“To megalo ochi”, ovvero “il
grande no” che fu pronunciato all’alba – ore
quattro del mattino – del 28 di ottobre dell’anno 1940 da tale Ioannis Metaxas,
primo ministro della piccola, inerme nazione greca, al tonitruante ambasciatore
italiano ad Atene Emanuele Grazzi che portava l’ultimatum, dell’allora “cavaliere
d’Italia” Benito Mussolini, per ottenere – entro la terza ora
dall’avvenuta notifica – la concessione del passaggio per le terre della
superba Grecia alle forze dell’”Asse d’acciaio”. Vien quasi da
scompisciarsi dal ridere ripensando alla ingloriosa fine di quella tragicomica
avventura militare dell’esercito dell’orgoglioso “duce”. Sembra che la
storiografia più accreditata abbia da tempo attribuito a Ioannis Metaxas ben
altra risposta: “Alors c’est la guerre!”. Al che la guerra fu e la piccola,
inerme Grecia spezzò “le reni” a quell’”armata
brancaleone” di sprovveduti calata dalle italiche terre per
assoggettare l’orgoglioso popolo ellenico. È Storia. E fu la straordinaria
lotta armata clandestina - poi - dell’orgoglioso popolo greco a mettere alle
corde l’esercito più potente del momento, quello del “terzo reich” calato in
soccorso dello scalcagnato esercito del “duce” dell’”Italia proletaria e fascista”.
È Storia. È per questo che c’è ancora da sperare. Nella Grecia, ovviamente. Ora
non sobbalzate proseguendo la Vostra oziante lettura: “Germania, Germania, al di sopra
di tutto al di sopra di tutto il mondo… purché per protezione e difesa si
riunisca fraternamente. (…)”. Non crediate sia il canto di nostalgici
in ritardo sulla Storia, per una rivincita su quell’ignominioso 28 di ottobre
dell’anno 1940. Nient’affatto. È l’incipit dell’inno “Deutschland under alles”
che è divenuto l’inno ufficiale della Germania moderna, anche se la sua
elaborazione risale alla fine del secolo diciottesimo ed all’inizio del secolo
decimonono. Ci lavorarono a quattro mani il compositore Haydn Joseph (1797 data
della sua composizione) ed il poeta August Heinrich Hoffmann von Fallersleben
(1846 data della stesura del testo). Il risultato non è poi tanto male. Per i
tedeschi, non certamente per il resto dei popoli europei. Se ne esaltò anche
quel diavolo dalle “croci uncinate”. Che è tutto un buon dire. Orbene, giorni or sono,
il 21 di luglio per la precisione, il professor M.C. si è lanciato in un
panegirico sul quotidiano la Repubblica che portava il titolo “Germania gigante d’Europa senza
auctoritas”. Un panegirico, dicevo, come se la Germania che tutti
conosciamo mirasse ad aver riconosciuta un’”auctoritas” dagli altri popoli
della vecchia Europa che non si basasse sulla forza bruta. Ed ancor oggi
sacrifica a quel suo primato – “al di sopra di tutto al di sopra di tutto
il mondo”- tutto ciò che possa
contrastare la sua egemonia. Un panegirico quello del professor M.C., un
inerpicarsi sugli specchi senza tradire il benché minimo imbarazzo, che disvela
ancora una volta quel mai sopito o sospirato spirito d’appartenenza – o di
esservi appartenuti - mitteleuropeo stante il fatto che anche le sempre insalubri
terre lagunari abbiano fatto parte di una certa Storia europea. E giusto per
rinverdire conoscenze e memorie e quant’altro ancora abbia interessato la
Storia dell’Europa mi pare giusto proporre una “paginetta” di Storia a
firma del professor Massimo L. Salvadori pubblicata sul quotidiano la
Repubblica del 18 di luglio ultimo scorso che ha per titolo “L'abuso di potenza della Germania”:
Le
date. 1871: Bismarck crea il Secondo Reich, che, divenuto economicamente e
militarmente il più forte Paese del continente europeo, nel 1914 dà l'assalto
al potere mondiale"; 1933: Hitler fonda il Terzo Reich millenario, che,
dotatosi della più efficiente macchina bellica esistente, lancia nel 1939 il
secondo attacco al potere mondiale; 1990: le due Germanie divise si
riunificano, ponendo le premesse per ciò che il paese guidato dalla Merkel è
oggi: il membro più solido dell'Unione Europea, a cui tutti gli altri guardano
studiandone umori e decisioni. Ma ecco in tutta la sua portata il problema
posto dalla storia tedesca: il rapporto – per due volte disastroso - tra
accumulo di potenza e umiliante scacco politico a causa della profonda carenza
di capacità politica delle classi dirigenti del Paese. Per quanto sia
