Da “L'esperimento
su Atene: svuotare la democrazia” di Barbara Spinelli, su “il Fatto
Quotidiano” del 9 di giugno 2015: (…). …un’oligarchia tecnico-politica sta usando
la Grecia per accrescere il proprio potere disciplinatore nell’Unione, e ciò
avviene collaudando un preciso modello di democrazia, de-costituzionalizzata e
de-parlamentarizzata. (…). L’esperimento è riuscito, dal punto di vista dei
collaudatori, perché la meta fondamentale è raggiunta. Le democrazie e le
costituzioni nazionali stanno subendo erosioni progressive e il suffragio
universale, soprattutto, viene ridotto a variabile fastidiosa, da aggirare o
sacrificare. Efficacia e governabilità prendono il posto della
rappresentatività, nella gerarchia delle priorità, e il colpo di mano è reso
possibile dall’identificazione fra sovranità nazionali e sovranità popolari. La
perdita delle prime, sempre più forte dal dopoguerra, trascina nel baratro
anche le sovranità cittadine. Quest’evaporazione generale di sovranità viene in
genere presentata come premessa di uno sviluppo federale dell’Unione, ma
nessuna Federazione è in vista, sicché la sovranità semplicemente si disperde,
a vantaggio dei poteri che gestiscono la globalizzazione e sono chiamati
sbrigativamente mercati. Il negoziato fra Atene e Unione assumerebbe tutt’altra
forma, in un’unione politica che fosse federale. Conterebbero gli argomenti
avanzati dal governo greco – esisterebbe un’agorà europea – e non prevarrebbe
la potenza relativa di questo o quello Stato. Non è pensabile, in una Federazione,
che uno Stato membro venga punito, per il proprio debito, con l’estromissione
dalle istituzioni federali e dalla loro moneta. Le Federazioni nascono proprio
per evitare questo. Il fatto è che assistiamo a una formidabile regressione
dell’Europa, e questo è il vero esperimento in corso. Il caso greco serve a
mettere in questione l’idea sorta nel dopoguerra di un’Europa che sormonti in
tre modi i vecchi equilibri fra potenze nazionaliste – la balance of power che
scatenò due guerre mondiali nel ‘900: creando permanenti vincoli di solidarietà
fra gli Stati, preservando le sovranità popolari che fondano le democrazie
costituzionali, e facendo della lotta alla povertà, del Welfare, il perno della
nascente comunità. La nuova Europa oligarchica che nella crisi è andata
consolidandosi è governata da un finto “federalismo degli esecutivi”, come ha
scritto Jürgen Habermas, e il direttorio è responsabile dell’entropia che stiamo vivendo: un graduale
depotenziamento dei Parlamenti, e una tendenza dell’unità europea a
spoliticizzarsi e morire. L’entropia dell’Unione europea non comincia oggi ma
già negli anni ‘70, quando la Commissione Trilaterale incaricò tre politologi
di redigere il vademecum della democrazia de-costituzionalizzata, al fine di
renderla “governabile”. (…). E se parlo di formidabile regressione, è perché
quel che fa ritorno è l’antica offensiva ottocentesca contro il suffragio
universale: quella che imperversò quando in Inghilterra furono introdotte le
prime estensioni del diritto di voto. Il suffragio era il nemico da abbattere,
perché metteva in forse i vecchi poteri costituiti. La stessa polemica colpì,
grosso modo negli stessi anni, i primi timidi tentativi di introdurre leggi di
Welfare contro le devastazioni sociali della rivoluzione industriale.Ambedue,
suffragio e Welfare, rappresentavano una minaccia per le élite fino ad allora protette,
e quindi per le autorità dei governi. (…).
Da “Così si
salva la democrazia”, appello di Barbara Spinelli - europarlamentare
indipendente del “Gruppo confederale della Sinistra unitaria europea/Sinistra verde
nordica” – e di Étienne Balibar filosofo francese, sul quotidiano la
Repubblica del 29 di giugno 2015: Caro direttore, chiediamo ai tre creditori
della Grecia (Commissione, Banca centrale europea, Fondo Monetario
internazionale) se sanno quello che fanno, quando applicano alla Grecia
un’ennesima terapia dell’austerità e giudicano irricevibile ogni controproposta
proveniente da Atene. Se sanno che la Grecia già dal 2009 è sottoposta a un
accanimento terapeutico che ha ridotto i suoi salari del 37%, le pensioni in
molti casi del 48%, il numero degli impiegati statali del 30%, la spesa per i
consumi del 33%, il reddito complessivo del 27%, mentre la disoccupazione è
salita al 27% e il debito pubblico al 180% del Pil. Al di là di queste cifre,
chiediamo loro se conoscono l’Europa che pretendono di difendere, quando invece
fanno di tutto per disgregarla definitivamente, deturparne la vocazione, e
seminare ripugnanza nei suoi popoli. Ricordiamo loro che l’unità europea non è
nata per favorire in prima linea la governabilità economica, e ancor meno per
diventare un incubo contabile e cader preda di economisti che hanno sbagliato
tutti i calcoli. È nata per opporre la democrazia costituzionale alle dittature
che nel passato avevano spezzato l’Europa, e per creare fra le sue società una
convivenza solidale che non avrebbe più permesso alla povertà di dividere il
continente e precipitarlo nella disperazione sociale e nelle guerre. La
cosiddetta governance economica non può esser vista come sola priorità, a meno
di non frantumare il disegno politico europeo alle radici. Non può calpestare
la volontà democratica espressa dai cittadini sovrani in regolari elezioni,
umiliando un paese membro in difficoltà e giocando con il suo futuro. La
resistenza del governo Tsipras alle nuove misure di austerità — unitamente alla
proposta di indire su di esse un referendum nazionale — è la risposta al colpo
di Stato postmoderno che le istituzioni europee e il Fondo Monetario stanno
sperimentando oggi nei confronti della Grecia, domani verso altri Paesi membri.
Chiediamo al Fondo Monetario di smettere l’atteggiamento di malevola
indifferenza democratica che caratterizza le sue ultime mosse, e di non gettare
nel dimenticatoio il senso di responsabilità mostrato nel dopoguerra con gli
accordi di Bretton Woods. Ma è soprattutto alle due istituzioni europee che
fanno parte della trojka — Commissione e Banca centrale europea — che vorremmo
ricordare il loro compito, che non coincide con le mansioni del Fmi ed è quello
di rappresentare non gli Stati più forti e nemmeno una maggioranza di Stati, ma
l’Unione nella sua interezza. Chiediamo infine che il negoziato sia tolto una
volta per tutte dalle mani dei tecnocrati che l’hanno fin qui condotto, per
essere restituito ai politici eletti e ai capi di Stato o di governo. Costoro
hanno voluto il trasferimento di poteri a una ristretta cerchia di apprendisti contabili
che nulla sanno della storia europea e degli abissi che essa ha conosciuto. È
ora che si riprendano quei poteri, e che ne rispondano personalmente.
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