Abbiamo
imboccato la settimana che è detta della “passione”. È che nel bel paese,
dalle ubertose contrade, l’unica “passione” riconosciuta è quella
prevista dalla confessione religiosa dominante. Non esistono altre passioni che
abbiano ascoltatori. Manca per esempio una qualsivoglia “passione” che si possa
definire civile. Ché una più diffusa “passione” civile avrebbe indotto ben
altri atteggiamenti di fronte alle determinazioni del giudice di sorveglianza
in quel di Milano. Domina invece l’inerzia, la noncuranza. Non è avvenimento
che possa sollecitare la “passione”. Che non c’è. Scrive
Marco Travaglio su “il Fatto Quotidiano” del 17 di aprile – “Il palo” -:
L’inchiesta sui fondi neri
Mediaset che ha portato alla prima condanna definitiva di B. nasce nel 2004: in
origine le frodi fiscali ammontano a 360 milioni di dollari, con l’aggiunta di
falsi in bilancio e appropriazioni indebite. Reati commessi dal 1988 fino al
2004, prescrizione di 15 anni, cioè nel 2017, quanto basta per celebrare tutti
e tre i gradi di giudizio. Ma nel 2005 il centrodestra approva la legge ex
Cirielli, che dimezza la prescrizione a 7 anni e mezzo, consente di sostituire
il carcere con i domiciliari per gli ultrasettantenni e interrompe la
“continuazione” dei reati. Cioè costringe i giudici a valutarli anno per anno.
Risultato: spariscono subito i fondi neri di B. per gli anni 1988-’99 (che
prima erano agganciati a quelli successivi). E da allora, a ogni anno di
processo, evapora un anno di reati (quelli relativi a 7 anni prima). Così i
falsi in bilancio e le appropriazioni indebite, grazie anche alla controriforma
berlusconiana dei reati societari del 2002, scompaiono tutti. E così, anche
grazie al condono tombale del 2003, le frodi fiscali. Alla fine resteranno in
piedi solo le ultime, relative agli ammortamenti sul biennio 2002-2003 (7,3
milioni), che costeranno a B. la condanna definitiva. (…). Ma anche i 4 anni
del caso Mediaset sarebbero bastati a spedirlo per almeno un anno in galera (o
al massimo ai domiciliari). Di lì, dopo 12 mesi, avrebbe potuto chiedere di
scontare i restanti 3 anni ai servizi sociali. Ma nel 2006 ecco l’ennesimo
salva-Silvio, stavolta targato centrosinistra (e naturalmente votato da Forza
Italia): l’indulto extra-large di 3 anni, esteso ai reati dei colletti bianchi.
Il Caimano intasca un bonus triennale da detrarre dalla prima condanna
definitiva. E il 1° agosto 2013 i 4 anni a cui lo condanna la Cassazione scendono
a 1 solo. Per questo, in base alla legge italiana, B. non entra neppure in
carcere e chiede, da libero, i servizi sociali. Solo in casi eccezionali i
giudici possono negarli: a lui, come a qualunque altro condannato. L’altro ieri
il Tribunale di sorveglianza non gli ha usato alcun trattamento di favore: sono
le norme fatte dalla destra e dalla sinistra che hanno allungato a dismisura i
processi dei ricchi e dei potenti muniti di avvocati ben pagati, abbreviato i
termini di prescrizione e indultato i delitti dei “signori” col pretesto di
sfollare le carceri (peraltro mai viste dai “signori”). E alla fine hanno
prodotto la pochade del frodatore pregiudicato che se la cava con 7 giorni di
servizi sociali nell’ospizio di Cesano Boscone. (…). Ecco come una truffa
milionaria – “7,3 milioni” sottratti alla fiscalità generale - abbia potuto
“partorire” una applicazione di pena che grida allo scandalo. Poiché altri
cittadini, che abbiano compiuto crimini
per frode fiscale, “beccano” ben altre determinazioni giudiziarie in fatto di
sconto della pena. La “legge ancora è uguale per tutti”? Ma manca la “passione”,
quella cosiddetta civile, che possa spingere a forti azioni collettive. E non
può essere che così. Vivo la settimana della cosiddetta “passione” commemorata
dal popolo cristiano in quel di C***. Stamane il cielo è di un grigio-scuro-scuro
che rende poco della primavera di già inoltratasi. Le nuvole basse sembrano
quasi essere appesantite da un qualcosa d’inatteso e d’inspiegabile che aleggia
per l’aria. In quel di C*** il lungomare è divenuto nel frattempo un immenso
cantiere. Per tutta l’estensione del cantiere cartelli (inutili!) prescrivono
il divieto di sosta. Ma le macchine continuano a stazionare, indifferenti i
proprietari delle prescrizioni comunali. È lo spirito del tempo, allorché
prescrizioni, regole e financo le leggi sono scritte sì ma possono essere ben
disattese. E senza una “passione” che sia civile non c’è
speranza alcuna. Commenta Massimo Giannini sul quotidiano la Repubblica del 16
di aprile - “Se questa è persecuzione”
-: Quattro
ore a settimana in un centro anziani a due passi da Villa San Martino. Cioè
sedici ore al mese. Cioè centosessantotto ore totali, l’equivalente di una
settimana, spalmate su dieci mesi e mezzo. Eccolo qui, il risultato della
«persecuzione giudiziaria » che la «magistratura politicizzata, metastasi della
democrazia », ha osato infliggere all’Unto del Signore. Eccolo qui, l’esito
della «guerra dei vent’anni» che le odiate «toghe rosse», al servizio dei
comunisti, hanno condotto contro lo Statista di Arcore. L’affidamento ai
servizi sociali, definitivamente irrogato nei confronti del pregiudicato
Berlusconi Silvio, è una pena ridicola. (…). Dunque, un pomeriggio a settimana
alla Sacra Famiglia. Ecco cosa rimane, di tanto scempio delle leggi dello
Stato. Constatare questa banale evidenza non significa affatto rammaricarsi per
non aver visto Berlusconi «finalmente dietro le sbarre», «liquidato per via
giudiziaria ». Non lo abbiamo mai sperato, anche se abbiamo sempre invocato il
principio di legalità, che vuole tutti i cittadini uguali davanti alla legge.
