Tratto da “Da
Salvini a Gasparri le suppellettili della politica in Tv” di Alberto
Statera (Roma, 16 settembre 1947 – Roma, 22 dicembre 2016), pubblicato sul
settimanale A&F del 21 di marzo dell’anno 2016: Ettore Bernabei, antico e
sanguigno direttore generale della Rai, soleva dire che gli italiani che allora
guardavano la televisione erano venti milioni di teste di cazzo. Sbagliava.
Molti di quei milioni hanno scoperto, sia pure tardivamente, almeno la trappola
di un genere televisivo che via via è andato gonfiandosi come la rana di Fedro
per poi scoppiare: il talk show politico. Genere a basso costo e produttore,
tra l’altro, di utili influenze lottizzatorie ha avuto una fase piuttosto
fortunata per piombare poi in un desolato spettacolo di maschere fisse quanto
improbabili, una compagnia di giro di smodati presenzialisti che produce un
incessante rumore di fondo. (…).

Vedremo se Landini manterrà l’impegno di eludere il presenzialismo
mediatico, ignoto in altri paesi, come la Francia e la Germania. Quanto ai
leader politici non risulta ci sia un qualsiasi spin doctor che gli spieghi
come l’eccessivo presenzialismo televisivo non faccia che allontanare gli
italiani da loro e dalle urne. Se tocca votare quei saltimbanchi che occupano
quotidianamente il video, meglio restarsene a casa. Lo aveva già spiegato anni
fa Umberto Eco nella sua Bustina di minerva sull’Espresso con queste parole:
“Ai telespettatori non importa quel che dicono gli ospiti, ma solo gli scontri
e gli insulti che si lanciano. E se qualcuno ha il coraggio di definire queste
arene Terza Camera non stupisce che nessuno vada più a votare”.
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