L’otto di ottobre dell’anno
2011 compariva, sulle ultime pagine di questo blog allocato al tempo su di un’altra
piattaforma della immensa rete e fortunosamente sopravvissuto, per la serie “Mediaculturapotere”
il post numero 55 che portava per titolo “Vivere da puffi”. Un
presentimento allora, non sospettandosi minimamente il “cambiamento di verso” che
avrebbe portato il cosiddetto bel paese a “puffare” a più non posso, a tutti i
livelli della scala sociale. E sì che al tempo nel bel paese si era alle prese
con ben altri argomenti, ovvero si parlava con grandissima erudizione di “cene
eleganti” e di “bunga-bunga” e di quant’altro ancora
possa afferire al priapismo della “casta politica” al tempo dominante, ma da
quegli indecorosi scenari di puro esibizionismo virile scivolare poi
all’infantilismo proprio dei “puffi” ne passa ed avanza. No che
quegli scenari fossero preferibili a quelli oggigiorno imperanti, ma una
caritatevole speranza, alla conclusione di quell’infausto infernale periodo
politico, spingeva a pensare ad una resipiscenza della politica e della gente
tutta del bel paese affinché, allo stesso fossero, fossero evitate altre
disavventure di carattere politico-istituzionale. Ed invece niente, dal
priapismo di allora all’invadente, inconcludente, scanzonato “puffare”
di questa canicolare stagione. Rileggiamo le “cosucce” di quel tempo,
nell’era avanti a quella dei “puffi”:
(…). Adesso parliamo per i
grandi. Perché le storie dei puffi hanno un grande rilievo filosofico, o almeno
semiotico. (…). Dunque i puffi vivono nella foresta, sono blu, piccolissimi, di
età indefinita, salvo il Gran Puffo, che è vecchio e ha la barba bianca (i
puffi vivono in una società gerontocratica perfetta dove tutti sono più o meno
infanti e c’è solo un anziano, depositario autoritario ma paterno di tutta la
saggezza, compreso il laboratorio alchemico dove distilla filtri ineffabili e
segreti). Hanno un nemico, un mago di formato umano (i puffi sono alti come un
fungo ben messo), uno stregone cattivo che nella traduzione italiana si chiama
Gargamella e che cerca sempre di catturarli e scoprirne i segreti. Tutti i
puffi si chiamano Puffo e si assomigliano come gocce d’acqua. Ciascuno è peraltro
diverso, c’è il puffo scontento, il puffo secchione con gli occhiali, il puffo
goloso, il puffo ambizioso eccetera. Ma poiché, come si è detto, ogni puffo si
chiama Puffo, li si distingue solo dalle azioni che compiono e dalle cose che
dicono. Una volta decidono di fare le elezioni (per prendere il potere in
assenza del Gran Puffo) e ciascuno vota naturalmente per Puffo, così viene
eletto Puffo, ma come capita è difficile definire chi sia (anche se un puffo
prende poi il potere sugli altri puffi, combinando un sacco di guai e
instaurando il culto della personalità). Essi vivono nel paese dei Puffi, nel
villaggio Puffo, sotto alla catena dei monti Puffi, vicino al ponte sul fiume
Puffo e al lago Puffo. Cosa fanno i Puffi? La domanda mi pare idiota.
Naturalmente puffano tutto il santo puffo. Puffano puffi, si puffano a vicenda,
si scambiano puffi, e uno puffa l’altro. Quando uno puffa gli altri lo puffano,
e il puffo che ne segue è di solito molto puffo. Qui ho confuso forse le idee
al lettore, perché gli ho dato provocatoriamente una idea del linguaggio puffo,
ma non gli ho permesso di capire cosa dicessi. In questo senso non ho parlato
in puffo nel modo corretto: perché la qualità del puffo è che lo si capisce
benissimo. Anche se – e qui veniamo al punto – in questo linguaggio, ogni volta
che è possibile, nomi propri e comuni, verbi e avverbi vengono sostituiti da
coniugazioni e declinazioni della parola «puffo». (…). …nell’originale
francese, i Puffi si chiamano Schtroumpf e schtroumpfano. Si potrebbe dire che
ciò cambia molto le cose sul piano fonetico, ed è vero. (…). Nella storia il
puffissimo, un puffo decide di conquistare il potere e inizia una campagna
elettorale. …la prima parte del suo discorso suona così: «Domani voi andrete
alle urne per puffare il vostro puffo. A chi pufferete i vostri voti? A un puffo
qualunque che non vede al di là del proprio naso? No! Vi occorre un puffo forte
su cui voi possiate puffare senza puffa! E io son quel puffo! Forse qualcuno
che stasera non è presente oserà puffare che io vado puffando onori! Ma questo
è indegno di un puffo». (…). Ma continuiamo, nella vignetta seguente lo
schtroumpf candidato dice: «Io voglio il puffo di tutti e mi pufferò sino alla
morte perché la puffa regni tra voi. E quello che io puffo lo pufferò! Puffi,
ecco il mio programma. E sono quindi convinto che voterete per me! Viva i
puffi! Viva io!». (…). …il linguaggio puffo sembra mancare di tutti i requisiti
necessari a una lingua funzionante. (…). Secondo i princìpi della linguistica
tradizionale (o linguistica della frase) la lingua puffa non dovrebbe
permettere la comunicazione tra i membri del gruppo. Follia: i puffi si
capiscono benissimo e noi capiamo loro. (…). La lingua puffa sarebbe incomprensibile
se fosse tutta scritta o tutta parlata, senza riferimento alle immagini. Limite
del fumetto? Macché! Una lingua umana è parlata a fumetti. Infatti noi la
parliamo nelle circostanze concrete di emissione o di enunciazione. In verità
la nostra lingua umana puffa sempre. Noi diciamo «questo» e «quello» e
sarebbero espressioni incomprensibili se, nel contesto parlato, o nella
circostanza esterna (rinvio alla percezione, a quanto si vede, si tocca o si è
visto e toccato prima – o annusato) noi non vedessimo a fumetti quello di cui
si parla. (…). Com’è l’universo psicologico dei puffi, ovvero il loro universo
percettivo? Essi dicono «portami un puffo» e, a seconda della circostanza,
sanno se il parlante intende un uovo, un fungo, un badile. Dunque hanno una
sola espressione («puffo») ma un sistema abbastanza ricco di contenuti, almeno
tanto vasto e articolato quanto le esperienze consentite dal loro Umwelt
(quello che i segretari di sezione chiamano «territorio»). Potremmo addirittura
supporre che in certi contesti essi dicano «portami un puffo» per chiedere un
uovo, ma in altri contesti dicano l’«uovo di Puffa» per dire l’uovo di Pasqua.
