Nella
settimana che è stata della “passione” mi è capitato per le mani
il solito settimanale per gentilissime signore all’interno del quale veniva
proposto un reportage di Riccardo Luna che ha per titolo “Telefonini al veleno”. È tanto che un settimanale destinato a
troneggiare nelle sale d’attesa frequentate dalle nostre gentilissime signore
abbia a proporre un reportage del genere. È chiaro che l’atmosfera di “passione”
avrà coinvolto e sensibilizzato le redazione tutta. Poiché il reportage in
questione parla sempre e comunque di una “passione”, al termine della quale “passione”
però non vi sarà lo straordinario, incredibile atto della “resurrezione”.
Il reportage ha la pretesa di porre al centro dell’attenzione una “passione”
che è ben diversa da quella ricordata nella cosiddetta “settimana santa” ma che
pur sempre dovrebbe interessarci nella stessa misura poiché da quella “passione”,
che potrebbe precedere una “morte annunciata”, è legata la vita
delle future generazioni di umani. Interessa la cosa?
Tanto per non continuare
nell’estenuante giro di parole è della “passione” della Terra che si parla nel
reportage in questione. Ha scritto nel venerdì ultimo di “passione” il teologo
Vito Mancuso sul quotidiano “la Repubblica” un “pezzo” che ha per titolo “La Via crucis del mondo”. Leggo sempre
con interesse grande le Sue riflessioni, non sempre condividendole, poiché non
possiamo condividere una “fede” che non mi appartiene. Ciò non mi distoglie d’approssimarmi
con interesse grande alle Sue argomentazioni. Ha scritto ad un certo punto
facendo di certo inquietare non pochi di quelli che dicono di possedere la “fede”:
Penso
che (…) sia possibile capire le due principali malattie di cui soffriamo oggi:
1) una filosofia di vita opposta a quella di Francesco (inteso come l’uomo
di Assisi n.d.r.) e analoga a quella del ricco mercante suo padre, cioè all’insegna
dell’accumulo e del consumo, a cui si viene indotti fin da piccoli dalla
potenza della pubblicità e dall’industria dell’intrattenimento che le gira
attorno; 2) una filosofia della natura opposta a quella del Cantico delle
creature che considera la materia come inerte e la vita come lotta, e da cui
discende un atteggiamento predatorio verso il pianeta e il conseguente
inquinamento. Dal canto suo la religione tradizionale dell’Occidente non è
stata in grado di fronteggiare questi due mali, anzi vi ha persino contribuito
a causa del suo antropocentrismo, per cui anche il cristianesimo si deve rinnovare,
anzi direi convertire. È vero o non è vero? Disturba o non disturba più
di tanto? Per chi è in possesso di una “fede” l’inquietudine dovrebbe essere
massima. Continua Vito Mancuso: La nostra civiltà è malata, è in corso una
via crucis del pianeta davanti ai nostri occhi distratti. L’aria delle nostre
città, i nostri mari inquinati, l’acqua, le foreste, sono vittime di
un’ideologia rapace e utilitaristica che considera la natura solo come
un’inanimata risorsa da sfruttare e che alimenta la fiorente industria della
fiction per la finzione necessaria a sedare le coscienze. I rifiuti prodotti
dagli oltre 7 miliardi di esseri umani sono ormai superiori alle possibilità di
smaltimento, e per alcuni di essi come le scorie nucleari lo smaltimento è
praticamente impossibile. Che cosa avverrà quando nel 2025 la popolazione sarà
di 8,1 miliardi? E quando nel 2050 giungerà a 9,6 miliardi? Una nuova guerra
mondiale? Una serie permanente di inarrestabili conflitti locali? (…). Ai
nostri giorni un terzo del cibo prodotto viene buttato via, sono 1,3 miliardi
di tonnellate di cibo su scala annuale che finiscono tra i rifiuti, con l’uso
scriteriato di acqua, energia e vita animale e vegetale che tutto questo
comporta. E ciò a fronte del fatto che ogni giorno muoiono per fame 24.000
esseri umani, 8 milioni e mezzo all’anno. Basta questo per evidenziare la
pericolosa malattia mentale di cui soffre la nostra società? Nutriamo la nostra
anima con le manifestazioni di massa dell’effimero (...) pagandone i
protagonisti con cifre esorbitanti, mentre miliardi di esseri umani vivono con
meno di due dollari al giorno. Proprio nell’epoca del trionfo della scienza
assistiamo a un tracollo della razionalità nel governo del mondo, con la
conseguenza che a trionfare non è veramente la scienza, la quale è sempre
ricerca e dubbio, ma è piuttosto la tecnica che ammannisce certezze e cattura
le menti. Anche la modalità con cui nelle nostre società si conquista il
consenso e si accede al potere è sempre più all’insegna dell’irrazionalità,
perché vince chi sa suscitare emozioni forti mentre chi pratica l’onestà
dell’analisi è inevitabilmente destinato alla sconfitta: se penso ai leader
politici di quand’ero ragazzo (Moro, Zaccagnini, Berlinguer) vedo che per loro
non vi sarebbe oggi nessuna chance. (…). Cosa ne è stato della “lezione
morale” di quegli uomini? Dimenticata se non addirittura vilipesa all’interno
anche degli organismi politici ai quali quegli uomini sono appartenuti. Lo spettacolo
indecente è sotto gli occhi di tutti. Non mi resta che proporvi, in parte, il
reportage di riccardo Luna pubblicata sul settimanale “D” del 19 di aprile. Scrive
Riccardo Luna: Mentre mi tornano in mente i miei rifiuti tecnologici di una vita ho
davanti agli occhi lo sguardo fiero di un ragazzino africano. Si chiama Isaiah
Atta e quando il regista americano Isaac Brown lo ha incontrato per la prima
volta, nel 2008, aveva 12 anni. È accaduto in Ghana, vicino ad Accra, in un
posto che è diventato il simbolo mondiale delle nostre colpe di esseri
iperconnessi, digitali, consumisti e un po’ cialtroni. Quel posto di chiama
Agbogbloshie ed è semplicemente il territorio più inquinato del mondo, secondo
un report recentemente pubblicato dalla BBC. Al secondo posto c’è Chernobyl.
