Domani è il 1° di maggio. Come
oggi, il 30 di aprile dell’anno 2011 scrivevo e postavo “L’opificio laborioso delle beatitudini”. Allora era un gran
osannare in vista della beatificazione del papa polacco. Oggi, quel papa è
stato innalzato agli onori altissimi della santità. Lo sfarzo ed il clangore
dell’evento non si sono ancora spenti. I media lavorano bene sulle coscienze. Avverrà
che, spentisi sfarzo e clangore, possa tornare doverosa, giusta e rispettosa
della Storia una riflessione che possa aprirsi, anche se faticosamente, una
strada che sia verso le coscienze libere di quelli che sarebbe bene definire
gli “uomini
di buona volontà”? Di quel post propongo di seguito la parte che fa
commento ad una lettera di don Paolo Farinella il prete dei diseredati e delle
donne di strada in quel di Genova. Trovo che sia la rilettura di quella lettera
il più degno riconoscimento alla sacralità laica del primo di maggio.
Scrive don Paolo Farinella, prete a Genova: “Il 1° maggio, universalmente giorno
dedicato ai lavoratori, in Italia è stato requisito dalla gerarchia cattolica,
segnatamente dal Vaticano che ha deciso di beatificare Giovanni Paolo II, il
papa polacco, in questo giorno, con una volontà di prevaricazione ostentata e
con l’intenzione di oscurare con una massa religiosa il 1° maggio laico,
contrapponendo due celebrazioni, laica e cattolica, in modo artificiale e
polemico.” Ma tutto ciò non sorprende. Anche la festività dell’artigiano di
Nazareth fu posta come a “contrasto” della festa laica
del lavoro. Scrive ancora don Paolo: “è vero che il papa polacco fu un
operaio. Lo fu solo per un anno o poco più. Non si può quindi dire che fu un
«operaio», ma piuttosto che fece una esperienza di lavoro. Vendere questa
esperienza come uno status qualificante è falso e mistificatorio. Non è degno
di chi crede comportarsi così.” Ma la dignità, oggigiorno, è ben difficile
da ritrovarsi in qualsivoglia organizzazione politica, sociale o religiosa. La
dignità non ha più sede in questo mondo. Scrive ancora don Paolo: “(…). Non è così che si testimonia la fede,
così la si uccide soltanto perché questo genere di eventi mettono in evidenza
l’esteriorità: le grandi masse, i numeri, il folclore, l’illusione di dire che
«erano in tanti» come sinonimo di richiesta di religione. Siamo in pieno
paganesimo religioso perché si sfrutta il sentimentalismo per affermare una
visibilità che nasconde il vuoto e il paganesimo dello stesso personale
clericale. Sceneggiate. Parate. Mondanità.” “Sceneggiate. Parate. Mondanità.”;
come lo fu il papato del nuovo beato, sorretto dalla medialità più ottusa ed estrema.
Scrive ancora don Paolo: “(…). Il papa
polacco come uomo fu dirompente, carismatico, carnale e sanguigno: fu un uomo
vero che si tuffava in mezzo all’umanità e vi restava. Ciò detto e
riconosciuto, come papa fu il peggior papa del secolo scorso perché polacchizzò
la Chiesa, consegnandola nelle mani delle sètte religiose che hanno frantumato
il volto unito della sposa di Cristo.” Ai tanti, tantissimi devoti
creduloni, ben poca cosa potranno essere o sembrare le “rampogne” del prete Farinella
che fa parte della cosiddetta “altra chiesa”. Ai tanti, tantissimi creduloni,
poco importerà che sia la Storia, quella non artefatta, a dire qualcosa di più
di quell’uomo polacco; il tutto, l’interesse supremo, è spendere al momento un
atto mediatico che sa di “paganesimo religioso”. Conclude don Paolo Farinella
la Sua pubblica lettera: “(…). L’obiettivo
di tutta questa nuova fregola di evangelizzazione è uno solo: annientare
definitivamente il concilio Vaticano II, il cui solo nome è sintomo di
destabilizzazione nel mondo curiale e clericale. Noi celebreremo come possiamo
il 1° maggio con un concerto dedicato ad un lavoratore della musica, il M. Emilio
Traverso nel IV anniversario della sua morte e con lui pensiamo a tutti i
lavoratori del mondo che cooperano alla grandezza del mondo.” Su quello
che potremmo definire senza ombre di dubbio “l’opificio laborioso delle
santità” – “delle beatitudini” al tempo del mio post del 30 di aprile dell’anno
2011 - inaugurato dal rivoluzionario nuovo vescovo di Roma che si è voluto chiamare
Francesco, ne ha scritto dottamente Vito Mancuso sul quotidiano la Repubblica
24 di aprile col titolo “La Chiesa di
Bergoglio e il bisogno dei Papi santi”.
