"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

sabato 30 marzo 2019

Riletture. 79 «Il dubbio è un interrogativo rivolto a Dio».


Tratto da “Chi non ha fede dubita di Dio chi crede dubita di se stesso”, intervista al pastore Valdese Paolo Ricca (Torre Pellice, 19 gennaio 1936) a cura di Antonio Gnoli pubblicata sul quotidiano “la Repubblica” del 30 di marzo dell’anno 2014: (…). Da dove nasce la fede? «Non nasce dalla paura della morte né dall’incertezza del futuro. La fede è un viaggio che non si conclude nell’arco di una vita. Quando inizia la fede comincia anche l’inquietudine. La fede rende inquieti ma non dubbiosi»
Che differenza c’è? «Il dubbio è un interrogativo rivolto a Dio. L’inquietudine è dubitare di se stessi, di ciò che si sta facendo, di quale società si intenda costruire, quale eredità lasciare ai propri figli. Da questo punto di vista, Dio diventa certezza. E non si sa perché».
Dio chiama, misteriosamente, come sperimenta Abramo. «E lui non può che rispondere. Perché la chiamata di Dio è più forte di tutte le obiezioni possibili».

venerdì 29 marzo 2019

Riletture. 78 «Uno scempio di vite, di culture, di dignità».


Tratto da “La retorica dei diritti disumani” di Gustavo Zagrebelsky, pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 29 di marzo dell’anno 2017: Chi oserebbe negare che nella “età dei diritti”, che diciamo essere la nostra e che ha proclamato la felicità non come compito morale dell’uomo virtuoso, secondo l’etica antica, ma niente di meno che come diritto universale: chi oserebbe negare che la povertà, l’analfabetismo, la schiavitù, la violenza, le persecuzioni, la tortura, le sparizioni dei non integrati e degli oppositori, le migrazioni forzate, l’ammassamento di milioni di persone in slum e bidonville, lo sfruttamento, le desertificazioni, siano oggi diffusi su larga scala e, sommandosi, colpiscano innocenti in misura che forse mai si è conosciuta in passato?

mercoledì 27 marzo 2019

Memoriae. 09 «Guardo il mondo globalizzato».


Questa “memoria” risale nel tempo al martedì 10 del mese di ottobre dell’anno 2006. Dal mondo “globalizzato” non ci giungevano ancora le sue tragiche storture, era tutto un gioire, o solamente uno sperare nelle nuove prospettive che la globalizzazione del mondo, realizzata selvaggiamente dalla finanziarizzazione del capitale, avrebbe di lì a poco saputo e potuto realizzare. Non si era ancora arrivati ai prodromi di quella che sarebbe stata la “grande crisi”, quella “stagnazione” (secolare) che in pochi intravvedevano al tempo. Soltanto uno “spirito” alto avrebbe potuto non guardare, come spigolando attraverso uno spiraglio, ma vederci davvero dentro a quel tempo oramai andato. Ha scritto Curzio Maltese in tempi più recenti – il primo di aprile dell’anno 2016, un decennio dopo insomma – in “Il moralismo dei ricchi che incolpano i poveri della povertà” pubblicato sul settimanale “il Venerdì”: (…). La ricchezza è un merito, la povertà è colpa. Fine del dibattito. In pochi anni il potere ha cambiato paradigma e racconto. Negli anni Ottanta il modello era la cicala. Il messaggio era che tutti potevamo essere ricchi, bastava volerlo sembrare.

martedì 26 marzo 2019

Riletture. 77 Trump e «quella tipologia di intrallazzatori che compare di frequente nella storia americana».


Tratto da “Psycho Trump” di Ian Buruma, pubblicato sul settimanale L’Espresso del 26 di marzo dell’anno 2017: Negli anni Trenta, nazioni diverse dettero origine a fascisti diversi. Hitler fu ossessionato dalla razza, Mussolini dalla gloria imperiale di Roma, e il Generale Franco fu un militare cattolico reazionario. Anche i demagoghi di oggi hanno stili diversi a seconda della nazionalità. Donald Trump assomiglia un po’ a Silvio Berlusconi: entrambi si sono arricchiti nel settore immobiliare. Entrambi si sono sentiti perseguitati dalla stampa libera e dal sistema giudiziario indipendente. Entrambi hanno uno stesso modo volgare di relazionarsi alle donne. Berlusconi, però, ha sempre mantenuto lo stile mellifluo del cantante italiano da nave di crociera, mentre Trump è più americano.

lunedì 25 marzo 2019

Riletture. 76 « Molti italiani sono nomòfobi».


Tratto da “Nel paese dei nomòfobi” di Franco Cordero, pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” del 25 di marzo dell’anno 2014: Etimologia greca: nómos (da némein, spartire) significa regola, limite, misura; sopra Zeus, legislatore celeste, vigono norme fondamentali, perché nel cosmo regna la Moira, un equilibrio impersonale. Molti italiani sono nomòfobi, sordi all’idea d’una razionalità normativa, e smaniano seminando disordine. Il fenomeno esplode un secolo fa, contro Giolitti, colpevole d’essere democratico, impoetico, non eroico.

domenica 24 marzo 2019

Terzapagina. 75 «Gli italiani sono stati fascisti».


A lato. Milano, 23 di marzo 1919, piazza San Sepolcro: adunata per la fondazione dei Fasci di combattimento.

