"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

lunedì 21 aprile 2014

Dell’essere. 11 La via crucis del mondo.



Nella settimana che è stata della “passione” mi è capitato per le mani il solito settimanale per gentilissime signore all’interno del quale veniva proposto un reportage di Riccardo Luna che ha per titolo “Telefonini al veleno”. È tanto che un settimanale destinato a troneggiare nelle sale d’attesa frequentate dalle nostre gentilissime signore abbia a proporre un reportage del genere. È chiaro che l’atmosfera di “passione” avrà coinvolto e sensibilizzato le redazione tutta. Poiché il reportage in questione parla sempre e comunque di una “passione”, al termine della quale “passione” però non vi sarà lo straordinario, incredibile atto della “resurrezione”. Il reportage ha la pretesa di porre al centro dell’attenzione una “passione” che è ben diversa da quella ricordata nella cosiddetta “settimana santa” ma che pur sempre dovrebbe interessarci nella stessa misura poiché da quella “passione”, che potrebbe precedere una “morte annunciata”, è legata la vita delle future generazioni di umani. Interessa la cosa?
Tanto per non continuare nell’estenuante giro di parole è della “passione” della Terra che si parla nel reportage in questione. Ha scritto nel venerdì ultimo di “passione” il teologo Vito Mancuso sul quotidiano “la Repubblica” un “pezzo” che ha per titolo “La Via crucis del mondo”. Leggo sempre con interesse grande le Sue riflessioni, non sempre condividendole, poiché non possiamo condividere una “fede” che non mi appartiene. Ciò non mi distoglie d’approssimarmi con interesse grande alle Sue argomentazioni. Ha scritto ad un certo punto facendo di certo inquietare non pochi di quelli che dicono di possedere la “fede”: Penso che (…) sia possibile capire le due principali malattie di cui soffriamo oggi: 1) una filosofia di vita opposta a quella di Francesco (inteso come l’uomo di Assisi n.d.r.) e analoga a quella del ricco mercante suo padre, cioè all’insegna dell’accumulo e del consumo, a cui si viene indotti fin da piccoli dalla potenza della pubblicità e dall’industria dell’intrattenimento che le gira attorno; 2) una filosofia della natura opposta a quella del Cantico delle creature che considera la materia come inerte e la vita come lotta, e da cui discende un atteggiamento predatorio verso il pianeta e il conseguente inquinamento. Dal canto suo la religione tradizionale dell’Occidente non è stata in grado di fronteggiare questi due mali, anzi vi ha persino contribuito a causa del suo antropocentrismo, per cui anche il cristianesimo si deve rinnovare, anzi direi convertire. È vero o non è vero? Disturba o non disturba più di tanto? Per chi è in possesso di una “fede” l’inquietudine dovrebbe essere massima. Continua Vito Mancuso: La nostra civiltà è malata, è in corso una via crucis del pianeta davanti ai nostri occhi distratti. L’aria delle nostre città, i nostri mari inquinati, l’acqua, le foreste, sono vittime di un’ideologia rapace e utilitaristica che considera la natura solo come un’inanimata risorsa da sfruttare e che alimenta la fiorente industria della fiction per la finzione necessaria a sedare le coscienze. I rifiuti prodotti dagli oltre 7 miliardi di esseri umani sono ormai superiori alle possibilità di smaltimento, e per alcuni di essi come le scorie nucleari lo smaltimento è praticamente impossibile. Che cosa avverrà quando nel 2025 la popolazione sarà di 8,1 miliardi? E quando nel 2050 giungerà a 9,6 miliardi? Una nuova guerra mondiale? Una serie permanente di inarrestabili conflitti locali? (…). Ai nostri giorni un terzo del cibo prodotto viene buttato via, sono 1,3 miliardi di tonnellate di cibo su scala annuale che finiscono tra i rifiuti, con l’uso scriteriato di acqua, energia e vita animale e vegetale che tutto questo comporta. E ciò a fronte del fatto che ogni giorno muoiono per fame 24.000 esseri umani, 8 milioni e mezzo all’anno. Basta questo per evidenziare la pericolosa malattia mentale di cui soffre la nostra società? Nutriamo la nostra anima con le manifestazioni di massa dell’effimero (...) pagandone i protagonisti con cifre esorbitanti, mentre miliardi di esseri umani vivono con meno di due dollari al giorno. Proprio nell’epoca del trionfo della scienza assistiamo a un tracollo della razionalità nel governo del mondo, con la conseguenza che a trionfare non è veramente la scienza, la quale è sempre ricerca e dubbio, ma è piuttosto la tecnica che ammannisce certezze e cattura le menti. Anche la modalità con cui nelle nostre società si conquista il consenso e si accede al potere è sempre più all’insegna dell’irrazionalità, perché vince chi sa suscitare emozioni forti mentre chi pratica l’onestà dell’analisi è inevitabilmente destinato alla sconfitta: se penso ai leader politici di quand’ero ragazzo (Moro, Zaccagnini, Berlinguer) vedo