Non mancherà di certo il “trinariciuto” di
malapartiana memoria che, come rispondendo ad un irrefrenabile riflesso
condizionato, intronerà la solita litania contro il vetero-comunista che nell’occasione
è impersonato da quel Michele Serra che sul quotidiano la Repubblica tiene una
amena, graffiante rubrica che ha per titolo “L’amaca”. E proprio su “L’amaca”
di oggi quella straordinaria penna ha scritto: «Lo vedi che il comunismo serve
ancora a qualcosa? », mi dice sghignazzando un vecchio amico di destra
commentando l’intervento del governo cinese, che ha provato ad arginare (pare
con successo) il crollo della Borsa vietando ai grandi azionisti e alle società
quotate di vendere i propri titoli per sei mesi. Ci capisco molto poco, direi
quasi niente; ma mi pare di capire che il libero mercato sia stato, in questo
caso, messo nelle condizioni di essere un poco meno libero, come il cagnaccio
cui si impone la museruola perché non faccia troppi danni. Al netto
dell’ilarità del mio amico, devo ammettere che ogni qual volta la politica
prova a rimettere in riga l’economia, e in specie l’economia finanziaria, mi
sento rassicurato. Cina o non Cina, guardo con sospetto al principio
(globalizzatissimo) che l’economia sia ingovernabile, una specie di forza della
natura alla quale inchinarci tutti come il selvaggio di fronte al fulmine o al
ciclone. Sospetto, anzi, che dietro questa nomea di indomabile “naturalità”
dell’economia si nasconda spesso l’interesse del più forte e del più furbo. Immagino
che le maniere forti del governo cinese facciano, ai liberisti puri, l’effetto
di una goffa intrusione, destinata comunque a essere travolta dal tempo e dalla
permeabilità di tutte le economie, nessuna delle quali è un compartimento
stagno: non si mettono le briglie ai mercati. Ma almeno incutergli un poco di
soggezione, ai mercati, e ogni tanto dirgli «a cuccia!», è un’idea così
sbagliata?
E “che l’economia sia ingovernabile” o
che lo diventi, stante la latitanza di quelle forze politiche che avrebbero
dovuto indirizzarne l’operato verso finalità socialmente utili, lo dimostra la
lettura che di seguito propongo al termine della quale mi sono chiesto come sia
possibile difendere questo mondo della finanza che impoverisce la stragrande
maggioranza degli esseri umani al pari di una guerra o di una improvvisa
pestilenza. E che la “finanza globalizzata” rappresenti
la “peste”
di questo millennio è sotto gli occhi di… Stavo - per l’appunto - per scrivere “tutti”
ma mi sono fermato per tempo: è che la “peste” del terzo millennio ha ben
narcotizzato le menti e le coscienze – e parlo soprattutto delle menti e delle
coscienze del mondo ricco, progredito e cristianizzato – ché dal resto degli
umani, rinchiusi nelle millenarie loro arretratezze, non molto c’è da aspettarsi
sul piano delle rivendicazioni e delle riscosse, mossi e manovrati come sono da
irrazionali passioni che riescono, come risultato ultimo, a compattare quella
parte di umanità che in nome del progresso per secoli li ha defraudati di ogni
bene e ricchezza. La lettura che in parte propongo è tratta dall’ultimo numero
del settimanale “Affari&Finanza” e rappresenta al meglio quali possano
essere le “storture” e le “brutture” che la “peste”
del millennio sta infliggendo alla umana società nel suo complesso. Conoscete
il signor Elio Leoni Sceti? Non ne avevo sentito mai parlare sino a quando non
ho letto la corrispondenza - “Elio Leoni
Sceti l’uomo che prese 1,8 milioni per non diventare Ceo” - di Alberto
Flores d’Arcais su quel settimanale. Racconta l’illustre opinionista: (…).
Data di inizio lavoro, fissata e pubblicizzata su tutti i grandi media
economici, nonché sul sito della stessa azienda, il primo luglio 2015. «Siamo
estremamente felici di dare il benvenuto ad Elio nella posizione Top a Coty. La
grande esperienza di Elio e le sue provate capacità nel costruire marchi
globali di successo, rappresentano un incredibile asset per la Coty, impegnata
a rafforzare la sua posizione nell’industria globale della bellezza. Ho
conosciuto Elio per motivi professionali da molti anni, abbiamo lavorato
insieme alla RB (Reckitt Benckiser, ndr) e credo fermamente che sia il miglior
leader per garantire lo sviluppo futuro della nostra azienda ». Una vera e
propria dichiarazione d’amore, firmata da Lambertus Johannes Hermanus (detto
“Bart”) Becht, l’olandese presidente della Coty, che dallo scorso settembre era
anche diventato Ceo “ad interim’ della società in attesa di trovare un valido
sostituto. (…). «Sono onorato ed eccitato all’idea di lavorare a Coty, in un
momento in cui questa azienda vive un importante momento di crescita», aveva
dichiarato (sempre ad aprile) Elio Leoni Sceti da Londra doveva da qualche anno
ha fissato la sua base operativa. «Coty - scriveva ancora in un comunicato
dell’azienda - mette insieme il mio amore per costruire marchi globali alla
passione per l’innovazione e i grandi prodotti. Credo che questa sia una
grandissima opportunità per costruire qualcosa di importante sotto le insegne
di Coty, una delle principali piattaforme globali nel mondo dei marchi di
bellezza. Sono particolarmente felice di lavorare nuovamente con Bart che avrò
