Ha scritto Corrado Augias sul
quotidiano la Repubblica di oggi martedì 8 di aprile, in risposta ad un lettore
di quel quotidiano – “Perché gli
sfruttati di Marx non sono i poveri di Gesù” -: (…). …cristianesimo e marxismo
sono gli unici due grandi movimenti ad aver messo i poveri al centro della loro
dottrina. C’è anche nel marxismo un certo messianismo che non stupisce essendo
anche Marx un ebreo. Le analogie però, a mio parere, finiscono qui diversi
essendo metodo e finalità di questa presa di coscienza. Marx ragionava in
termini di classi sociali, più che ai poveri pensava agli “sfruttati” cioè ai
produttori che venivano depredati di una parte del loro lavoro dal sistema
capitalistico. È il famoso “plusvalore”, ovvero la differenza tra il valore del
prodotto del lavoro e la remunerazione sufficiente al mantenimento della
forza-lavoro. Degli individui a Marx importava poco (?), la
sua finalità era che le masse, presa coscienza del loro sfruttamento, si
ribellassero facendosi levatrici di storia. L’esatto contrario per Gesù che
pensava soprattutto ai singoli. È a questo punto che il discorso
dell’illustre Autore mi si fa contorto.
Quasi manicheo, nel senso che sembra e voglia
essere proteso unicamente ad accentuare le differenze tra quelle due visioni
del mondo ritenendole inconciliabili. Continua infatti a scrivere: Egli (l’Uomo
di Nazareth n.d.r.) voleva che sani e ammalati, poveri e ricchi sedessero alla stessa
mensa, spezzando lo stesso pane. Prima ancora pensava però alla loro salvezza
eterna. Che quell’Uomo “nuovo” di Nazareth pensasse in termini di
trascendentalità può star pure bene solo che si pensi al divario di epoche che
i due, l’Uomo di Nazareth e l’Uomo di Treviri, sono stati destinati a vivere. È
certamente vero che il primo, quell’Uomo di Nazareth, avesse a parlare in
termini di individualismo, ché a quel tempo i grandi sommovimenti di massa, alla
luce di problematiche sociali più stringenti e più avanzate, non penso si
potessero immaginare ancor che pensare. L’Uomo di Treviri, che è stato un uomo
del secolo decimo-nono, aveva sotto il Suo sguardo attento e speculativo la
povertà dickensiana, in quella terra di Albione che vedeva il nascere e
l’affermarsi della più spinta industrializzazione, con tutte le conseguenze del
caso. Ché l’Uomo di Nazareth possa essere stato al suo tempo spettatore di
simili sconvolgimenti? Lo escludo! Nella Sua missione salvifica quell’ebreo
aveva posto in cima ai suoi pensieri la salvezza degli individui. E sì che a
questo punto c’è da concordare con l’illustre Autore quando afferma: Erano
gli individui che voleva rinati alla luce dello spirito; predicava una loro
trasformazione interna più che un rivolgimento sociale. Più che di riformare la
società Egli si proponeva di risanare gli uomini anche in vista di un avvento
del Regno che riteneva, come molti altri, imminente. Ecco, l’Uomo di
Nazareth è stato uomo del suo tempo, come l’Uomo di Treviri è stato uomo del
suo tempo. E ce ne corre di differenza! Tanto è vero che l’Uomo di Treviri,
gran borghese ed estimatore di quella classe sociale, affidava ad essa, almeno nelle
sue frange di classe più operative ed illuminate, la fase iniziale della sua
rivoluzione che avrebbe dovuto attecchire non certo in uno sfondo socialmente
arretrato - come sarebbe stata la Palestina dell’Uomo di Nazareth anche nel
secolo decimo-nono – bensì in un ambito socialmente più avanzato e strutturato.