Tratto da “Il fascismo è ancora vivo dentro di noi” di Antonio Scurati, pubblicato sul quotidiano la Repubblica del 23 di marzo 2019: Noi siamo stati fascisti. Gli italiani sono stati fascisti. Il genus italico ha generato il fascismo. Di più: il fascismo è stato una delle potenti invenzioni (o innovazioni, se preferite) italiane del Ventesimo secolo, che dall’Italia si è propagata in Europa e nel mondo. Non suonino come provocazione queste parole. So bene che non tutti gli italiani sono stati fascisti e che molti – non moltissimi, purtroppo – sono stati antifascisti anche durante il ventennio.

sabato 23 marzo 2019

Terzapagina. 74 Trump e la «presidenza retorica».


Tratto da “Diffidate sempre del presidente che si fa popolo” di Maurizio Viroli, pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 17 di marzo 2019: (…). L’unico demagogo che è riuscito a diventare presidente degli Stati Uniti d’America è stato Andrew Johnson che però non fu eletto e entrò alla Casa Bianca perché era vice-presidente di Abraham Lincoln, assassinato il 15 aprile 1865. Durante la sua presidenza Andrew Johnson dovette affrontare la tenace opposizione del Congresso, fu sottoposto al procedimento di messa in stato d’accusa  (impeachment) e lasciò la carica in disgrazia. Trump ha vinto le elezioni con un largo margine di voti elettorali (non di voti popolari), ha iniziato il suo mandato con una solida maggioranza nella Camera dei Rappresentanti e nel Senato e ha potuto nominare un suo candidato alla Corte Suprema. Un presidente demagogo eletto rappresenta una rottura radicale rispetto ai principi fondamentali della democrazia americana. I Padri Fondatori della Costituzione degli Stati Uniti avevano spiegato che il demagogo è il pericolo più grave per la libertà repubblicana. Dai classici del pensiero politico antico e moderno, e dalla storia, avevano imparato che il demagogo parla direttamente al popolo senza la mediazione dei partiti o del Congresso e, grazie all’uso sapiente dell’adulazione, sa persuadere il popolo toccando le sue passioni: la paura, la speranza, l’odio, il desiderio di sentirsi superiori ad altri popoli e di essere onnipotenti. Una volta conquistato il favore della parte più incolta e spesso più povera del popolo, che quasi ovunque è maggioranza, concentrano nelle loro mani un potere enorme che non sopporta limiti e condizionamenti. Coloro che hanno sedotto il popolo con l’adulazione, leggiamo nei Federalist Papers (1788), vero e proprio commentario alla Costituzione degli Stati Uniti, hanno cominciato come demagoghi e sono diventati tiranni (“commencing demagogues and ending tyrants”). Altri presidenti americani, a partire da Theodore Roosevelt (1901-1909) si soo rivolti direttamente al popolo, passando sopra il Congresso e sopra il proprio partito, per fare passare particolari provvedimenti legislativi. (…). Abraham Lincoln, per citare un esempio significativo, ricusò di parlare dell’imminente guerra civile alla folla che lo aveva accolto a Pittsburgh, era 15 febbraio 1861, e spiegò la sua decisione con l’argomento che il tema richiedeva una lunga ed approfondita discussione e riteneva prematura una sua netta presa di posizione. I cittadini convenuti salutarono le sue parole con un immenso applauso e espressioni di entusiastica approvazione. Ai nostri giorni un comportamento analogo da parte del presidente degli Stati Uniti sarebbe accolto con viva disapprovazione. Trump rappresenta un cambiamento profondo anche rispetto alla tradizione della “presidenza retorica”. La sua tecnica preferita è non ammettere mai gli errori commessi o le contraddizioni nelle quali cade anche quando i suoi critici hanno prove inoppugnabili. Se i giornalisti gli rinfacciano di aver mentito, risponde con menzogne ancora più grandi, con la conseguenza che diventa difficile per l’opinione pubblica capire dove sta la verità e dove sta la menzogna. Se lo accusano di gravi illegalità, come ad esempio la famosa storia dei contatti con i russi per vincere le elezioni presidenziali contro Hillary Clinton, risponde che Obama ha fatto peggio. I presidenti del Novecento, e con loro George W. Bush e Barack Obama, avevano oscillato fra la presidenza retorica e la presidenza tradizionale che interagisce di norma con il Congresso e parla direttamente al popolo soltanto in circostanze eccezionali o in cerimonie solenni.

giovedì 21 marzo 2019

Riletture. 75 «Salvini e Gasparri le suppellettili della politica in Tv».


Tratto da “Da Salvini a Gasparri le suppellettili della politica in Tv” di Alberto Statera (Roma, 16 settembre 1947 – Roma, 22 dicembre 2016), pubblicato sul settimanale A&F del 21 di marzo dell’anno 2016: Ettore Bernabei, antico e sanguigno direttore generale della Rai, soleva dire che gli italiani che allora guardavano la televisione erano venti milioni di teste di cazzo. Sbagliava. Molti di quei milioni hanno scoperto, sia pure tardivamente, almeno la trappola di un genere televisivo che via via è andato gonfiandosi come la rana di Fedro per poi scoppiare: il talk show politico. Genere a basso costo e produttore, tra l’altro, di utili influenze lottizzatorie ha avuto una fase piuttosto fortunata per piombare poi in un desolato spettacolo di maschere fisse quanto improbabili, una compagnia di giro di smodati presenzialisti che produce un incessante rumore di fondo. (…).
Quante volte nelle ultime settimane siete corsi al telecomando per oscurare Matteo Salvini? Ve lo diciamo noi: 73 volte in 60 giorni, con una progressione in crescita via via che si avvicina la scadenza elettorale. Per un totale di 18 ore di parole, sempre le stesse. L’assalto dei candidati (…) non penalizza gli habituè, le consuete suppellettili di arredamento negli studi di Floris, Giannini, Del Debbio, Formigli, Porro, Vespa, Panella, Merlino, Paragone (e scusate se ce ne scappa qualcuno). Maurizio Gasparri e Daniela Santanché continuano a bivaccare lì, immarcescibili controfigure di loro stessi, tra una comparsata e l’altra. Quel che dicono è assolutamente irrilevante, un po’ perché le sparano a caso, un po’ perché tanto sanno che non faranno cambiare idea a nessuno. Scivolano così nel macchiettismo. La nuvola di improbabilità è tale che persino chi di cose da dire ne ha a iosa e sa pure farlo, come il giornalista Marco Travaglio, rischia di diventare tedioso. Insomma il talk show ormai brucia i suoi presentatori e i suoi protagonisti, li usura per over exposition, li sottopone all’irritazione palpabile di quei milioni di teste di cazzo bernabeiane. Se ne è accorto il leader della Fiom Maurizio Landini che in un’intervista proprio al Fatto Quotidiano ha detto di volersi sottrarre a chi voleva fare di lui una delle tante suppellettili televisive, una comparsa, un pezzetto di teatro che serve alla messinscena quotidiana fatta di gente ignorantissima, che non sa di che cosa parla.