Scrive il teologo: Tra le religioni monoteiste è solo il cristianesimo a conoscere il
fenomeno della santità, che invece rimane del tutto sconosciuto all’ebraismo e
all’islam. Non che in queste due grandi religioni non vi siano stati e non vi
siano uomini e donne di grande spessore spirituale, ma né l’ebraismo né l’islam
nel riconoscerne il valore hanno mai sentito l’esigenza di dichiararli “santi”.
Per queste due religioni infatti la santità appartiene per definizione solo a
Dio, e l’uomo, fosse anche il migliore di tutti, fosse anche il profeta Elia o
il profeta Muhammad, non può strutturalmente partecipare al divino, e quindi
può essere sì giusto, osservante, devoto, ma mai può essere santo. Il
cristianesimo al contrario crede nella possibilità della comunione ontologica
tra il divino e l’umano. (…). C’è molto ottimismo, c’è molta simpatia verso
l’uomo, nel dichiararne la santità. E non è certo un caso che tra le diverse
forme di cristianesimo siano in particolare il cattolicesimo e l’ortodossia a
insistere sulla santità, che invece è quasi del tutto dimenticata nel
protestantesimo la cui teologia è perlopiù caratterizzata da un’antropologia
pessimista secondo cui l’uomo non potrà mai giungere a una natura pienamente
riconciliata (per Lutero si è sempre simul iustus et peccator, il male cioè non
può essere mai del tutto sradicato neppure nel migliore dei giusti). (…). Che
cosa contraddistingue allora la santità cattolica? La risposta è la Chiesa,
ovvero il fatto che la santità non viene riconosciuta dal basso, dal popolo,
per gli evidenti meriti del maestro, come fu il caso di Gandhi chiamato Mahatma
già in vita, ma diviene tale solo in seguito a una formale dichiarazione della
gerarchia ecclesiastica detta canonizzazione. E qui si inserisce, oltre alla
dimensione teologico-spirituale dichiarata sopra, la valenza politica del
fenomeno santità. La politica infatti ha sempre giocato un grande ruolo nella
storia della Chiesa alla prese con la dichiarazione della santità dei suoi figli
migliori. Nel bene e nel male. Si pensi nel primo caso alla rapidissima
canonizzazione di Francesco d’Assisi, proclamato santo a neppure due anni dalla
morte. E si pensi nel secondo caso alla canonizzazione dell’imperatore
Costantino o alla beatificazione di Carlo Magno, uomini di immenso potere,
dalla vita non proprio integerrima e tuttavia elevati agli onori dell’altare.
(…). Aveva del tutto torto il cardinal Martini a essere contrario alla
canonizzazione dei papi recenti? Tanto più che la politica ecclesiastica non si
esprime solo sulle canonizzazioni in positivo, ma anche su quelle in negativo,
sull’esclusione cioè di chi meriterebbe di essere riconosciuto santo ma non lo
diviene. È il caso di monsignor Oscar Romero, ucciso dagli squadroni della morte
il 24 marzo 1980 mentre celebrava la messa nella cattedrale di San Salvador per
la difesa dei diritti dei poveri, e mai beatificato da Giovanni Paolo II, che
anzi in vita l’umiliò, né in seguito da Benedetto XVI. Ed è il caso di Helder
Camara, il vescovo di Recife, nel nord del Brasile, famoso per la sua lotta a
favore degli ultimi (amava ripetere «quando do da mangiare a un povero dicono
che sono un santo, quando chiedo perché è povero dicono che sono comunista»)
per la sua gente già santo ma non per il Vaticano. (…). Laicamente un
buon primo di maggio a tutti Voi.
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