come presidente a Coty. Ho un grande rispetto per la sua capacità di guida e la
sua visione, non vedo l’ora di potere lavorare con lui per portare Coty a
livelli ancora più alti di quelli attuali». Cosa sia successo negli ultimi due
mesi nessuno (tranne i protagonisti) lo sa con certezza. Sta di fatto che il 23
giugno scorso, a una settimana dall’insediamento di Leoni Sceti nell’ufficio al
17esimo piano dell’Empire State Building di Manhattan, l’azienda di Becht ha
reso pubblico un altro, scarno e improvviso comunicato: «Elio Leoni Sceti che
avrebbe dovuto assumere il ruolo di amministratore delegato il primo luglio ci
ha ripensato e ha deciso di non venire alla Coty ». Con l’imprevisto annuncio
veniva anche precisato che il presidente Bart Becht avrebbe continuato a
mantenere la carica di Ceo ad interim (“fino a quando non verrà individuato il
manager più adatto”). Ma soprattutto – (…) - ha spiegato che il manager romano
avrebbe comunque avuto i quasi due milioni di dollari (1,8) pattuiti come
“severance package” (qualcosa di simile alla nostra buonuscita e che dovrebbero
rappresentare una cifra pari al salario annuale pattuito) e per il buy back
delle azioni privilegiate da lui ottenute al momento della firma del contratto
nell’aprile scorso. Quella del severance package è una pratica piuttosto
diffusa quando una società vuole assicurarsi (prima di eventuali concorrenti) i
servigi di un manager altamente qualificato. (…). Una possibile spiegazione ha
provato a darla Mark Astrachan, analista di Wall Street alla Stifel Nicolaus ed
esperto del settore Consumer Goods. Secondo lui è stato il board della Coty e
non Leoni Sceti a ripensarci (cosa che avallerebbe la teoria che al manager
romano all’ultimo momento sia stato proposto un incarico differente da quello
originariamente pattuito) perché non sarebbe questo il “momento migliore” per
cambiare la leadership dell’azienda. Di fronte ad una diversa offerta Elio
Leoni Sceti avrebbe opposto un rifiuto. E ricordando come dallo scorso agosto
Coty abbia pianificato un programma di tagli da 200 milioni di dollari nelle
spese annuali ed abbia nello stesso tempo varato nuove partnership (con Chanel
e Avon) Astrachan scrive ancora: “Crediamo che quanto accaduto sia da mettere
in relazione con le nuove sfide. Con Bart Becht che resta alla guida, la Coty
spera di migliorare i risultati come quando lui stava alla RB”. Una frase che
non spiega però perché queste sfide non potessero essere affidate a Leoni
Scesi. Tutto chiaro? Un
essere umano porta via il suo
gruzzoletto di dollari – 1.800.000 –
solamente a garanzia di quelle mancate prestazioni che avrebbe dovuto offrire e
che un accidente qualsiasi gli ha impedito di espletare. Che si sia in presenza
dell’assurdo e dello stomachevole è facile dirlo. Come sia potuto accadere
tutto ciò dovrebbe essere motivo di riflessione a tutto campo, poiché in un
sistema economico-finanziario che non costruisce più condizioni di eguaglianza
ai nastri di partenza, che ha bloccato di fatto l’ascesa sociale di milioni di
esseri umani, che lascia fasce di giovani senza lavoro e prospettive per il
futuro, la concessione di quei “benefit” senza aver lavorato grida a
quello scandalo che la politica nel suo insieme non ha voluto vedere per non
dover frenare. E della confusione sotto il cielo della politica “de-ideologizzata”
e “melmosa”, una melassa indistinta insomma, ne ha scritto argutamente, come
sempre, Michele Serra nella stessa Sua rubrica del quotidiano la Repubblica di
ieri:
Un doppio hurrà per Oscar Giannino, che a “Ballarò”, di fronte a una Giorgia
Meloni che parlava della miserevole condizione del popolo greco con accenti
simili a quelli che avrebbe potuto avere Rosa Luxemburg, è insorto ricordandole
che, vivaddio, la destra avrebbe il dovere, almeno ogni tanto, di ricordarsi di
essere di destra. E dunque un poco più rispettosa delle banche (che Meloni
definisce “usurai” e Giannino sa essere anche sede del risparmio di milioni di
famiglie), delle regole del capitalismo, della non remissibilità a oltranza dei
debiti pubblici e privati, eccetera. Va bene che Meloni appartiene a quello
schieramento che nei suoi recessi meno nobili coltiva il mito del complotto
plutogiudomassonico; ma è pur sempre tra i leader più visibili (e più visti)
del sedicente centrodestra, la mitica casa di tutti i moderati che dovrebbe
avere il compito, tra gli altri, di salvare l’Italia e l’Europa dalle sinistre
demagogiche e assistenzialiste. È la stessa confusione che, all’altro capo
della politica, vede socialdemocratici tedeschi mutarsi in esattori spietati
dei greci insolventi, e giovani renziani vestiti da broker ribadire punto per
punto le buone regole del libero mercato. Un gran casino, con rispetto
parlando, che potrebbe forse leggermente chiarirsi, e svelenirsi, se ognuno
provasse a fare la propria parte. La sinistra a chiedere soldi per il popolo,
la destra a rispondere che il popolo deve meritarseli, i soldi. Poi ognuno
decide da che parte stare. Sarebbe giusto e necessario andare a scovare
per mari e monti gli “untori” di questa terribile “peste”
che ammorba l’aria del nuovo millennio a tutti gli esseri umani.
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