"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

venerdì 10 luglio 2015

Cosecosì. 100 “La peste”.



Non mancherà di certo il “trinariciuto” di malapartiana memoria che, come rispondendo ad un irrefrenabile riflesso condizionato, intronerà la solita litania contro il vetero-comunista che nell’occasione è impersonato da quel Michele Serra che sul quotidiano la Repubblica tiene una amena, graffiante rubrica che ha per titolo “L’amaca”. E proprio su “L’amaca” di oggi quella straordinaria penna ha scritto: «Lo vedi che il comunismo serve ancora a qualcosa? », mi dice sghignazzando un vecchio amico di destra commentando l’intervento del governo cinese, che ha provato ad arginare (pare con successo) il crollo della Borsa vietando ai grandi azionisti e alle società quotate di vendere i propri titoli per sei mesi. Ci capisco molto poco, direi quasi niente; ma mi pare di capire che il libero mercato sia stato, in questo caso, messo nelle condizioni di essere un poco meno libero, come il cagnaccio cui si impone la museruola perché non faccia troppi danni. Al netto dell’ilarità del mio amico, devo ammettere che ogni qual volta la politica prova a rimettere in riga l’economia, e in specie l’economia finanziaria, mi sento rassicurato. Cina o non Cina, guardo con sospetto al principio (globalizzatissimo) che l’economia sia ingovernabile, una specie di forza della natura alla quale inchinarci tutti come il selvaggio di fronte al fulmine o al ciclone. Sospetto, anzi, che dietro questa nomea di indomabile “naturalità” dell’economia si nasconda spesso l’interesse del più forte e del più furbo. Immagino che le maniere forti del governo cinese facciano, ai liberisti puri, l’effetto di una goffa intrusione, destinata comunque a essere travolta dal tempo e dalla permeabilità di tutte le economie, nessuna delle quali è un compartimento stagno: non si mettono le briglie ai mercati. Ma almeno incutergli un poco di soggezione, ai mercati, e ogni tanto dirgli «a cuccia!», è un’idea così sbagliata?
E “che l’economia sia ingovernabile” o che lo diventi, stante la latitanza di quelle forze politiche che avrebbero dovuto indirizzarne l’operato verso finalità socialmente utili, lo dimostra la lettura che di seguito propongo al termine della quale mi sono chiesto come sia possibile difendere questo mondo della finanza che impoverisce la stragrande maggioranza degli esseri umani al pari di una guerra o di una improvvisa pestilenza. E che la “finanza globalizzata” rappresenti la “peste” di questo millennio è sotto gli occhi di… Stavo - per l’appunto - per scrivere “tutti” ma mi sono fermato per tempo: è che la “peste” del terzo millennio ha ben narcotizzato le menti e le coscienze – e parlo soprattutto delle menti e delle coscienze del mondo ricco, progredito e cristianizzato – ché dal resto degli umani, rinchiusi nelle millenarie loro arretratezze, non molto c’è da aspettarsi sul piano delle rivendicazioni e delle riscosse, mossi e manovrati come sono da irrazionali passioni che riescono, come risultato ultimo, a compattare quella parte di umanità che in nome del progresso per secoli li ha defraudati di ogni bene e ricchezza. La lettura che in parte propongo è tratta dall’ultimo numero del settimanale “Affari&Finanza” e rappresenta al meglio quali possano essere le “storture” e le “brutture” che la “peste” del millennio sta infliggendo alla umana società nel suo complesso. Conoscete il signor Elio Leoni Sceti? Non ne avevo sentito mai parlare sino a quando non ho letto la corrispondenza - “Elio Leoni Sceti l’uomo che prese 1,8 milioni per non diventare Ceo” - di Alberto Flores d’Arcais su quel settimanale. Racconta l’illustre opinionista: (…). Data di inizio lavoro, fissata e pubblicizzata su tutti i grandi media economici, nonché sul sito della stessa azienda, il primo luglio 2015. «Siamo estremamente felici di dare il benvenuto ad Elio nella posizione Top a Coty. La grande esperienza di Elio e le sue provate capacità nel costruire marchi globali di successo, rappresentano un incredibile asset per la Coty, impegnata a rafforzare la sua posizione nell’industria globale della bellezza. Ho conosciuto Elio per motivi professionali da molti anni, abbiamo lavorato insieme alla RB (Reckitt Benckiser, ndr) e credo fermamente che sia il miglior leader per garantire lo sviluppo futuro della nostra azienda ». Una vera e propria dichiarazione d’amore, firmata da Lambertus Johannes Hermanus (detto “Bart”) Becht, l’olandese presidente della Coty, che dallo scorso settembre era anche diventato Ceo “ad interim’ della società in attesa di trovare un valido sostituto. (…). «Sono onorato ed eccitato all’idea di lavorare a Coty, in un momento in cui questa azienda vive un importante momento di crescita», aveva dichiarato (sempre ad aprile) Elio Leoni Sceti da Londra doveva da qualche anno ha fissato la sua base operativa. «Coty - scriveva ancora in un comunicato dell’azienda - mette insieme il mio amore per costruire marchi globali alla passione per l’innovazione e i grandi prodotti. Credo che questa sia una grandissima opportunità per costruire qualcosa di importante sotto le insegne di Coty, una delle principali piattaforme globali nel mondo dei marchi di bellezza. Sono particolarmente felice di