Quindi non è che non posseggano tutto il lessico della lingua-base,
semplicemente decidono quando non usarlo, per ragioni di economia. Tuttavia
l’usare una sola parola per tante cose non li indurrà a vedere le cose, tutte,
unite da una strana parentela? Se è puffo un uovo, un badile, un fungo, non
vivranno in un mondo dove i legami tra badile, uovo e fungo sono molto più
sfumati che non nel mondo nostro e di Gargamella? E se fosse così, questo
conferirebbe ai puffi un contatto più profondo e ricco con la totalità delle
cose, o li renderebbe inabili ad analizzare in modo «corretto» la realtà,
recintandoli nell’universo impreciso del loro villaggio senza storia? E in
questo caso, la loro apparente felicità di eterni bambini non sarebbe pura
mistificazione (…)? Forse che i puffi sono infelici? Sono tutte questioni che
non mi sento di risolvere qui. Né chiedetemi di spiegare meglio i concetti
tecnici con cui ho cercato di analizzare la lingua (o il linguaggio) dei puffi.
Se foste dei buoni puffi non avreste bisogno di altre precisazioni, e
puffereste per conto vostro. Ma era solo per dire che la saga dei puffi è
abbastanza rivelativa, andrebbe insegnata e discussa a scuola (anche
all’Università), ed è degna di ampie meditazioni. Non è solo un gioco, e se lo
è, è un gioco linguistico: una cosa molto, ma molto schtroumpf. L’avete riconosciuto? È il celeberrimo
saggio “Schtroumpf und Drang” che Umberto Eco pubblicò sul numero 5 della
rivista «alfabeta» nell’oramai lontanissimo settembre dell’anno 1979. Un’era
glaciale addietro. C’erano, forse, ancora i dinosauri. Quelli della politica,
almeno. Scomparsi? Non mi pare. Vi sentireste di definirlo, quel saggio, un
semplice “divertissement” dell’illustre semiologo? Leggetelo e rileggetelo. Non
ci trovate alcuna attinenza con la semplificazione della lingua perpetrata in
tutti questi decenni di imperante dominio “televisivo”? Una semplificazione
della lingua che è andata di pari passo con la semplificazione del “pensiero”
collettivo. Sino al terrificante “ghe pensi mi” dei tempi nostri correnti. E
laddove il “puffo” candidato professa: «Io voglio il puffo di tutti e mi
pufferò sino alla morte perché la puffa regni tra voi. E quello che io puffo lo
pufferò! Puffi, ecco il mio programma. E sono quindi convinto che voterete per
me! Viva i puffi! Viva io!». Non vi sarà di certo sfuggito che è stato il
tentativo – naufragato? – di semplificare la vita politica da parte del grande “puffo”
d’Italia. Poiché anche il “puffo” dei “puffi” – per farne una distinzione - ha
un’alta considerazione di sé stesso. È l’unto di turno, è il “puffo” della
“provvidenza” in terra: «Domani voi andrete alle urne per puffare il vostro
puffo. A chi pufferete i vostri voti? A un puffo qualunque che non vede al di
là del proprio naso? No! Vi occorre un puffo forte su cui voi possiate puffare
senza puffa! E io son quel puffo! Forse qualcuno che stasera non è presente
oserà puffare che io vado puffando onori! Ma questo è indegno di un puffo».
Semplificare la lingua ed il pensiero collettivo. Esisteranno sempre “puffi”
più “puffi” degli altri. Come difendercene? È questo l’azzardo. Per non parlare
della fattoria orwelliana con il “vecchio Maggiore” - Old Major -, che è il
“suino” più “suino” degli altri. Oggi viviamo finalmente felici nel paese
dei “puffi”
e c’è un “puffo” più “puffo” degli altri, che gli altri
gli stanno stanno a ruota, per “puffare” come meglio non si
potrebbe fare. “Puffo” io che “puffi” anche tu. Credo proprio di
non averci capito un granché di tutto questo “puffare”! In fin dei
conti, a chi interessa di capire? Per ora “puffiamo” tutti allegramente. È il
grande “puffo” che ce lo chiede.
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