Incontro la giovane persona. Mi dice:
- L’Italia non è un paese per giovani -. Gli rispondo: - Ma lo è per i vecchi? –
. Intanto sento lontano il mare mugghiare. Mi hanno detto che, nella notte, il
mare ha spiaggiato una infinità di meduse. Non era mai accaduto in quel di
C***. Un presagio. Aggiunge la giovane persona: - Se ad ottobre le cose
dovessero essere ancora così come lo sono ora, zaino in spalla ed andrò via
anch’io -. La giovane persona ha allestito in quel di C***, qualche anno addietro,
uno straordinario, bellissimo atelier d’arte fotografica. Ma a chi può
interessare la fotografia come arte? Oggigiorno, in un eccesso di delirio narcisistico,
tutti si auto-fotografano tanto che è stato coniugato un apposito termine. E così
i migliori pensano di andare via. Non è “un paese per giovani”. Non è “un paese
per vecchi”. È solamente un paese per avventurieri, opportunisti, per cinici e
furbi. Mi hanno detto che appena sarà spuntato un po’ di sole le meduse spiaggiate
a migliaia sulla costa di C***, dal mare che da ieri mugghia furioso, cominceranno
a decomporsi e l’esito finale del processo porterà un odore acre e pungente per
le vie del piccolo centro nebroideo. È quasi un presagio. Quante giovani
persone saranno “spiaggiate” nel corso dell’anno? Quante vite saranno costrette
a tagliare le loro radici d’affetto? Entrerà, da qui ad ottobre, anche l’atelier
fotografico della giovane persona, una delle tante, tantissime iniziative di lavoro,
nelle statistiche che vedono ben quaranta attività chiudere battenti giornalmente
nel paese che non è né dei giovani né tanto meno dei vecchi? È il paese dei
furbi.
Scriveva Barbara Spinelli sul quotidiano la Repubblica del 24 di agosto
dell’anno 2011 – “I sovrani della crisi”
-: Il
linguaggio della verità è la rivoluzione più urgente da fare: esso ci farebbe
vedere i pericoli che corriamo, quando accusiamo solo la casta politica e non
le mille caste che usano il denaro pubblico a fini privati e hanno un interesse
nello status quo. Chi ci tiene all’oscuro lo fa con la nostra complicità, tutti
abbiamo accettato di essere consumatori ciechi anziché cittadini vedenti. Se
cominciamo a voler guardare e sapere, vedremo quel che accade: a governare le
nostre esistenze non c’è oggi la politica, con la sua capacità di dominio
intelligente sugli interessi. Non c’è il sovrano eletto, con un mandato a
termine. Sovrani sono poteri non eletti, come gli speculatori di borsa o le
agenzie di rating che storcono le nostre vite e sono i nuovi tribunali delle
democrazie. O sono poteri che potrebbero rappresentarci – l’Unione europea, la
sua Banca centrale – ma che non hanno vera autorità perché i vecchi
Stati-nazione gliela negano. (…). È come fossimo immersi, oltre che in un
angoscioso presente, in un quadro di Magritte: sulla tela c’è il sovrano
democratico, c’è l’Europa. Ma la didascalia dice, come sotto la pipa disegnata
dal pittore: Questo non è un sovrano. Questa non è Europa. Gli effetti
dell’impostura pittorica sono visibili a chiunque usi gli occhi. Il quadro è in
realtà occupato da forze oscure, opache, che si fanno scudo del trono dipinto.
Da una parte la forza dei mercati. Dall’altra le sommosse che esplodono ai
margini e fin dentro le metropoli. Disinformate da anni, cullate in sogni di
crescita, di consumi, di lavoro rettamente remunerato, le società
imbestialiscono pur di farsi vedere, sentire, temere. Le due forze (speculatori
e agenzie di rating; ammutinati delle periferie urbane abbandonate) hanno
istinti simili, di branco che s’avventa. Tra i due caos nessun mediatore ma,
appunto, l’immagine tradita di Magritte. Il luogo della politica è deserto,
afono. Un magistrato esperto di criminalità urbana, Michel Marrus, scrive su Le
Monde del 21 agosto che le sommosse inglesi o francesi potremmo vederle, in Tv,
commentate con le parole del crac finanziario. Stessa terminologia, stesso
registro di distruzione, sfascio, guerra: gli spiriti si abituano a uno stato
permanente di sommossa. Stessa propensione all’illegalità infine, anche se gli
Stati combattono l’una e non l’altra. (…). S’inginocchiano tutte le democrazie
a una sommossa permanente che è repressa, dunque non regolata, quando viene
dalla società. Che è subita quando la scatenano i mercati. Hans Tietmeyer, ex
governatore della Banca centrale tedesca, disse nel 1998 che accanto al
plebiscito delle urne esiste il permanente plebiscito dei mercati mondiali.
Esiste ormai anche il plebiscito dei tumulti urbani, e anche qui la politica
risponde autodecapitandosi. Le sommosse sono pura criminalità, afferma David
Cameron: la colpa è dei genitori, della caduta dei valori, delle psicologie.