Solo che in Ghana non è esplosa una centrale nucleare come accadde nell’Ucraina
settentrionale nell’86. Ad Agbogbloshie la bomba nucleare siamo noi: anzi, lì
una piccola bomba di veleni mortali esplode ogni giorno da anni, quando decine
e decine di camion scaricano rifiuti tecnologici provenienti da tutto il mondo.
(…). I numeri del fenomeno sono impressionanti. Secondo l’EPA, che è l’Agenzia
statunitense per la protezione dell’ambiente, ogni giorno ci liberiamo di
140mila computer e di oltre 400mila tra telefonini e tablet. Ogni giorno? Ogni
giorno. Solo negli Usa, nel 2011, sono state prodotte tre tonnellate e mezzo di
e-waste e di queste solo un quarto è stata riciclata. Il resto è finita in
discariche o inceneritori. Qual è il problema? Almeno due, e molto grossi. Il
primo è che negli oggetti elettronici della nostra vita quotidiana ci sono
metalli preziosi: quantità piccole, ma per esempio riciclando un milione di
telefonini si potrebbero recuperare 24 chili d’oro, 250 d’argento, 9 di
palladio e 9mila di rame. Questo non è solo uno spreco: è la causa di questa
folle corsa ai cimiteri del consumismo digitale di molti poveri del mondo. Il
secondo problema è che lì dentro, accanto ai metalli pregiati, ci sono anche
metalli nocivi come piombo, cadmio, mercurio, che quando vengono bruciati
rilasciano diossina nell’aria e se restano nella terra l’avvelenano e inquinano
per sempre le falde acquifere. Agbogbloshie è un’altra Terra dei Fuochi,
insomma. E la stavamo costruendo ogni giorno tutti noi senza pensarci. Senza
saperlo. (…). Il problema non è che cambiamo un televisore ogni cinque anni, un
computer ogni tre e un telefonino anche prima. Il problema è dove finisce
questa montagna di dispositivi inutilizzati. Qualcuno ha calcolato che solo i
device venduti da Apple fino all’inizio del 2013, impilati uno sopra l’altro,
farebbero una torre di 6700 chilometri (…), e se invece fossero un serpente
arriverebbe da Oslo a Mumbai. Così, mentre le multinazionali digitali hanno
avviato programmi di recupero e riciclo (…), si è scoperto che Agbogbloshie non
era affatto un caso isolato. Era impossibile che lo fosse. E che la Cina aveva
trasformato in industria dei veleni quello che nell’Africa centrale era
spontaneismo suicida. Segnatevi questo nome: Guyiu, nella provincia di
Guandong. Qui c’erano quattro villaggi, una volta: oggi è il più grande
cimitero elettronico del mondo. Non è facile avere informazioni ufficiali, le
autorità cinesi ostacolano chi va lì in cerca di scandali, ma per esempio nel
2005 alla discarica di Guyiu lavoravano più di 60mila persone, per 17 centesimi
l’ora, 16 ore al giorno. Obiettivo, recuperare i metalli pregiati. Già nel 2001
gli attivisti del Basel Action Network hanno documentato cosa accadeva a Guyiu.
(…). …gran parte degli oggetti elettronici che usiamo vengono prodotti in Cina
(compresi gli iPhone, per dire) e poi quando li buttiamo vengono ricomprati
come rifiuti pregiati dalla Cina stessa e trattati a Guyiu, dove a un certo
punto il sindaco ha dovuto ordinare la chiusura di oltre 800 forni a carbone
per incenerire l’e-waste perché il livello di diossina nell’aria stava
letteralmente ammazzando la popolazione. Il camion di spazzatura tecnologica
che gli attivisti di Greenpeace un giorno hanno scaricato davanti al quartier
generale cinese del colosso di Silicon Valley Hewlett Packard è stato il segno
che la misura era colma. (…). E poi le statistiche non tengono conto di due
fattori: nelle statistiche del commercio di rifiuti vanno a finire anche
prodotti nuovi, perfettamente funzionanti ma fuori garanzia o non più alla
moda, e tutti quei prodotti che in misura crescente vengono riparati e
riutilizzati secondo la filosofia del repair, reuse che sta crescendo un po’
ovunque.
Ti leggo sempre, Ettore. Anche se in ritardo: Buona Pasqua.
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