Bella,
questa! Lo sapevate che oggi è la “Giornata della Terra”? Qualche bontempone
degli umani ci ha pensato sopra convincendosi che questa giornata, il 22 di
aprile, la si dovesse riservare alla Terra. Un’altra delle tante, tantissime
inutili “giornate”. Per il resto, il nulla. Ha scritto Barbara Spinelli sul
quotidiano la Repubblica del 16 di aprile – “L’imperativo di Jonas per salvare il pianeta” -: Per
nostra incuria, e cecità, la terra continua a surriscaldarsi, e sempre più
arduo sarà rispettare l’obiettivo fissato: evitare che l’aumento della
temperatura superi i 2 gradi centigradi. Soglia fatidica, oltre la quale il
globo è messo mortalmente in pericolo dalle emissioni di anidride carbonica e
gas serra. Conosciamo quel che può seguire: scioglimento dei ghiacciai,
innalzamento dei livelli marini e cancellazione di intere regioni, cibo
insufficiente per l’umanità, scomparsa di foreste, estinzione massiccia di
piante e specie animali.
Direte voi, sghignazzando, ecco la solita
minestra riscaldata! Ed un telegiornale dei soliti, a proposito della
sconosciuta ai più ricorrenza dedicata alla madre Terra, parlava a sproposito
dei futuri “nativi” che bisognerebbe educare al rispetto degli equilibri dell’ecosistema
Terra. Patetico! È da una vita che si insiste su di un tasto per il quale i “nativi”
dalle due orecchie non ci sentono proprio. Scrive ancora Barbara Spinelli, musa
inascoltata: Un eminente manager pubblico, l’ex amministratore delegato dell’Eni
Scaroni, è giunto sino a chiedersi pubblicamente, nel luglio scorso: «Abbiamo
investito in modo dissennato nelle energie rinnovabili. Eravamo ubriachi?» E il
nuovo ministro dello sviluppo, Federica Guidi, ha illustrato alla Commissione
Industria qual era il suo «feeling»: quel che occorre è «la massima attenzione
alla crescita sostenibile», e al tempo stesso la «rimozione degli ostacoli
burocratici che impediscono sia lo sviluppo della nostra capacità di
rigassificazione per beneficiare della rivoluzione del gas da argille (shale
gas), sia gli investimenti privati nella ricerca e produzione di idrocarburi».
Il feeling è parecchio contraddittorio: le perforazioni necessarie per estrarre
shale gas mal si coniugano con l’economia verde, comportando spropositati
dispendi di acqua, inquinamento delle falde e, secondo alcuni, possibili terremoti.
Scriveva il professor Umberto Galimberti in una Sua riflessione che ha
per titolo “Dove s'è perso l'antico
legame dell'uomo con la natura?” pubblicata sul settimanale “D” del 19 di
novembre dell’anno 2011: Scrive Pascal: - Il minimo movimento
interessa tutta la natura. Il mare intero cambia per una pietra -. Gli animali
abitano l'ambiente naturale e unicamente quello coordinato con il loro istinto
(un leone, ad esempio, non può vivere al Polo Nord, così come un orso polare
non può vivere all'Equatore). L'uomo non ha istinti che sono risposte rigide
agli stimoli, ma solo pulsioni a meta indeterminata, per cui a differenza
dell'animale, per sopravvivere ha avuto bisogno e continua ad aver bisogno di
dispositivi tecnici, a partire dal primo bastone impugnato per raggiungere un
frutto appeso a un ramo troppo alto. Sotto questo profilo possiamo dire che la
tecnica è l'essenza dell'uomo perché senza di essa la specie umana non avrebbe
potuto sopravvivere. Il problema è il giusto rapporto tra impiego della tecnica
e conservazione dell'ambiente naturale. Ma per effetto dell'espansione della
dimensione tecnica questo rapporto si è infranto, si è cioè spezzato quello che
Marx definiva: ‘rapporto organico tra uomo e natura’, al punto che, come ci
ricorda Hans Jonas, la città degli uomini, un tempo enclave nella natura oggi
ha usurpato il posto della natura riducendola a enclave della città. Il mondo
artificiale ha fagocitato il mondo naturale. Questo ha determinato anche una
profonda modificazione della nostra percezione della natura, per cui, (…), il
sole e il vento sono percepiti fondamentalmente come fonti di energia da
utilizzare, il suolo è solo ciò che copre il sottosuolo per la ricchezza che
custodisce, la foresta è riserva di legname, la montagna è cava di pietra, il
fiume è forza d'acqua per la produzione di energia elettrica, per cui la
natura, prima ancora di essere impiegata, è già utilitaristicamente percepita.
