“Guai a noi se in futuro non riusciremo a
non odiare l’intero popolo tedesco”. L’Europa ha un problema che non è
rappresentato dalla disastrosa condizione socio-economica della Grecia. Il
problema dell’Europa è la Germania. Nasce da esso – il problema intendo dire – una
“questione
tedesca”. Che non è roba da poco. La Storia insegna. Quella “questione”
ha dilaniato l’Europa per secoli e secoli, dalle contrapposizioni continue e
ripetute franco-prussiane giù giù per la china sino alle terribili due guerre
denominate “mondiali”. Per non dire delle persecuzioni razziali e della “soluzione
finale” pensata e realizzata con scientificità e puntiglio tutto
morbosamente tedesco. Tutto e sempre sul suolo dell’Europa. Non Vi scandalizzi
la frase posta all’inizio di questo scritto. Quella frase riportata – alla
pagina 195 - nello stupendo volume di Antonio Scurati che ha per titolo “Il tempo migliore della nostra vita” –
Bompiani editore (2015), pagg. 267, € 18.00 - è attribuita al futuro Presidente
della Repubblica Italiana Sandro Pertini. La frase sembra sia stata pronunciata
all’indomati della prematura morte – per uccisione – di Leone Ginzburg – il 4
di febbraio dell’anno 1944 – per mano degli aguzzini tedeschi. Il sogno di
un’Europa unita è nato proprio dall’esigenza di imbrigliare quel “mostro”
tentacolare che per secoli ha reso le contrade della vecchia Europa teatro di
massacri ed atrocità inaudite. Ecco, quel sogno sembra sia morto prima di
essere giunto a compimento. Poiché di questa Europa mercantilistica ed egoista
non ne abbiamo assoluto bisogno. Di questa Europa forgiata sullo “stampo” e con
l’impronta riconoscibilissima della “questione tedesca” c’è solamente da
diffidare e da temere. Non è questa l’Europa che è stata sognata all’indomani
delle due immani tragedie che hanno contraddistinto il secolo ventesimo. Ha
scritto Paul Krugman il 14 di luglio sul quotidiano la Repubblica - "Il progetto europeo è morto"
-:
Supponiamo che consideriate Tsipras uno stupido
incompetente. Supponiamo che vi piaccia con tutto il cuore vedere Syriza
lasciare il governo. Supponiamo che accogliate la prospettiva di cacciare
questi indisponenti greci fuori dall'euro. Anche se tutto ciò fosse vero,
l'elenco di richieste dell'Eurogruppo resterebbe una follia. (…). Qui si va
oltre l'inflessibilità, si va nella pura ripicca, nell'annientamento assoluto
della sovranità nazionale, senza nessuna speranza di sollievo. Plausibilmente,
si tratta di un'offerta formulata in modo tale che la Grecia non possa
accettarla; ma, anche così, si tratta di un grottesco tradimento di tutto ciò
che si supponeva dovesse affermare e sostenere il progetto europeo. C'è nulla
che possa far arretrare l'Europa rispetto all'orlo del baratro? Si dice che
Mario Draghi stia cercando di ricondurre un po' alla ragione, che Hollande stia
finalmente dando prova di un po' di quell'opposizione al gioco delle Moralità
che l'economia tedesca ama fare e che in passato egli ha vistosamente mancato
di impedire. Ma molto danno è già stato arrecato. Dopo tutto ciò, chi mai si
fiderà più delle buone intenzioni della Germania? Da un certo punto di vista, l'economia
è diventata qualcosa di secondario. Cerchiamo di essere chiari una volta per
tutte, però: nelle ultime due settimane abbiamo imparato che far parte della
zona euro significa che se sgarri i creditori possono annientare la tua
economia. Tutto ciò non ha attinenza alcuna con l'implicita economia
dell'austerità. Più che mai adesso è vero che imporre una rigida austerità
senza un alleggerimento del debito significa scegliere una politica
predestinata al peggio, a prescindere da quanto il paese sia disposto ad
accettare tormenti. E ciò, a sua volta, significa che perfino una capitolazione
assoluta della Grecia sarebbe un punto morto. La Grecia riuscirà a organizzare
con successo un'uscita dall'euro? La Germania cercherà di ostacolare una
ripresa? (Mi dispiace, ma questo è il tenore delle domande che dobbiamo porci
adesso). Al progetto europeo - un progetto che ho sempre esaltato e
sostenuto - è stato appena inferto un colpo terribile,
forse mortale. E, a prescindere da quello che pensate di Syriza o della Grecia,
a infliggerlo non sono stati i greci. Come non fare proprie le
riflessioni pensate e scritte dall’illustre opinionista? Una straordinaria –
come sempre – analisi dello “stallo” in cui la “questione tedesca” ha
portato l’intero continente europeo è stata compiuta da Nadia Urbinati - “Chi ha tradito i fondatori dell’Europa”
- sul quotidiano la Repubblica dell’8 di luglio 2015: (…). La visione di un’Unione
europea è nata tra le due guerre per sconfiggere i nazionalismi e i
nazionalisti. Le direttrici originarie di questa utopia pragmatica furono in
sostanza due: quella che faceva perno sulla volontà politica costituente e
quella che faceva perno sulla formazione dell’abitudine alla cooperazione
mediante regole e accordi economici. La prima era impersonata da Altiero
Spinelli e faceva diretto ed esplicito appello alla volontà degli Stati di
darsi un ordine politico federale, un progetto da prepararsi con il lavoro
politico e delle idee (come fece il movimento federalista europeo). La seconda
era rappresentata da Jean Monnet. Quest’ultima divenne il paradigma ispiratore
dell’Unione europea, il cui primo nucleo fu nel 1950 la creazione di un’alta
autorità sulla produzione franco-tedesca dell’acciaio e del carbone. Quel
trattato sarebbe stato il primo di una serie numerosa di trattati sottoscritti