mercoledì 20 marzo 2019

Sullaprimaoggi. 71 «I testimoni di solito li compra, non li ammazza».


Tratto da “I delitti eleganti” di Marco Travaglio, pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 19 di marzo 2019: (…). Sicuramente Silvio Berlusconi non ha ordinato il probabile avvelenamento di Imane Fadil, la ragazza marocchina che nel 2009, a 25 anni, frequentò ben sei “cene eleganti” a base di bungabunga nella sua villa di Arcore e lo incontrò altre due volte in un ristorante milanese e in un’altra villa in Brianza. I testimoni B. di solito li compra, non li ammazza. E tutto poteva augurarsi, fuorché la morte di una teste-chiave del processo Ruby-ter (dov’è imputato, tanto per cambiare, per corruzione di testimoni) e il ritorno del bungabunga sulle prime pagine dei giornali. Infatti, negando le sentenze e persino l’evidenza, ha provato a smentire di aver mai visto Fadil. Ma purtroppo nessuno può escludere che c’entrino i vari ambienti criminali che lo circondano da quasi mezzo secolo, da Cosa Nostra alla massoneria deviata, dal sottobosco dell’eterna Tangentopoli ai gigli di campo di Putin. Cioè che qualcuno abbia voluto fargli un favore non richiesto, o lanciargli un messaggio avvelenato per ricattarlo, o sputtanarlo, o ricordargli qualche promessa non mantenuta. Non sarebbe né la prima né l’ultima volta che chi si mette di traverso sulla sua strada ne patisce le conseguenze (…). …Maurizio Costanzo, ex maestro della P2, (…) il 14 maggio ’93, mentre tentava di dissuadere B. dall’entrare in politica, scampò per miracolo a un attentato mafioso ai Parioli: la prima autobomba di Cosa Nostra fuori dalla Sicilia. Agatha Christie diceva che “una coincidenza è una coincidenza, due coincidenze fanno un indizio, tre coincidenze fanno una prova”. Ora, può darsi che per B. non ne basti nemmeno una ventina. Ma questo riguarda i pm che stanno indagando sulla morte di Imane e ricostruendo le sue ultime ore prima del ricovero all’Humanitas. Un altro aspetto invece riguarda tutti noi, e non da oggi, ma da quando B. vinse le sue prime elezioni il 27 e 28 marzo 1994, esattamente 25 anni fa: le conseguenze politiche e morali dell’irruzione di quel po’ po’ di interessi affaristici e criminali nella vita dello Stato.

martedì 19 marzo 2019

Sullaprimaoggi. 70 «Imane Fadil: l’ultima coincidenza».