Penso anche che l’Uomo di Treviri pensasse agli uomini non nella loro solitaria,
sterile individualità ma uniti in una visione del comune destino che solamente
la solidarietà di classe avrebbe rafforzato sino a trasformare quella parte di
umanità, ancora soccombente, in un nuovo protagonista della Storia umana. E la
Storia sta lì non tanto a sconfessare quelle grandi intuizioni – pensando solo
ed esclusivamente al disastro del cosiddetto socialismo reale – quanto ad
avvalorarne le tesi di fondo che hanno visto la nascita e l’affermarsi, nel
corso del 19° e 20° secolo, di tutti quei movimenti che al pari delle grandi
rivoluzioni – Illuminismo e Rivoluzione Francese – hanno sottratto quella parte
di mondo che oggigiorno configuriamo nella moderna Europa all’arretratezza ed
alla miseria materiale e di pensiero. Mi trovo in verità molto più in sintonia
con quanto ha scritto Claudio Sardo sul quotidiano l’Unità di domenica 8 di
aprile (strana, provvidenziale coincidenza di date!) dell’anno 2012 – “La radice cristiana” – che viene in
soccorso per una interpretazione più realistica di quel che è stato il
Cristianesimo, senza confessionalità aggiunta: (…). Il cristianesimo non è una
cultura, né una morale. Già la lettera a Diogneto, uno dei primissimi
manoscritti cristiani, sottolinea che i seguaci di Gesù non sono «da
distinguere dagli altri uomini né per regione, né per voce, né per culture» e
che «partecipano a tutto come cittadini e da tutto sono distaccati come
stranieri». Il cristianesimo è un incontro che modifica un destino. Lo stesso
orizzonte escatologico la vittoria della vita sulla morte non è motivo di
separatezza, né alibi per chiusure fondamentaliste. È semmai una spinta a
vivere le contraddizioni della città dell’uomo e partecipare con gli altri alle
sue liberazioni. Da questa fedeltà scaturisce, prima che da una dottrina,
l’impegno sociale dei credenti, il nodo inscindibile tra fede e carità, dunque
anche il contributo a tanti movimenti progressisti. Del resto, come contenere
la forza delle Beatitudini, oppure quella del Magnificat: «Ha rovesciato i
potenti dai troni, ha innalzato gli umili, ha ricolmato di beni gli affamati,
ha mandato i ricchi a mani vuote». Naturalmente nella storia la Chiesa si è
trovata tante volte dalla parte della conservazione politica, o della reazione
autoritaria contro la modernità e la scienza. Ma sarebbe un errore non
cogliere, accanto ai limiti e agli errori, il contributo importante che la fede
anche come forza rinnovatrice della stessa pratica religiosa porta alla
comunità intera. Innanzitutto proprio perché non rinuncia a dare un valore e un
traguardo alla storia dell’uomo: il mondo migliore non si potrà raggiungere del
tutto, ma può essere avvicinato. E non per una imposizione divina, bensì perché
la libertà e la capacità degli uomini sono in grado di modificare gli equilibri
dei poteri. La fede cristiana non comprime l’impegno sociale dell’uomo né la
sua sfida politica: è anzi una spinta ad agire, guidata da una luce ottimistica
sulla ragione. Per questo può portare speranza al pensiero progressista. E non
è poco in un tempo come questo, dominato dal paradigma individualista il
cittadino solo davanti al mercato e allo Stato e dalla prepotenza della
globalizzazione finanziaria che sottomette le stesse istituzioni democratiche
-. In fondo individualismo e strapotere della finanza sono due facce della
stessa medaglia: non a caso qualcuno ha parlato di «fine della storia». Tutte
le idee di fraternità e uguaglianza, di solidarietà e di liberazione si fondano
invece sulla convinzione che la storia non finirà finché ci sarà l’uomo. Che si
può cambiare. Che si può cambiare insieme. Nessuna autorità sulla terra e
neppure le crisi che colpiscono la Chiesa potranno impedire ai cristiani di
impegnarsi per una società più giusta. E questa forza in campo continuerà ad
alimentare la speranza e l’impegno di tutti gli uomini di buona volontà, che
vogliono costruire un mondo migliore in nome di diverse visioni dell’uomo. (…).
Non ci sono liberazioni facili. La vita è una battaglia. Dove l’uomo rischia se
stesso e dove gli errori incombono. Ma ciò di cui non possiamo essere privati è
il desiderio, la volontà di costruire con le nostre mani. La politica è uno
strumento di questa costruzione. Non l’unico. Non c’è politica senza un
umanesimo, senza un’idea dell’uomo. Non c’è giustizia se l’uomo non viene
considerato nella sua interezza, titolare di sentimenti, vocazioni, carismi,
socialità. Ma la politica è importante ed oggi è minacciata da un pensiero
dominante che cerca di eliminarla, o marginalizzarla. La nostra società,
avvolta da una crisi non solo economica, ha bisogno di riconoscere il tremendo
significato antropologico di questo furto di speranza nella storia futura.
L’uomo è impoverito più delle sue tasche. È un furto perpetrato innanzitutto a
danno dei giovani. La sinistra di cui abbiamo bisogno deve essere capace di raccogliere
da tutte le fonti, da tutte le energie disponibili, la forza per cambiare. E le
fedi religiose possono essere tra queste fonti molto propizie.
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