Non c’è alcun compiacimento giustizialista, nel vedere un essere umano varcare
la soglia di una prigione. Ma il fatto che questo non sia accaduto, pur in
presenza di un reato grave accertato «al di là di ogni ragionevole dubbio»,
significa almeno riconoscere che l’intera «narrazione» propinata dall’ex
Cavaliere nel Ventennio è stata scandalosamente falsa. Berlusconi non è stato
«vittima » di nessuna «caccia all’uomo », ma solo dei suoi vizi pubblici e
privati. Non ha mai patito alcun «martirio», ma ha sempre beneficiato di un
trattamento favorevole da parte della magistratura giudicante, costretta ad
applicare le almeno 12 leggi ad personam dal ‘94 in poi. Non ha mai rischiato
«l’arresto immediato », come ha ripetuto ossessivamente, per alimentare la
leggenda del Terrore ordito ai suoi danni dai Robespierre in toga sparsi per la
Penisola. La verità è che il capo della destra populista ha potuto godere di
uno status particolare, meta-politico e pre-giuridico. Questo status non lo ha
reso del tutto legibus solutus, ma gli ha conferito una «specialità »
sconosciuta a qualunque altro cittadino comune. La costituzionalizzazione della
gigantesca anomalia di cui è portatore (e che ha più volte provato a far
introiettare al sistema) non gli è per fortuna riuscita. Ma lo «stato di
eccezione permanente», al dunque, ha fatto breccia. Qualcosa, di quel virus
micidiale auto-prodotto nel laboratorio di Arcore, alla fine è pur filtrato nel
corpo sfibrato delle istituzioni, se è vero che oggi la pena per le sue malefatte
non è poi così «afflittiva», e appare quasi una «formalità ». (…). …sembra
davvero poco, se si confronta la pena «iniziale» stabilita ad agosto e quella
«finale» eseguita oggi. Rimane la sensazione di una «denegata giustizia». (…).
La famosa «agibilità politica », che ha reclamato impunemente dal Quirinale, è
tutto sommato garantita. Del resto, non poteva essere altrimenti, nel momento
in cui gli è concesso un posto da «padre della Patria» al tavolo delle riforme.
Una scelta complicata ma quasi obbligata per Renzi, che per fare quelle riforme
non ha un’altra maggioranza possibile, ferma restando la «fuga sui tetti» dei
grillini. (…). E del resto il “reo” ha subito provveduto a trasformare
quella ridicola determinazione sullo sconto della pena in un messaggio, non
tanto poi subliminale, per il quale è per via del suo buon cuore che svolgerà
l’attesa mansione di badante in quel di Cesano Boscone. E non si illudano i
giudici, poiché continuerà a dire della persecuzione loro nei confronti
dell’uomo voluto dalla provvidenza. Scrive oggi Daniela Ranieri su “il Fatto
Quotidiano” – “Il paradosso del
rieducando” -: Nei criminali normali, la rieducazione ha la funzione di reinserire il
soggetto in società. Ma il soggetto in questione in società si è inserito fin
troppo, come la sentenza non manca di rilevare, e talmente a fondo che è semmai
la società a dover essere rieducata. Chi rieducherà mai quegli automobilisti
che incuranti dei cartelli di divieto di sosta continuano imperterriti a
posteggiare le loro metalliche appendici sul lungomare ridotto a cantiere di
C***? E senza una “passione” che sia, come sarà possibile rieducare questa
società d’arruffoni?
Nessun commento:
Posta un commento