dai governi in tutti i settori di interesse comune. La federazione europea
sarebbe cresciuta quindi per accumulazione, senza un fiat fondatore, ma come
politica di auto-imbrigliamento degli Stati che avrebbe col tempo
costituzionalizzato le pratiche sovrannazionali. Le radici di questa via
non-politica all’integrazione europea stanno nel Settecento, nella filosofia
della mano invisibile e della funzione civilizzatrice del commercio. L’assunto
kantiano era che gli individui tendono a muoversi, a interagire e a comunicare
per ragioni loro proprie con la conseguenza di mettere in moto un processo
indiretto di relazioni pubbliche e di diritti che col tempo avrebbero
consolidato la convivenza pacifica per generale convenienza. In prospettiva,
l’integrazione avrebbe potuto mettere capo a una più perfetta unione, senza che
nessuno l’avesse esplicitamente voluta. Questa fu la filosofia che ha sostenuto
il progetto europeo mediante decisioni di secondo ordine, indotte dalla
convenienza a cooperare. Questo paradigma è stato una strategia di successo
nella fase espansiva della ricostruzione post- bellica, proprio per la sua
capacità di contenere le potenzialità conflittualistiche della politica e dare
spazio alla pratica degli accordi e dei trattati. Ma in questo tempo di crisi
economica, tale metodo ha perso mordente. La sfida di fronte alla quale si
trova oggi l’Europa richiederebbe una determinazione politica nello spirito di
Spinelli. Come ha sostenuto il costituzionalista Dieter Grimm, la rete di
diritti e costruzioni giuridiche ha bisogno di ancorarsi a una «espressione di
autodeterminazione del popolo sovrano europeo» per riuscire a far valere
appieno la sua autorità su tutti e in tutti gli Stati. Affidarsi alle pratiche
generate dall’uso di regole condivise, all’abitudine di vivere da europei come
se le cose vadano avanti per forza propria: tutto questo regge e funziona fino
a quando le cose procedono facilmente e non è necessario scomodare un
supplemento di volontà per prendere decisioni ostiche, benché necessarie. Il
paradigma dell’eterogenesi dei fini su cui si è modellata l’Unione europea è
figlio dell’utopia settecentesca del doux commerce, della forza civilizzatrice
del commercio a condizione che sia la mano invisibile del mercato a muovere le
decisioni, non la volontà politica. Il problema è che, mentre questa strategia
ha avuto il merito di stabilizzare relazioni pacifiche essa non è in grado ora
di guidare l’Unione europea verso una integrazione politica democratica, della
quale invece vi sarebbe bisogno. La routine riproduce pratiche ma non sa creare
scenari nuovi. Ecco perché oggi la lotta che si combatte in Europa è tra il
partito della mano invisibile e il partito della volontà politica federale. Non
si giungerà mai ad una più perfetta unione se il demos europeo non sarà
interpellato, se la volontà politica non acquisterà la sua autorità fondatrice,
condizione senza la quale altri, dopo la Grecia, potrebbero pensare di usare lo
strumento dell’appello al popolo nazionale per reagire contro decisioni che non
sono prese nel nome di un popolo europeo. Il “no” referendario alle condizioni
sul debito imposte alla Grecia ha messo in luce che solo all’interno di
un’Unione politica compiuta il caso greco potrebbe non essere solo e soltanto
una questione di rapporto privato fra debitori e creditori. Solo in un’Unione
politica la questione greca potrebbe essere a tutti gli effetti una questione
europea, e la sua soluzione una straordinaria opportunità di crescita
continentale. Per comprendere questo, la logica della mano invisibile non
serve, e anzi è di ostacolo perché mentre rifiuta di dare la scena alla
politica rafforza la pratica delle trattative intergovernamentali e quindi
rafforza sempre di più gli interessi nazionali. Crea le condizioni per il
declino dell’Unione europea. In Come ho tentato di diventare saggio,
raccontando come prese corpo l’idea federalista ed europeista, Altiero Spinelli
così dipinse l’Europa degli anni ’30: «Tutti questi Stati d’Europa obbedivano
sopra ogni altra cosa alla legge della conservazione e dell’affermazione della
propria sovranità. Fossero essi democratici o totalitari, erano sempre più
nazionalisti... La federazione europea non ci si presentava come una ideologia,
non si proponeva di colorare in questo o in quel modo un potere esistente...
Era la negazione del nazionalismo che tornava a imperversare».. Ha
scritto Mariana Mazzuccato sul quotidiano la Repubblica del 13 di luglio – “Solo lo spirito del dopoguerra potrà
salvarci dalla crisi eterna” -: (…). Oggi il salvataggio di cui avrebbe
bisogno la Grecia ammonta a circa 370 miliardi di euro, ma non è nulla in
confronto ai salvataggi internazionali messi in piedi per banche come la
Citigroup (2.513 miliardi di dollari), la Morgan Stanley (2.041 miliardi), la
Barclays (868 miliardi), la Goldman Sachs (814 miliardi), la JP Morgan (391
miliardi), la Bnp Paribas (175 miliardi) e la Dresdner Bank (135 miliardi).(…).
Ma nell’Europa “distorta” dal capitalismo finanziario globalizzato la
sorte di milioni di esseri umani – per ora i greci, domani chissà - è un
problema di scarso peso e valore nell’ottica efficientistica e monetaristica
che a quel progetto si è voluto dare con la compartecipazione colpevole di
quelle forze politiche che avrebbero dovuto combatterne la realizzazione. E la “questione
tedesca” è e ritorna ad essere una delle risultanti della
“malapolitica” europea.
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