lavorare nuovamente con Bart che avrò come presidente a Coty. Ho un grande rispetto per la sua capacità di guida e la sua visione, non vedo l’ora di potere lavorare con lui per portare Coty a livelli ancora più alti di quelli attuali». Cosa sia successo negli ultimi due mesi nessuno (tranne i protagonisti) lo sa con certezza. Sta di fatto che il 23 giugno scorso, a una settimana dall’insediamento di Leoni Sceti nell’ufficio al 17esimo piano dell’Empire State Building di Manhattan, l’azienda di Becht ha reso pubblico un altro, scarno e improvviso comunicato: «Elio Leoni Sceti che avrebbe dovuto assumere il ruolo di amministratore delegato il primo luglio ci ha ripensato e ha deciso di non venire alla Coty ». Con l’imprevisto annuncio veniva anche precisato che il presidente Bart Becht avrebbe continuato a mantenere la carica di Ceo ad interim (“fino a quando non verrà individuato il manager più adatto”). Ma soprattutto – (…) - ha spiegato che il manager romano avrebbe comunque avuto i quasi due milioni di dollari (1,8) pattuiti come “severance package” (qualcosa di simile alla nostra buonuscita e che dovrebbero rappresentare una cifra pari al salario annuale pattuito) e per il buy back delle azioni privilegiate da lui ottenute al momento della firma del contratto nell’aprile scorso. Quella del severance package è una pratica piuttosto diffusa quando una società vuole assicurarsi (prima di eventuali concorrenti) i servigi di un manager altamente qualificato. (…). Una possibile spiegazione ha provato a darla Mark Astrachan, analista di Wall Street alla Stifel Nicolaus ed esperto del settore Consumer Goods. Secondo lui è stato il board della Coty e non Leoni Sceti a ripensarci (cosa che avallerebbe la teoria che al manager romano all’ultimo momento sia stato proposto un incarico differente da quello originariamente pattuito) perché non sarebbe questo il “momento migliore” per cambiare la leadership dell’azienda. Di fronte ad una diversa offerta Elio Leoni Sceti avrebbe opposto un rifiuto. E ricordando come dallo scorso agosto Coty abbia pianificato un programma di tagli da 200 milioni di dollari nelle spese annuali ed abbia nello stesso tempo varato nuove partnership (con Chanel e Avon) Astrachan scrive ancora: “Crediamo che quanto accaduto sia da mettere in relazione con le nuove sfide. Con Bart Becht che resta alla guida, la Coty spera di migliorare i risultati come quando lui stava alla RB”. Una frase che non spiega però perché queste sfide non potessero essere affidate a Leoni Scesi. Tutto chiaro? Un essere umano porta via il suo gruzzoletto di dollari – 1.800.000 – solamente a garanzia di quelle mancate prestazioni che avrebbe dovuto offrire e che un accidente qualsiasi gli ha impedito di espletare. Che si sia in presenza dell’assurdo e dello stomachevole è facile dirlo. Come sia potuto accadere tutto ciò dovrebbe essere motivo di riflessione a tutto campo, poiché in un sistema economico-finanziario che non costruisce più condizioni di eguaglianza ai nastri di partenza, che ha bloccato di fatto l’ascesa sociale di milioni di esseri umani, che lascia fasce di giovani senza lavoro e prospettive per il futuro, la concessione di quei “benefit” senza aver lavorato grida a quello scandalo che la politica nel suo insieme non ha voluto vedere per non dover frenare. E della confusione sotto il cielo della politica “de-ideologizzata” e “melmosa”, una melassa indistinta insomma, ne ha scritto argutamente, come sempre, Michele Serra nella stessa Sua rubrica del quotidiano la Repubblica di ieri: Un doppio hurrà per Oscar Giannino, che a “Ballarò”, di fronte a una Giorgia Meloni che parlava della miserevole condizione del popolo greco con accenti simili a quelli che avrebbe potuto avere Rosa Luxemburg, è insorto ricordandole che, vivaddio, la destra avrebbe il dovere, almeno ogni tanto, di ricordarsi di essere di destra. E dunque un poco più rispettosa delle banche (che Meloni definisce “usurai” e Giannino sa essere anche sede del risparmio di milioni di famiglie), delle regole del capitalismo, della non remissibilità a oltranza dei debiti pubblici e privati, eccetera. Va bene che Meloni appartiene a quello schieramento che nei suoi recessi meno nobili coltiva il mito del complotto plutogiudomassonico; ma è pur sempre tra i leader più visibili (e più visti) del sedicente centrodestra, la mitica casa di tutti i moderati che dovrebbe avere il compito, tra gli altri, di salvare l’Italia e l’Europa dalle sinistre demagogiche e assistenzialiste. È la stessa confusione che, all’altro capo della politica, vede socialdemocratici tedeschi mutarsi in esattori spietati dei greci insolventi, e giovani renziani vestiti da broker ribadire punto per punto le buone regole del libero mercato. Un gran casino, con rispetto parlando, che potrebbe forse leggermente chiarirsi, e svelenirsi, se ognuno provasse a fare la propria parte. La sinistra a chiedere soldi per il popolo, la destra a rispondere che il popolo deve meritarseli, i soldi. Poi ognuno decide da che parte stare. Sarebbe giusto e necessario andare a scovare per mari e monti gli “untori” di questa terribile “peste” che ammorba l’aria del nuovo millennio a tutti gli esseri umani.

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