che per loro non vi sarebbe oggi nessuna chance. (…). Cosa ne è stato della “lezione morale” di quegli uomini? Dimenticata se non addirittura vilipesa all’interno anche degli organismi politici ai quali quegli uomini sono appartenuti. Lo spettacolo indecente è sotto gli occhi di tutti. Non mi resta che proporvi, in parte, il reportage di riccardo Luna pubblicata sul settimanale “D” del 19 di aprile. Scrive Riccardo Luna: Mentre mi tornano in mente i miei rifiuti tecnologici di una vita ho davanti agli occhi lo sguardo fiero di un ragazzino africano. Si chiama Isaiah Atta e quando il regista americano Isaac Brown lo ha incontrato per la prima volta, nel 2008, aveva 12 anni. È accaduto in Ghana, vicino ad Accra, in un posto che è diventato il simbolo mondiale delle nostre colpe di esseri iperconnessi, digitali, consumisti e un po’ cialtroni. Quel posto di chiama Agbogbloshie ed è semplicemente il territorio più inquinato del mondo, secondo un report recentemente pubblicato dalla BBC. Al secondo posto c’è Chernobyl. Solo che in Ghana non è esplosa una centrale nucleare come accadde nell’Ucraina settentrionale nell’86. Ad Agbogbloshie la bomba nucleare siamo noi: anzi, lì una piccola bomba di veleni mortali esplode ogni giorno da anni, quando decine e decine di camion scaricano rifiuti tecnologici provenienti da tutto il mondo. (…). I numeri del fenomeno sono impressionanti. Secondo l’EPA, che è l’Agenzia statunitense per la protezione dell’ambiente, ogni giorno ci liberiamo di 140mila computer e di oltre 400mila tra telefonini e tablet. Ogni giorno? Ogni giorno. Solo negli Usa, nel 2011, sono state prodotte tre tonnellate e mezzo di e-waste e di queste solo un quarto è stata riciclata. Il resto è finita in discariche o inceneritori. Qual è il problema? Almeno due, e molto grossi. Il primo è che negli oggetti elettronici della nostra vita quotidiana ci sono metalli preziosi: quantità piccole, ma per esempio riciclando un milione di telefonini si potrebbero recuperare 24 chili d’oro, 250 d’argento, 9 di palladio e 9mila di rame. Questo non è solo uno spreco: è la causa di questa folle corsa ai cimiteri del consumismo digitale di molti poveri del mondo. Il secondo problema è che lì dentro, accanto ai metalli pregiati, ci sono anche metalli nocivi come piombo, cadmio, mercurio, che quando vengono bruciati rilasciano diossina nell’aria e se restano nella terra l’avvelenano e inquinano per sempre le falde acquifere. Agbogbloshie è un’altra Terra dei Fuochi, insomma. E la stavamo costruendo ogni giorno tutti noi senza pensarci. Senza saperlo. (…). Il problema non è che cambiamo un televisore ogni cinque anni, un computer ogni tre e un telefonino anche prima. Il problema è dove finisce questa montagna di dispositivi inutilizzati. Qualcuno ha calcolato che solo i device venduti da Apple fino all’inizio del 2013, impilati uno sopra l’altro, farebbero una torre di 6700 chilometri (…), e se invece fossero un serpente arriverebbe da Oslo a Mumbai. Così, mentre le multinazionali digitali hanno avviato programmi di recupero e riciclo (…), si è scoperto che Agbogbloshie non era affatto un caso isolato. Era impossibile che lo fosse. E che la Cina aveva trasformato in industria dei veleni quello che nell’Africa centrale era spontaneismo suicida. Segnatevi questo nome: Guyiu, nella provincia di Guandong. Qui c’erano quattro villaggi, una volta: oggi è il più grande cimitero elettronico del mondo. Non è facile avere informazioni ufficiali, le autorità cinesi ostacolano chi va lì in cerca di scandali, ma per esempio nel 2005 alla discarica di Guyiu lavoravano più di 60mila persone, per 17 centesimi l’ora, 16 ore al giorno. Obiettivo, recuperare i metalli pregiati. Già nel 2001 gli attivisti del Basel Action Network hanno documentato cosa accadeva a Guyiu. (…). …gran parte degli oggetti elettronici che usiamo vengono prodotti in Cina (compresi gli iPhone, per dire) e poi quando li buttiamo vengono ricomprati come rifiuti pregiati dalla Cina stessa e trattati a Guyiu, dove a un certo punto il sindaco ha dovuto ordinare la chiusura di oltre 800 forni a carbone per incenerire l’e-waste perché il livello di diossina nell’aria stava letteralmente ammazzando la popolazione. Il camion di spazzatura tecnologica che gli attivisti di Greenpeace un giorno hanno scaricato davanti al quartier generale cinese del colosso di Silicon Valley Hewlett Packard è stato il segno che la misura era colma. (…). E poi le statistiche non tengono conto di due fattori: nelle statistiche del commercio di rifiuti vanno a finire anche prodotti nuovi, perfettamente funzionanti ma fuori garanzia o non più alla moda, e tutti quei prodotti che in misura crescente vengono riparati e riutilizzati secondo la filosofia del repair, reuse che sta crescendo un po’ ovunque.

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