improponibile un paragone con le classi dirigenti del passato, non possiamo
nondimeno non interrogarci sulla adeguatezza del governo della Merkel e di
Schäuble di fronte alla crisi europea. Nel 1919 la Germania versava nel caos:
militarmente sconfitta, politicamente umiliata, economicamente distrutta, ma,
sotto la guida di colui che Luigi Einaudi ha chiamato "l'Attila
moderno", in pochi anni risalì la china. Dopo il 1945 la situazione in
buona sostanza si ripeté: il Paese venne diviso in due grandi tronconi, dei
quali la Germania federale, raccolte le proprie energie, passo dopo passo
emerse come una delle componenti più salde dell'Europa dell'Ovest; quindi,
crollato l'impero sovietico, questa nel 1990 dimostrò di possedere le risorse
per ricongiungere a sé il troncone dell'Est e riattrezzarlo, così da fare nel
giro di pochi anni della Germania riunificata il nucleo più forte dell'Unione
Europea. Ed è alle sue decisioni che ora gli altri suoi partner guardano con un
misto di speranza, ansia, timore, invidia e persino avversione e paura. Fatto è
che nell'Unione si è determinato un grave squilibrio di potere tra gli Stati
membri a favore della Germania, che Francia, Gran Bretagna e Italia cercano in
qualche modo di contenere. Ho rievocato i grandi momenti dell'ascesa della
potenza tedesca dal 1871 in poi: quello dell'impero, quello del Terzo Reich, quello
attuale della Germania unificata a cui manca, per fortuna, la forza militare di
cui disponevano le prime due Germanie. Non bisogna mai abusare delle analogie
storiche, ma occorre farne uso quando necessario. Le tre Germanie che si sono
succedute hanno messo in luce un tratto comune di enorme importanza: il
pervenire ad una posizione di primato nel continente. Alla base di questo
sempre un superiore apparato produttivo e commerciale, una efficiente struttura
burocratica e amministrativa, una imprenditoria affiancata da una forza lavoro
altamente qualificata, che poneva e ora pone in posizione di inferiorità gli
altri Paesi, a partire da Gran Bretagna e Francia. Quanto avvenuto tra il 1914
e il 1918 e tra il 1939 e il 1945 fu causa per inglesi e francesi di brucianti
frustrazioni dinnanzi allo scatenamento per due volte della potenza tedesca.
Inglesi e francesi uscirono vincitori dalle guerre mondiali, ma a tutti fu
palese che avevano vinto unicamente per interposta persona, vale a dire grazie
prima all'intervento americano poi a quello sovietico e americano. Per questo
nel 1919 gli stolti Lloyd George e Clemenceau concepirono il disegno di imporre
alla Germania la pace cartaginese che seminò i germi della rivincita tedesca
affidata a Hitler. Per questo nel 1989-90 la Thatcher, leader dei conservatori
britannici, il socialista Mitterand e anche il democristiano Andreotti
assistettero assai contrariati alla riunificazione della Germania. Che oggi ha
largamente nelle proprie mani il destino dell'Europa. Certo – ripeto - nessun
paragone è possibile tra le classi dirigenti del passato tedesco e l' odierna.
Sennonché, non è possibile non vedere: che, mentre sull'attuale governo tedesco
cade una grandissima responsabilità, la linea che esso persegue genera all'interno
dell'Unione tensioni e contrasti, dividendo l'Unione in diverse Europe: l'una
filotedesca, l'altra diffidente, l'altra ancora ostile; che lo squilibrio di
potenza tra gli Stati membri costituisce un fattore che turba ed è assai arduo
da comporre; che lo spirito antitedesco quale va diffondendosi non promette
niente di buono. L'Unione si trova a fare i conti con il dato oggettivo che la
Germania costituisce appunto, piaccia o non piaccia, lo Stato più vigoroso
d'Europa; la Germania dal canto suo deve riflettere su come non abusare della
propria forza giustificando chi la denuncia alla stregua di un prepotente
padrone. Il nostro futuro è affidato a quella che si spera non si riveli una
quadratura del cerchio. “Abuso di potenza” che è vero
essere, la “potenza” intendo dire, economica ed industriale al contempo, “potenza”
che nel corso della funesta Storia dell’Europa si è sempre accompagnata
a quell’altra “potenza” con i ben noti – dimenticati forse dal prof. M.C. -
tragici risvolti del secolo ventesimo (con ben due guerre cosiddette mondiali).