Tratto da “Tutte coincidenze” di Marco Travaglio, pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 17 di marzo 2019: (…). Negli anni 70 i proprietari terrieri di Segrate che non volevano vendere al costruttore di Milano 2 ricevevano visite di uomini armati e cambiavano idea. Il 21 maggio 1992 Paolo Borsellino parla con due giornalisti francesi di indagini sui rapporti fra B., Dell’Utri e lo “stalliere” Mangano: due giorni dopo muore ammazzato Falcone, due mesi dopo pure Borsellino. Nel ’93 un giovane attivista di Ravenna, Gianfranco Mascia, lancia i comitati Boicotta Biscione (BoBi). Il primo avvertimento anonimo gli arriva sul telefonino: “Smettila di rompere i coglioni. Sei una testa di cane. Bastardo. Vi spacchiamo il culo. Gruppo Silvio Forever”. Il 24 febbraio 1994, a un mese dalle elezioni, Mascia viene aggredito da due uomini a volto scoperto che lo immobilizzano col filo di ferro, gli tappano la bocca con un tampone e lo violentano con una scopa. Il portavoce bolognese del BoBi, Filippo Boriani, consigliere comunale dei Verdi, riceve una busta con una lingua di vitello mozzata e un biglietto: “La prossima sarà la tua”. Autunno ’94: Edoardo Pizzotti, direttore Affari legali di Publitalia, viene licenziato in tronco dopo aver rifiutato di coprire i traffici di Dell’Utri & C. per inquinare le prove sulle false fatture del gruppo. E riceve telefonate minatorie e mute a casa, provenienti (risulta dai tabulati) da Publitalia. Un anno dopo racconta tutto testimoniando al processo di Torino contro Dell’Utri per frode fiscale: subito dopo, due figuri dal forte accento campano lo avvicinano nel centro di Milano e lo salutano così: “Guarda che ti facciamo scoppiare la testa”. Nel luglio 1995 Stefania Ariosto inizia a raccontare al pm Ilda Boccassini quello che sa sui giudici comprati da Cesare Previti con soldi di B. La notizia rimane segreta per sette mesi, ma non per tutti. Alla vigilia di Natale, un pony express recapita alla Ariosto una scatola in cui galleggia nel sangue un coniglio scuoiato e sgozzato, con un biglietto d’auguri: “Buon Natale”. Nel marzo 1996, dopo gli arresti, L’Espresso dedica allo scandalo Toghe sporche varie copertine con i verbali e le foto della Ariosto: il 22 maggio, a Camaiore, un incendio doloso polverizza la villa della vicedirettrice Chiara Beria di Argentine. Marzo 2001: Daniele Luttazzi mi ospita a Satyricon, su Rai2, per parlare fra B. e Cosa Nostra. Oltre alle minacce pubbliche del centrodestra, riceve lettere anonime, telefonate e visite di strani ladri in casa: “Il Giornale pensò bene di pubblicare la mia dichiarazione dei redditi, col mio indirizzo di casa ben visibile. Oltre alle lettere, mi arrivarono alcuni dossier anonimi, pieni di informazioni sulla mia vita privata e le mie abitudini. Come per avvertirmi: ehi, guarda che sappiamo tutto di te”. Negli stessi giorni Indro Montanelli, che mi ha difeso dagli assalti berlusconiani, riceve chiamate di insulti e minacce ed è costretto a cancellare le iniziali I.M. dal citofono di casa. Lo racconta a Repubblica: “La cosa più impressionante sono state le telefonate anonime. Ne sono arrivate cinque, una dopo l’altra, tre delle quali di donne. Non so chi avesse dato loro il mio numero, che è assolutamente introvabile… Quella berlusconiana è la peggiore delle Italie che io ho mai visto… Il berlusconismo è veramente la feccia che risale il pozzo… Non sono spaventato: piuttosto sono impressionato, come non lo ero mai stato… Io non avevo mai preso parte alla campagna di demonizzazione: tutt’al più lo avevo definito un pagliaccio, un burattino… Queste storie su Berlusconi uomo della mafia mi lasciavano molto incerto. Adesso invece qualsiasi cosa è possibile”. Nel 2003 il pm fiorentino Gabriele Chelazzi, che indaga sulla trattativa Stato-mafia e i mandanti occulti delle stragi, muore all’improvviso d’infarto a 59 anni. Nel 2006 il pentito Cosimo Cirfeta, imputato con Dell’Utri per aver depistato le indagini di mafia sull’inventore di FI, muore nella sua cella a Bari inalando il gas di un fornelletto da cucina. Nel 2009 scoppia Puttanopoli e le due testi-chiave se la vedono brutta: Patrizia D’Addario riceve strane visite in casa e alla sua ex amica Barbara Montereale qualcuno fa esplodere l’automobile. Nel 2012 parte il processo Ruby e il rag. Giuseppe Spinelli, cassiere di Arcore e custode dei segreti finanziari di B., viene rapito con la moglie e poi inspiegabilmente rilasciato in poche ore senz’alcun riscatto. Il 1° marzo 2019 muore Imane Fadil: l’ultima coincidenza.

lunedì 18 marzo 2019

Riletture. 74 «La sua fortuna sta negli avversari dalle ginocchia molli».


Tratto da “Quell’idea dominante” di Franco Cordero, pubblicato sul quotidiano la Repubblica del 18 di marzo dell’anno 2015: Corre voce che l’Italia, soggetto politico, goda d’una stella fortunosamente buona. Adolf Hitler la nomina domenica 7 dicembre 1941 nella Tana del Lupo: fallita l’offensiva su Mosca, l’aggressore rischia un’irrimediabile disfatta; l’umore è cupo tra i commensali ma a mezzanotte irrompe l’addetto stampa Heinz Lorenz; una radio americana ha annunciato l’attacco giapponese a Pearl Harbour. «The turning point», la svolta, esclama il Führer (in tedesco, è monoglotta), e uscendo dal Bunker nel gelo della foresta, porta la notizia ai tirapiedi Keitel e Jodl (morranno impiccati a Norimberga). Ormai è impossibile perdere questa guerra. Il Reich ha due alleati: in tremila anni il Sol Levante non ha mai subito sconfitte; e l’Italia le incassa sistematicamente ma alla fine siede tra i vincitori (David Irving, Hitler’s War 1939-4-2, Macmillan, London 1977, 352). Tale massima trovava conferme nella storia otto-novecentesca. Le Parche diranno fin dove viga ancora. Non è motivo d’orgoglio che gli ultimi ventun anni abbiano la figura egemone in un titano d’arti fraudolente: solo lui e pochi intimi sanno l’origine dei primi miliardi; poi favori venali gli portano un impero mediatico; monopolista delle televisioni commerciali, plagia le platee corrompendo pensiero, sentimenti, gusto (un’epidemia italiana, cinque secoli dopo i morbi ispanico e gallico). Caduti i protettori, raccoglie l’eredità fingendosi uomo nuovo. La sua fortuna sta negli avversari dalle ginocchia molli: avendo vinto (aprile 1996), gli garantiscono sotto banco le aziende, arnesi d’un colossale conflitto d’interessi, e lo riqualificano come partner d’una commissione chiamata a rifondare lo Stato nelle norme fondamentali; muore ignobilmente sabotato ab intra un secondo governo del centrosinistra, 1996-98. Ha dalla sua il Quirinale: Giorgio Napolitano predica «larghe intese», ossia apporti subalterni alla politica governativa; e gli presta manforte nella ricerca d’una impensabile immunità giudiziaria. Qui l’astrologo vede influssi celesti: saremmo una monarchia caraibica se l’Olonese, stravinte le elezioni (aprile 2008), non portasse l’Italia a due dita dalla bancarotta, costretto quindi a dimettersi (novembre 2011); e sarebbe sparito se fossero sciolte le Camere, come la congiuntura richiede, senonché Neapolitanus Rex lo salva ibernandole; aperte finalmente le urne (febbraio 2013), il redivivo sfiora una quarta vittoria. Moltiplicano l’effetto intrighi notturni nei Ds: l’assemblea unanime acclama Romano Prodi, candidato al Quirinale; Deo gratias ma 101 elettori ipocriti gli negano il voto; e risale al Colle il patrono delle «larghe intese», nel segno d’una parentela (Enrico Letta, premier transigente Ds, è nipote dell’omonimo Gianni, plenipotenziario nei supremi affari berlusconiani). Le stelle decidono diversamente: arriva in Cassazione uno dei processi dai quali usciva indenne perdendo tempo, affinché il delitto s’estinguesse (s’era abbreviato i termini): frode fiscale, quattro anni inflitti dalla corte d’Appello milanese; e passando in giudicato la condanna, decade dal Senato. Berlusco furiosus pretende la grazia su due piedi e comanda ai suoi d’uscire dal governo: stavolta qualcuno disubbidisce invocando interessi superiori; rinsavito, espia la pena nei servizi sociali. Intanto sopravviene una mutazione in casa Ds. Malato cronico, perdeva voti ogni volta, sottomesso al pirata, e dopo avvilenti esperienze era prevedibile che alle primarie (essendo in palio la direzione politica) il giovane sindaco fiorentino sbaragliasse vecchi oligarchi nonché juniores professionisti d’una squallida politica (non basta chiamarsi «giovani turchi»).