Mai dello Stato, che può replicare togliendo sussidi alle famiglie disastrate
dei riottosi, censurando Internet, chiedendo ai giudici pene non commisurate ai
reati. Neanche un attimo la politica è sfiorata dal dubbio che i giovani delle
sommosse siano figli dei suoi errori, della sua latitanza. Fra pochi giorni
celebreremo il decimo anniversario dell’11 settembre, e scopriremo che siamo
tuttora impelagati nei luoghi comuni di allora. Si parlerà ancora una volta di
atti nichilisti, credendo di svelare le vere radici del male. Nulla è svelato,
invece. Si descrive la modalità dei tumulti, non la loro radice. Dire che le rivolte
sono nichiliste è una tautologia: è come dire che la politica muore perché è
morta. Andare alle radici significa, per la politica, ripensare le proprie
responsabilità, non indulgere a discorsi psicologici sui valori decaduti.
Significa guardare le sommosse urbane e dire a se stessi, con il coraggio che
ebbe Rossana Rossanda nel ’78 di fronte ai terroristi: Sembra di sfogliare il
nostro album di famiglia. In Italia significa fare i conti con la cultura
dell’illegalità, del bene pubblico depredato. Non ne siamo ancora capaci, in
piena crisi. Il solo contratto sociale considerato sacrosanto, in questi
giorni, è quello con il mondo del crimine. (…). Non c’è da stupirsi per le
sommosse. C’è da stupirsi che durino solo sei notti. I politici sono frenetici
in queste settimane. Soprattutto in Italia, corrono pazzamente qua e là. Ma
attenzione: si muovono inamovibilmente, come nei sogni. Come quando la Regina
Rossa dice ad Alice: nel mondo oltre lo specchio puoi correre a precipizio,
senza che nulla cambi: - Qui ti tocca correre più forte che puoi, per restare
nello stesso posto -. Ed oggi abbiamo a governare quello che è stato
definito il bel paese uno che va sempre di corsa. Per andare dove? Verso cosa?
Sembra che non abbia mai tempo per pensare, soppesare le cose che dice,
valutare l’impatto dei suoi annunci sulle migliaia di giovani vite che da oggi
ad ottobre dovranno mettere sulle loro giovani spalle lo zaino del migrante. Scrive
Curzio Maltese sull’ultimo numero del settimanale “il Venerdì di Repubblica” del
25 di aprile – “Questa strana Europa che
salva le banche e lascia affondare i giovani” -: (…). …la realtà ha oramai
smentito tutte le teorie liberiste. Le liberalizzazioni, i continui tagli allo
Stato sociale, nelle promesse dei liberisti avrebbero dovuto renderci tutti più
ricchi, soprattutto i ceti medi, garantendo così una poderosa crescita e un
futuro più prospero alle future generazioni. È accaduto l’opposto. L’economia è
andata in recessione, i ceti medi si sono impoveriti, la disoccupazione
giovanile è schizzata alle stelle. Eppure i teologi del liberismo negano l’evidenza
e anzi accusano gli Stati di non aver applicato abbastanza bene una ricetta
disastrosa. Chiedono più precariato giovanile, altri tagli al welfare e
austerità, più liberalizzazioni. Altro che morte delle ideologie. I liberisti
di oggi sono come i comunisti di ieri, quelli che dipingevano i regimi dell’Est
come il paradiso in terra dei lavoratori, nonostante la fame e i gulag. Ora dicono
che i nostri giovani devono essere più flessibile e precari. (…). Naturalmente è
vero il contrario. (…). Basterebbe destinare all’investimento in posti di
lavoro anche soltanto la metà dei duemila miliardi messi a disposizione dall’Europa
per il salvataggio delle banche negli ultimi anni. Purtroppo non è questa la
direzione dell’Unione, che si prepara a dare altri mille miliardi alle banche.
(…). A chi rivolgerà le sue domande la giovane persona in quel di C***?
Ed il premier arrembante, quali risposte si appresta a dare se non quelle tanto
care al liberismo più sfacciato? E le cosiddette risposte di sinistra? Non esistono
proprio. “Il linguaggio della verità è la rivoluzione più urgente da fare” ha
scritto Barbara Spinelli. In un inaspettato atto di resipiscenza ha scritto
Eugenio Scalfari nel Suo ultimo editoriale della domenica sul quotidiano la
Repubblica: L'attuale presidente del Consiglio è, (…), il figlio buono di
Berlusconi, il principe di seduttori; i programmi vincolati alla coerenza non
sono il suo forte. Il seduttore vive di annunci e aspira alle conquiste. È un
dongiovanni come Berlusconi: non si innamora ma vuole sedurre. Se la seduzione non
funziona, cambia obiettivo e sposta il tiro. La sua donna Elvira è la Boschi,
come la Gelmini lo è per il Berlusca. Il suo Leporello è Delrio come per
l'altro è stato Dell'Utri. Bastano forse questi nomi per comprendere che la
qualità di Renzi è cento volte maggiore di quella dell'ex cavaliere. Ma si
tratta pur sempre di due dongiovanni, con una differenza di fondo: Berlusconi
finirà nell'abbraccio d'un Convitato di pietra che metterà la parola fine alle
sue imprese. Renzi troverà invece un Figaro che venda per lui una "pomata
fina" di ottima qualità. (…). È così.
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