È di quella Storia passata che si allarma sempre e tanto il filosofo Jürgen
Habermas, anche nella intervista ultima concessa a Philip Oltermann - "L'egemonia di Berlino contro l'anima
dell'Europa" – e pubblicata sul quotidiano la Repubblica del 18 di
luglio: (…). Professor Habermas, qual è il suo giudizio sull'accordo raggiunto
lunedì? "L'accordo sul debito greco annunciato lunedì è dannoso sia come
risultato che per il modo con cui è stato raggiunto. Primo, l'esito dei
colloqui è sconsiderato: anche considerando le condizioni capestro dell'accordo
come la giusta linea d'azione, non ci si può aspettare che queste riforme siano
attuate da un governo che, per sua ammissione, non crede nei termini
dell'accordo. Secondo, l'esito dell'accordo non ha senso in termini economici a
causa della combinazione tossica di necessarie riforme strutturali a livello
istituzionale ed economico con imposizioni neoliberaliste, che scoraggeranno
totalmente una popolazione greca allo stremo, e uccideranno qualunque impeto
alla crescita. Terzo, il risultato dell'accordo significa che un Consiglio
europeo impotente dichiara efficacemente il suo fallimento politico: la
relegazione de facto di uno Stato membro allo status di protettorato contraddice
apertamente i principi democratici dell'Unione europea. Infine, tale risultato
è infausto in quanto costringere il governo greco ad accettare un fondo di
privatizzazioni eminentemente simbolico e discutibile da un punto di vista
economico non può che essere inteso come una punizione contro il governo di
sinistra. È difficile fare più danni di così. Eppure il governo tedesco ha
fatto questo quando il ministro delle Finanze Schäuble ha minacciato l'uscita
della Grecia dall'euro, rivelandosi quindi spudoratamente come il supremo
rigorista europeo. In quell'occasione, il governo tedesco ha per la prima volta
affermato manifestamente la sua egemonia in Europa - è
comunque così che è stato percepito nel resto d'Europa, e questa percezione
definisce la realtà che conta. Temo che il governo tedesco, compresa la sua
fazione socialdemocratica, si sia giocato in una notte tutto il capitale
politico che una Germania migliore aveva accumulato in mezzo secolo - e per
"migliore" intendo una Germania caratterizzata da una maggiore
sensibilità politica e mentalità post- nazionalista". Quando, il mese
scorso, Tsipras ha indetto il referendum, molti altri politici europei lo hanno
accusato di tradimento. A sua volta, la cancelliera tedesca è stata accusata di
aver ricattato la Grecia. Secondo lei, chi è più colpevole del deterioramento
della situazione? "Non sono sicuro delle vere intenzioni di Alexis
Tsipras, ma dobbiamo riconoscere un semplice fatto: per permettere alla Grecia
di rimettersi in piedi, devono essere ristrutturati i debiti che l'Fondo
monetario internazionale ha ritenuto "altamente insostenibili".
Malgrado ciò, sia Bruxelles che Berlino, sin dall'inizio, hanno
persistentemente negato al premier greco l'opportunità di negoziare una
ristrutturazione del debito. Alla fine, per superare questo muro di resistenze
dei creditori, Tsipras ha cercato di rafforzare la sua posizione con un
referendum, incassando un consenso interno superiore alle aspettative. Questa
legittimazione rinnovata ha costretto la sua controparte a cercare un
compromesso o sfruttare la situazione di emergenza della Grecia assumendo il
ruolo, ancora più di prima, di rigorista. Sappiamo come è andata a
finire". L'attuale crisi europea è un problema finanziario, politico o
morale? "La crisi attuale è dovuta sia a cause economiche che al
fallimento politico. La crisi del debito sovrano greco emersa dalla crisi delle
banche affondava le sue radici nelle condizioni non ottimali di un'unione
monetaria composta da parti eterogenee. Senza una comune politica economica e
finanziaria, le economie nazionali di Stati membri pseudo-sovrani continueranno
ad andare alla deriva in termini di produttività. Nessuna comunità politica può
sostenere una tale tensione, nel lungo termine. Al contempo, concentrandosi
sull'elusione del conflitto aperto, le istituzioni dell'Ue impediscono le
necessarie iniziative politiche per espandere l'unione monetaria in unione
politica. Solo i leader di governo riuniti nel Consiglio europeo sono in
condizioni di agire, ma sono esattamente loro a non poterlo fare nell'interesse
di una comunità europea coesa, perché pensano al loro elettorato nazionale.
Siamo bloccati in una trappola politica". (…).
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