sabato 16 marzo 2019

Sullaprimaoggi. 69 Tajani e «la zona grigia del riduzionismo».


Tratto da “La memoria banale del fascismo” di Ezio Mauro, pubblicato sul quotidiano la Repubblica del 15 di marzo 2019: (…). La zona grigia del riduzionismo, nel giudizio storico sul Ventennio, si allarga ormai fino all'incoscienza delle cariche istituzionali, che pure guidano gli organismi democratici nati dalla riconquista della libertà dopo la dittatura, grazie proprio all'opposizione e alla resistenza al fascismo: e dovrebbero ricordarlo, e soprattutto ricordarselo. (…). Il luogo comune che distingue tra il prima e il dopo, giustificando il Duce fino al 1938 e addirittura fino al 10 giugno del 1940, non è un errore, ma una falsificazione storica a fini politici, perché riduce la scelta della guerra a fianco di Hitler e la vergogna delle leggi razziali a un incidente di percorso, un'opzione strategica sbagliata, quasi una deviazione sfortunata o un accidente, mentre si tratta invece dell'esito naturale, perché coerente, di un'avventura che è figlia di una precisa cultura e di un evidente disegno politico.

venerdì 15 marzo 2019

Riletture. 73 «Il volere ha bisogno di una meta».


Tratto da “Generazioni a confronto”, risposta di Umberto Galimberti ad un lettore  pubblicata sul settimanale “D” del 15 di marzo dell’anno 2008: Scrive Nietzsche: "Il volere ha bisogno di una meta. E se questa non c'è preferisce volere il nulla piuttosto che non volere". Eppure bisogna continuare, non so in che forma, non so in che modo. La generazione di suo padre poteva permettersi tutta la forza e la poesia che lei le riconosce perché il futuro era aperto, gonfio di promesse e di belle cose da realizzare. Persino la povertà non spaventava. La si poteva superare mettendo in gioco tutta la propria forza e la propria vitalità. Oggi lei vive in una generazione che Spinoza non avrebbe esitato a definire dalle "passioni tristi", dove l'indecifrabilità del futuro spegne i progetti che hanno il respiro di un giorno, e gli interessi la durata di un'emozione. I gesti non diventano stili di vita e le azioni si esauriscono nei gesti. Lei rimpiange in maniera così struggente la figura di suo padre perché nessuno dei ragazzi della sua età gli assomiglia. Quindi alla perdita di una grande figura si aggiunge la desolazione di non poterla più ritrovare nei giovani della sua età. Nascono allora quelle malinconie che hanno abbandonato persino il tono del tumulto per frequentare le stanze della rassegnazione. Senza neppure un accenno di disperazione, perché non si dà disperazione là dove la speranza si è da tempo congedata. Si inscena così la propria vita come un esperimento sociale dall'esito incerto. E così le capiterà di incontrare single misantropi, carrieristi ambiziosi, egocentrici troppo restii ad aprirsi alle relazioni con gli altri, perché, dopo la scomparsa delle ideologie e degli ideali ritenuti eterni, i ragazzi della sua generazione guardano in faccia l'incertezza dell'esistenza e, senza sfuggire a questo vuoto di significati da fine della storia, scoprono una forma di ottimismo egocentrico dove tutte le scelte vengono considerate revocabili: dalla professione al matrimonio, dall'identità sessuale allo stile di vita. Nell'esperienza ormai assaporata dai giovani della sua generazione circa la loro non incidenza, neppur minima, di cambiare le regole di una società che non prevede per loro un futuro desiderabile, come invece lo era per la generazione di suo padre, ognuno va alla ricerca della nicchia adeguata, dove poter mettere in scena la propria disarticolata avventura, con quel tanto di cinismo che porta a usare l'altro piuttosto che stabilire con l'altro una gratificante relazione. Perciò rifiutano la comunicazione e negano l'accesso al proprio cuore, perché preferiscono tenerlo ben nascosto al centro di un labirinto, in cui gli altri possono solo vagare senza alcuna speranza. E tuttavia, anche se l'incertezza del futuro retroagisce demotivando, non si lasci inghiottire dal passato. Lì davvero non c'è traccia di futuro. 

giovedì 14 marzo 2019

Riletture. 72 «Il Pd corre da anni verso l’autodistruzione».