Si provi a immaginare cosa percepisce un poeta e cosa un falegname di fronte a
un bosco fitto di alberi. Noi siamo diventati tutti falegnami e, senza
accorgerci, siamo passati dall'uso della terra alla sua usura. (…).
Sostituendosi progressivamente ai processi naturali, invece di assecondarli,
oggi la tecnica ha finito col de-naturalizzare la natura che, essendo la dimora
dell'uomo, lascia presagire anche una de-umanizzazione dell'umano. E così,
ipocritamente, ci concediamo di fissare per il 22 di aprile una giornata in
ricordo, forse, della madre Terra. Non per niente l’illustre studioso si rifà
al pensiero di Hans Jonas autore di quel “Principio
di responsabilità” – 1979 – caduto precipitosamente e rovinosamente nel
dimenticatoio. E così fa pure Barbara Spinelli allorché riconduce la Sua riflessione
a quell’Autore dimenticato: Jonas ha addirittura riformulato
l’imperativo categorico di Kant. Il dovere etico-politico ordina tuttora di
«agire in modo che la tua volontà possa sempre valere come principio di
legislazione universale», ma si estende così: «Agisci in modo che gli effetti
del tuo agire siano compatibili con la permanenza di un’autentica vita umana
sulla terra». Oggi, nella “giornata” dichiarata della Terra, c’è da
prendere atto che di quell’imperativo non esiste traccia alcuna nell’agire
degli umani, per la qual cosa Barbara Spinelli può amaramente scrivere: Il
mondo in cui viviamo non è all’altezza dell’imperativo di Jonas. A fronte di
lobby ormai transnazionali (le industrie petrolifere, ma anche il commercio
d’armi, le mafie) non si erge un potere politico egualmente transnazionale, che
le argini. L’ordine globale è ancora quello westphaliano escogitato nel 1648,
che mise fine alle guerre di religione ma suscitò i mostri dei nazionalismi.
Gli stessi mostri pronti a vanificare i moniti dell’Onu e dei suoi scienziati.
E come sempre emerge con energia la Sua denuncia per quella politica che a
tutti i livelli ha rinunciato ad essere pensatrice ed indicatrice di una
direzione di sviluppo sostenibile non essendo più nelle condizioni di meritare credibilità
alcuna. Sostiene Barbara Spinelli: Siamo ancora rovinosamente dipendenti da
combustibili fossili. Petrolio, carbone, gas hanno contribuito per il 78%
all’incremento totale di emissioni dal 1970 a 2010, e peseranno ancor più se
nulla cambia. (…). Il passaggio a un’economia basata su combustibili lowcarbon
costerebbe oggi 1-2 punti di ricchezza nazionale. Nel 2020 salirebbe a 4-5
punti. Diverrebbe proibitiva dopo il 2030. Dicono anche che la crescita si
blocca, se fin d’ora proteggiamo la terra. È menzogna: lo sviluppo si
rallenterebbe solo dello 0,06%, assicurano gli scienziati. (…). Non ci è dato
di affrontare prima la recessione, e dopo il clima. La vera dissennatezza è non
contare fino a due, non assolvere insieme i due compiti. (…). È una forma di
amore del prossimo. O meglio, direbbe Nietzsche, di «amore del più lontano»: è
trepidazione per i viventi che verranno, scudo contro la distruzione che li
minaccia. Ma c’è un imperativo che mette a tacere tutti gli altri ed è
l’imperativo della “crescita” indefinita e senza limiti. È il “mostro” famelico ed
a più teste al quale si è disposti a dare in pasto quell’«amore del più lontano» per
il quale, per una vita vissuta esclusivamente sul e nel presente, quell’amore non
assume senso alcuno.
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