre più grossa così da vedersi comminata una
pena sempre più severa, ma facendo in modo di non venire scoperti per il più
lungo tempo possibile. È questa dialettica che dà il particolare brivido
all'"insofferenza per le regole" attestata dalla sentenza. (…). Il
consolidamento dei valori morali che l'esperienza dei servizi sociali porta al
rieducando serve a evitare la reiterazione del delitto: messo di fronte alla
sofferenza, e avendo compreso di poter essere utile alla società con opere e
servizi, il ladro non ruberà, l'omicida non ucciderà, lo spacciatore si metterà
a vendere fiori. L'individuo, protetto da se stesso più che punito dallo Stato,
non finirà più in cronaca nera. Ma per uno che la cronaca nera la produce, il
lindore di corridoi al cloroformio può sì disincentivare l'invenzione di altri
sistemi per frodare lo Stato, se non altro perché sottrae tempo ed energie
all'ideazione di piani criminali, ma difficilmente cancella gli atti del
passato, i cui effetti verranno presto o tardi giudicati in un'altra manciata
di processi pendenti, e la comprovata, questa sì, capacità di nuocere. Così la
rieducazione di un ineducabile forse si tradurrà in un sentimentalismo
d'accatto pronto per Verissimo, e non certo nella confessione di Caligola:
"Dicono che ho il cuore duro. Ma non è possibile che sia duro, perché al
posto del cuore io non ho niente". La cristallina chiarezza della
scrittura di Daniela Ranieri è di certo sconosciuta a quelli delle alte – alte si
fa per dire – istituzioni repubblicane. Sono infamie le sue, di Daniela Ranieri
intendo dire? Non risultano a quegli onorevoli “lor signori” la natura
criminogena del condannato? Ha rivelato mai disponibilità a rivedere il suo
tracotante sentire ed agire? È che financo la magistratura ha contribuito, nell’occasione,
a stabilire e perpetuare uno “status quo” che la condanna, trasformata nelle
ridicole disposizioni dell’Uepe, non rimuoverà per un recupero di credibilità
delle vilipese istituzioni repubblicane. E dalla vita quotidiana di milioni di
cittadini. È qui che torna l’insidiosa, intollerabile ai più, domanda: “doveravatetutti”?
“Doveravatetutti”
quando il politologo Carlo
Galli, in ricordo dello scomparso Giuseppe D’Avanzo, alla presentazione
del volume “Il guscio vuoto. Metamorfosi
di una democrazia” – Laterza editore (2012), pagg. 240 € 16,00 – ha
dedicato sul quotidiano la Repubblica del 2 di marzo dell’anno 2012 un Suo
magistrale “pezzo di riflessione” che ha per titolo “Quarto potere. Così D’Avanzo ha svelato le menzogne italiane”?
“Doveravatetutti”? Scriveva
Carlo Galli: L´età berlusconiana, (…),
non ha nulla di (…) chiarezza e di (…) distinzione: il suo segno è piuttosto
l´alterazione dei fatti, la confusione, la menzogna. Ovvero, è la narrazione
mistificante, l´autocratica manipolazione del reale, interamente trasformato in
rappresentazione e sostituito dall´immaginario. È attraverso la comunicazione e
l´affabulazione, e non attraverso la Costituzione, che è passata la potenza
politica di Berlusconi, cioè attraverso l´officina delle illusioni del
populismo, da una parte, e la "fabbrica della menzogna" dall´altra:
(…) per costruirsi con ogni strumento immunità e impunità, (…). Questo
illusionismo non è un gioco di prestigio: obbedisce a interessi precisi – del
Capo che si pone sopra le leggi, e dei suoi soci in affari di ogni tipo – , e
diviene efficace grazie all´uso sistematico dell´eccezione, ovvero alla
confusione fra i poteri dello Stato, alla loro utilizzazione
extra-istituzionale, al complessivo passaggio dallo Stato delle Leggi allo
Stato dei Decreti. (…). …il caso d´eccezione utilizzato per forzare le
architetture della legalità e della Costituzione, il vuoto di diritto e di
verità che ne conseguono, l´arbitrio di chi vuole avere l´intera realtà
politica e sociale a propria piena e illimitata disposizione, si mostrano come
l´altra faccia della riduzione della realtà a finzione. Parallelamente alla sua
spettacolarizzazione, la politica diventa quindi opaca, si ritira dalle
istituzioni democratiche – formalmente intatte ma sotto stress e svuotate di
ogni efficacia – , si verticalizza e si concentra là dove si decidono le
campagne di stampa e di televisione, dove si programma la macchina del fango
per gli avversari politici, dove si architettano le vie brevi per scavalcare le
norme, per sostituire a queste la normalità dell´eccezione, l´iterazione della
decisione. La decisione, infatti, non è mai presa per dirimere realmente una
questione, ma per lasciarla sempre aperta, perché anche in futuro si debba
ricorrere a nuove decisioni, mai al diritto. Il potere non sta nello
stabilizzare, nel normalizzare, ma nel togliere prevedibilità e certezza alla
vita politica e sociale. La democrazia è sostituita dall´intrecciarsi della
manipolazione e della decisione, dalla confusione dei poteri e dalla confusione
della realtà, dalla creazione di un mondo tanto immaginario – in cui nulla è
ciò che è, e tutto è ciò che sembra, e in cui si può far sembrare vera
qualunque cosa – quanto, evidentemente, instabile. (…). Questa volontà di
potenza – di Uno, osannato da molti – è parsa straordinariamente efficace. E lo
è stata, per almeno due lustri. Ma è stata al tempo stesso anche inefficace, proprio
perché non ha mai voluto risolvere i problemi collettivi, ma solo dissolverli
in nebbia mediatica, ai concretissimi fini individuali del Capo. E la realtà si
è vendicata, si sta vendicando. E ha imposto l´allontanamento dal potere
dell´illusionista, e la sua sostituzione con élites serie e competenti, che con
grandi sforzi – loro, e di tutti i cittadini – stanno riportando l´Italia a
contatto con i problemi reali, enormi, che Berlusconi non ha neppure scalfito.
Ma quel perverso cortocircuito di eccezione e di menzogna se non è più cronaca
non è ancora storia: anche se, forse, ce ne stiamo faticosamente uscendo,
continua a prenderci letteralmente alla gola, e ci appare come un rischio che
sarà presente, finché questa fase politica non avrà trovato nuovi equilibri.
(…). Ottimistica, forse, la previsione – “ce ne stiamo faticosamente uscendo” - dell’illustre
Autore. Nella fase attuale l’uomo di Arcore continua con la sua imbarazzante – imbarazzante
per chi? – presenza a condizionare la vita sociale e delle istituzioni del bel
paese. Correi quelli delle alte – alte si fa per dire – istituzioni repubblicane.
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