Tratto da “Giusto appoggiare M5S, quindi il Pd non lo farà” di Curzio Maltese, pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 14 di marzo dell’anno 2018: Caro Direttore, sono d’accordo con Massimo Cacciari, l’unica salvezza per il Pd sarebbe di appoggiare la nascita di un governo 5 Stelle. Per questo escludo che possa accadere. Il Pd corre da anni verso l’autodistruzione e nessun discorso razionale può distoglierlo dal cupio dissolvi. Renzi è soltanto l’epigono di un lungo processo di separazione fra la sinistra tutta, riformista e radicale, dal proprio popolo.

mercoledì 13 marzo 2019

Riletture. 71 Rosy Bindi: «finiamo a chiedere i voti a Miccichè».


Tratto da “2013, la vera storia” di Marco Travaglio, pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 13 di marzo dell’anno 2018: (…). 26 febbraio (dell’anno 2013 n.d.r.). Pd e Pdl perdono le elezioni (-3,5 milioni di voti il primo, -6,5 milioni il secondo) e i 5Stelle le vincono (da 0 a 8,6 milioni di voti). Il M5S è il primo partito in Italia, col 25,5%, poi superato dal Pd d’un soffio grazie agli italiani all’estero. In ogni caso il Porcellum premia le coalizioni e il Pd con Sel arriva al 30 e agguanta il premio di maggioranza (incostituzionale): 478 parlamentari, contro i 242 Pdl e i 163 M5S. Bersani giura: “Mai più larghe intese con B.” e pensa a un suo governo di minoranza Pd-Sel-Centro con l’astensione M5S al Senato (lì gli mancano 17 voti). 16 marzo. Il centrosinistra potrebbe cedere la presidenza di una Camera al M5S, invece se le prende entrambe: Boldrini a Montecitorio e Grasso (grazie ad almeno 13 grillini, allarmati dall’alternativa Schifani) a Palazzo Madama. Ezio Mauro, direttore di Repubblica, dopo anni di demonizzazione dei 5Stelle, auspica un “impegno congiunto di Pd e M5S” per approvare “subito, ora” le leggi che il Pd non ha mai fatto in vent’anni. Ma il Pd, anziché sfidare i 5Stelle su un governo e un programma comune, avvia uno “scouting” sotterraneo contattandoli a uno a uno, ovviamente invano. “Il Pd inizi a rinunciare ai finanziamenti pubblici”, è invece la sfida di Beppe Grillo. I 5Stelle non ritirano i loro 48 milioni, Pd-Pdl&C ne intascano 100. 20 marzo. Napolitano inizia le consultazioni, ma alla rovescia. Non chiede ai partiti che governo vogliono, ma dice loro che governo vuole: le larghe intese Pd-Pdl-Centro, appena bocciate alle urne. Bersani risponde picche e insiste per il governo di minoranza. Il M5S chiede un governo a tempo e di scopo (legge elettorale e poche altre cose) con un premier fuori dai partiti per tornare presto al voto. B., fra una marcia anti-giudici e una condanna, vuole rientrare in gioco con le larghe intese. 22 marzo. Napolitano sabota Bersani con un “preincarico” esplorativo, condizionato a “numeri certi in Senato”. E invoca “larghe intese”. Bersani consulta i partiti, il Cai, il Wwf, il Touring Club, don Ciotti e Saviano e annuncia il suo “dream team”, uno “squadrone”. D’Alema gli dice di farsi da parte e indicare Rodotà come premier-ponte verso il M5S. Invano. 27 marzo. Ecco il famoso streaming fra Bersani-Letta e Crimi-Lombardi. Incomunicabilità totale. Un po’ per l’immaturità dei 5Stelle, appena entrati in Parlamento e terrorizzati dai trabocchetti. Un po’ per la pretesa francamente eccessiva del Pd del loro appoggio esterno e gratuito a un governo con ministri e programma decisi da chi ha i loro stessi voti. Ma, se anche il M5S accettasse di far nascere il governo Bersani con una ventina di uscite strategiche dal Senato, Napolitano direbbe no comunque: vuole numeri certi e precostituiti. Infatti il vicesegretario Pd Enrico Letta gioca un’altra partita con il Colle: lavora con lo zio Gianni a un accordo con B. in cambio di un nuovo capo dello Stato “condiviso”. Violante offre al Pdl una “Convenzione per riformare la Costituzione”. Altri dem cercano voti dalla Lega e dai dissidenti Pdl di Miccichè. Rosy Bindi è sconsolata: “Siamo partiti incontrando Saviano e finiamo a chiedere i voti a Miccichè”. 28 marzo. Bersani sale al Colle a mani vuote, ma chiede l’incarico pieno. Napolitano glielo nega, insiste per il governo con B. e riapre le consultazioni. Stavolta i 5Stelle hanno in tasca i nomi dei possibili premier super partes: Rodotà, Zagrebelsky e Settis. Ma Napolitano li stoppa prima che li dicano: “Niente premier esterni ai partiti”. 30 marzo.

martedì 12 marzo 2019

Sullaprimaoggi. 68 «La paranoia securitaria e la fissazione purificatrice di autarchia».


