Tratto da “Generazioni a confronto”, risposta di Umberto
Galimberti ad un lettore pubblicata sul settimanale “D” del 15 di marzo dell’anno 2008: Scrive
Nietzsche: "Il volere ha bisogno di una meta. E se questa non c'è
preferisce volere il nulla piuttosto che non volere". Eppure bisogna continuare,
non so in che forma, non so in che modo. La generazione di suo padre poteva
permettersi tutta la forza e la poesia che lei le riconosce perché il futuro
era aperto, gonfio di promesse e di belle cose da realizzare. Persino la
povertà non spaventava. La si poteva superare mettendo in gioco tutta la
propria forza e la propria vitalità. Oggi lei vive in una generazione che
Spinoza non avrebbe esitato a definire dalle "passioni tristi", dove
l'indecifrabilità del futuro spegne i progetti che hanno il respiro di un
giorno, e gli interessi la durata di un'emozione. I gesti non diventano stili
di vita e le azioni si esauriscono nei gesti. Lei rimpiange in maniera così
struggente la figura di suo padre perché nessuno dei ragazzi della sua età gli
assomiglia. Quindi alla perdita di una grande figura si aggiunge la desolazione
di non poterla più ritrovare nei giovani della sua età. Nascono allora quelle
malinconie che hanno abbandonato persino il tono del tumulto per frequentare le
stanze della rassegnazione. Senza neppure un accenno di disperazione, perché
non si dà disperazione là dove la speranza si è da tempo congedata. Si inscena
così la propria vita come un esperimento sociale dall'esito incerto. E così le
capiterà di incontrare single misantropi, carrieristi ambiziosi, egocentrici
troppo restii ad aprirsi alle relazioni con gli altri, perché, dopo la
scomparsa delle ideologie e degli ideali ritenuti eterni, i ragazzi della sua
generazione guardano in faccia l'incertezza dell'esistenza e, senza sfuggire a
questo vuoto di significati da fine della storia, scoprono una forma di
ottimismo egocentrico dove tutte le scelte vengono considerate revocabili:
dalla professione al matrimonio, dall'identità sessuale allo stile di vita. Nell'esperienza
ormai assaporata dai giovani della sua generazione circa la loro non incidenza,
neppur minima, di cambiare le regole di una società che non prevede per loro un
futuro desiderabile, come invece lo era per la generazione di suo padre, ognuno
va alla ricerca della nicchia adeguata, dove poter mettere in scena la propria
disarticolata avventura, con quel tanto di cinismo che porta a usare l'altro
piuttosto che stabilire con l'altro una gratificante relazione. Perciò
rifiutano la comunicazione e negano l'accesso al proprio cuore, perché
preferiscono tenerlo ben nascosto al centro di un labirinto, in cui gli altri
possono solo vagare senza alcuna speranza. E tuttavia, anche se l'incertezza
del futuro retroagisce demotivando, non si lasci inghiottire dal passato. Lì
davvero non c'è traccia di futuro.
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