Tratto da “La politica e il sacro Graal del contratto” di Ezio Mauro, pubblicato sul quotidiano la Repubblica del 9 di marzo 2019: (…). Un Paese si guida e si amministra sulla base di un progetto di sviluppo, di una scommessa responsabile sul futuro, di una visione culturale: non con un presidente del Consiglio ridotto a notaio di un patto diffidente tra soggetti concorrenti, con modelli di società contrapposti e sovrapposti, che si paralizzano a vicenda senza trovare la capacità di esprimere un'idea comune dell'Italia di oggi e soprattutto di domani. Questa è la politica, (…): un'interpretazione del reale, proiettata su un percorso di trasformazione e di crescita, garantendo benessere e libertà nel rispetto dei propri ideali e della storia democratica del Paese. Bisogna purtroppo prendere atto che qui non c'è nulla di tutto questo. Due forze unite soltanto dal comune e sordo istinto di destra, che punta alla distruzione dell'ordine politico costituito, hanno creduto di trasformare in antipolitica il risentimento sociale dopo averlo suscitato e alimentato, senza tradurlo in una cultura del cambiamento capace di generare una proposta in grado di parlare alla nazione nel suo insieme. Il risultato è una febbre permanente in un Paese sbandato, perché continuamente sollecitato ma senza una guida. Con le due forze vincitrici delle elezioni che si trovano prigioniere delle loro bandiere ingigantite a ossessioni e trasformate in incubi, anzi in tabù, incapaci di produrre un disegno comune di governo. Da una parte la paranoia securitaria, che tra ruspe e pistole affonda il Paese nel buio permanente di un'emergenza continua, tenendolo nella paura invece di emanciparlo, nel nome del sovranismo. Dall'altro la fissazione purificatrice di una sorta di autarchia sociale riduttivista, che diffida della crescita, sospetta di ogni progettualità ambiziosa, denuncia qualsiasi "grande opera" come lo strumento di un moderno demonio, smontando l'Italia per poi proteggerla a pezzi con l'assistenzialismo chiamato a sostituire la crescita: in nome del popolo, naturalmente. Il risultato di questa incapacità di sciogliere le distanze e le differenze nel fuoco della politica è la spartizione permanente degli spazi di governo, degli ambiti di propaganda, e ora delle minacce reciproche. Come se i leader dei due partiti alleati non fossero vicepremier dello stesso esecutivo, ma capi separati di un governo dimezzato, di cui ognuno controlla sospettoso la propria metà. Finché in mezzo al vuoto dell'antipolitica spunta il fantasma della Tav, (…). Siamo arrivati al punto che due logiche private, e non politiche, si fronteggiano paralizzandosi: Salvini annuncia che il suo mezzo governo non firmerà il blocco dei bandi per la Tav, mentre Di Maio ribadisce che l'opera "tecnicamente" non sta in piedi. Conte, chiamato a mediare senza avere la forza politica per farlo, butta la palla in angolo, chiedendo aiuto proprio all'Europa derisa e insultata come nemica. Dietro lo scontro si delineano due elettorati distinti, due blocchi di interessi diversi, due prospettive addirittura ostili. In un esecutivo guidato dalla xenofobia leghista che fa precipitare gli alleati nei sondaggi, la disperazione di Di Maio lo riduce a vedere nella Tav l'ultimo vessillo identitario, che non può più ammainare perché sarebbe una resa completa e senza condizioni. La crisi di governo, che i Cinque Stelle imputano a Salvini, significherebbe un fallimento per una forza che uscirebbe dall'esperienza di governo non solo sconfitta ma ridimensionata nei numeri, a vantaggio dell'alleato-concorrente, che ha il forno di destra come ricambio, con Berlusconi e Meloni al posto dei grillini. Ma anche continuare così per Di Maio è un incubo a cinque stelle, perché scopre che il partner di governo è un avversario, che punta a svuotarlo a poco a poco, nell'identità e nei numeri, prima di abbandonarlo come una conchiglia vuota. La verità di cui bisognerebbe prendere atto è un'altra. Il doppio populismo è condannato dal suo stesso suprematismo all'ordalia finale, ma prima ancora - lo sperimentiamo ogni giorno - sta dimostrando di essere un'arma elettorale formidabile, e una pessima forma di governo.

lunedì 11 marzo 2019

Riletture. 70 L’«inconveniente dell'egemonia della razionalità tecnica».


Tratto da “Che ne sarà dell'uomo sotto l'egemonia della tecnica?” di Umberto Galimberti, pubblicato sul settimanale “D” dell’11 di marzo dell’anno 2017: Quella degli strumenti sta diventando l'unica razionalità vigente. Ma allora dove finiscono l'amore e l'amicizia? La "tecnica" non è l'insieme degli strumenti (dall'automobile al telefonino, dal frigorifero al computer) di cui ci serviamo. Questa è piuttosto "tecnologia". La tecnica è quel tipo di razionalità che prevede che sia "razionale" solo e unicamente raggiungere il massimo degli scopi con l'impiego minimo dei mezzi. Un telefonino di ultima generazione di piccole dimensioni che compie molte funzioni è molto più razionale di un telefonino di prima generazione di grandi dimensioni che compiva una sola funzione.

domenica 10 marzo 2019

Riletture. 69 «Tutti mettono in scena la cronaca mondana di se stessi».


Tratto da “I fotografi da cerimonia” di Giacomo Papi, pubblicato sul settimanale “D” del 10 di marzo dell’anno 2012: Uno era zoppo. Si presentava alle sessioni di laurea con la macchina fotografica a tracolla e scattava, discreto come un falco. Un altro aveva il codino. Si vedeva che aveva avuto sogni rock, invece si guadagnava da vivere in provincia con i matrimoni. Alle giostre, da bambino, ce n'era uno grasso. Forse è lo stesso che nel 1971 mi ha fotografato a cavallo di un pony in bianco e nero. Avere una foto triste sul pony è uno dei pochi diritti universali rimasti. Apparivano ovunque i fotografi di professione. D'estate battevano le spiagge, d'inverno immortalavano la buona società in abito da sera a teatro. Qualche giorno dopo gli scatti comparivano nelle vetrine dei foto-ottica. Per più di cent'anni i fotografi hanno avuto la funzione di fissare i momenti importanti della vita - battesimi, comunioni, foto di classe, lunapark, giostre, lauree, funerali - appostandosi nei luoghi in cui gli istante potevano diventare memorabili. All'ultima festa a cui sono stato, i fotografi professionali non erano stati invitati. In compenso c'erano tantissime macchine digitali e un'infinità di telefonini. Era in maschera, tema anni 30-40, c'erano parrucche e cappellini, velette, tirabaci e labbra a cuoricino, baffi posticci e marinaretti, ma si ballavano i Village People e Raffaella Carrà (quando passerà di moda che la discomusic anni 70?) e si fotografava a man bassa. "Come mi annoia chi si diverte", scrisse nel 1955, dopo una festa, Gafyn Llawgoch, l'anarchico gallese, all'amico poeta Kawasaki. All'ultima festa, però, a divertirsi nessuno sembrava nemmeno provarci. Ho osservato due single quarantenni del tutto impermeabili ai maschi che non hanno fatto altro per tutta la sera che fotografarsi a vicenda, oppure insieme, le teste vicine, le facce deformate da un'allegria in posa. Nessuno si baciava, strusciava e corteggiava.

sabato 9 marzo 2019

Sullaprimaoggi. 67 «La de-dollarizzazione è un pericolo mortale».


Tratto da “Dollari & Petrolio: perché l’America azzanna Caracas” di Pino Arlacchi, pubblicato su "il Fatto Quotidiano" del 9 di marzo 2019: (…). Secondo l’ex Direttore dell’ FBI, McCabe, Trump ha dichiarato nel 2017 che era venuto il tempo di muovere guerra al Venezuela. E non per soccorrere il suo popolo affamato dal malgoverno comunista, ma perché “è pieno di tutto quel petrolio e sta nel nostro cortile di casa”. Lo stesso Trump aveva criticato Obama nel 2011 perché si era fatto fregare a non pretendere metà del petrolio libico in cambio della collaborazione degli USA al rovesciamento di Gheddafi. Il fattore petrolio convince più di quello “comunista” per spiegare la foga antivenezuelana dello Zio Sam. Essa si sarebbe scatenata anche contro un governo di colore politico diverso, se risoluto ad esercitare la sua piena sovranità sulle proprie risorse naturali. Ma il quadro va completato mettendo in luce un ulteriore, poco conosciuta, matrice di ostilità: la sfida all’egemonia del dollaro lanciata da Chavez-Maduro proprio all’alba di un processo di de-dollarizzazione dell’economia mondiale. La decisione del Venezuela di evitare l’uso del dollaro nelle compravendite di petrolio, e di creare un sistema di scambi con l’estero, il Sucre, basato su una criptomoneta, il Petro, garantita dal suo petrolio e da altre risorse, ha toccato il nervo scoperto della finanza americana. E ne ha scatenato la collera. Il dollaro, infatti, è l’ultimo pilastro della potenza americana visto che l’altro, il possesso della forza armata più temibile del pianeta, ha fatto fiasco quasi ovunque dal Vietnam in poi ed è diventato fonte di indebitamento e di discordia con alleati e clienti. L’ipersensibilità del capitale finanziario che domina gli Stati Uniti verso ogni minaccia, anche in fieri, al suo sistema nervoso centrale composto di biglietti verdi, è comprensibile. E ciò perché il dollaro - nonostante sembri godere di ottima salute, rimanendo il mezzo di pagamento e il bene rifugio di gran lunga più importante del mondo - è insidiato ogni giorno di più da una sfida che ha iniziato ad animare le relazioni internazionali.

venerdì 8 marzo 2019

Memoriae. 08 Le donne di "Triangle Shirtwaist".

Questa “memoria” risale al martedì dell’8 di marzo dell’anno 2011. A quel tempo il tristissimo fenomeno denominato tempo dopo dai media “femminicidio” non toccava le aberranti dimensioni numeriche di cui oggi siamo annichiliti testimoni. Un imbarbarimento dei costumi di questi tristissimi tempi che ci sono dati da vivere del quale riesce difficile dare una esaustiva spiegazione. Non che a quel tempo di morti violente delle donne non se ne registrassero, ma oggi sembra che la misoginia sia divenuta una terribile malattia sociale, legata probabilmente anche a quella evoluzione dei rapporti sociali e personali avviata e consolidata dalla diffusione del web come mezzo di conoscenza.

giovedì 7 marzo 2019

Lalinguabatte. 74 «Il mondo si è messo su una strada pericolosa».


Profetiche le pagine che “lalinguabatte” oggi propone. Pagine scritte da Francesco Arcucci in “Gli equilibrismi dell’economia tra low cost e alti profitti”, apparso sul settimanale “Affari&Finanza” del 13 di novembre dell’anno 2006. Non si era a quel tempo nella fase più cruenta di quella che era stata definita la “grande crisi”.