Stefano Rodotà concedeva il 23 di settembre dell’anno
2016 una intervista a Simonetta Fiori del quotidiano la Repubblica, intervista che
appariva su quel quotidiano con il titolo "Solo
la battaglia per la dignità può salvare la democrazia". L’intervista
era stata pensata in occasione del “Festival del Diritto” al quale l’indimenticabile
giurista aveva dato la Sua partecipazione. A quella importante assise Stefano
Rodotà non potette partecipare poiché convalescente. Sarebbe mancato il 23 di
giugno dell’anno 2017. (…). Perché oggi si parla molto di dignità? "È
la parola che evoca direttamente l'umano, il rispetto della persona nella sua
integrità. Ed è ancora più immediata di parole storiche come eguaglianza,
libertà, fraternità. C'è una bellissima frase scritta da Primo Levi: per vivere
occorre un'identità, ossia una dignità. Senza dignità l'identità è povera,
diventa ambigua, può essere manipolata".
Ma la parola rischia di essere contraddetta dai fatti. L'Ue, ad esempio, esordisce nella sua carta dei diritti fondamentali con il termine dignità. Ma sembra dimenticarsene con i migranti, alzando muri.
"Sì, c'è uno scarto fortissimo. Quando
nel Duemila è stato scritto quel documento, nel preambolo si è voluto rimarcare
che l'Europa pone al centro della sua azione la persona. Lo sta facendo? No.
Una contraddizione che incrina il patto cittadini-istituzioni".
Una promessa non adempiuta. "Con
conseguenze molto gravi. Il mancato rispetto della dignità produce un effetto
di delegittimazione. Tu non mi riconosci nella mia pienezza di persona degna e
io non ti riconosco nella tua sovranità istituzionale. Da qui la rabbia sociale
che alimenta il terrorismo e il caos geopolitico. Difendere la dignità è
difendere la democrazia".
La parola dignità ha segnato l'epoca
successiva alla seconda guerra mondiale. "Non è un caso che quando la
Germania ha cercato un termine per reagire alla devastazione nazista ha trovato
proprio dignità. Compare nel primo articolo della costituzione. E compare nella
carta costituzionale dell'altro grande sconfitto, l'Italia".
In Italia la parola acquista una coloritura
più forte. "Sì, le si affianca un attributo fondamentale: dignità sociale.
La dignità è anche nel rapporto con gli altri. Tu non puoi negarla al prossimo
nel momento in cui la rivendichi per te stesso. I costituenti italiani strapparono
la dignità da una condizione di astrattezza, fornendole una solida base
materiale. Prendiamo l'articolo 36: il lavoratore ha diritto a una retribuzione
proporzionata alla qualità e alla quantità del suo lavoro e sufficiente a
garantire a sé e alla sua famiglia un'esistenza dignitosa. Cosa volevano dire i
nostri padri? La dignità non è a costo zero. Esistono diritti che non sono a
costo zero".
L'aver introdotto nella nostra carta il
pareggio di bilancio indebolisce questi diritti? "Non c'è dubbio. L'articolo
81 è un vincolo fortemente restrittivo e non necessario. Giustificato con il
solito ritornello: ce l'ha chiesto l'Europa".
La crisi economica ha giocato contro. "Sì.
Ma ha inciso soprattutto la pretesa di spostare nella sfera economica il luogo dove
si decidono i valori e le regole. Questo ha comportato uno spostamento del
potere normativo: poiché sono io quello che gestisco il danaro e investo, sono
io che detto le regole. Il tramonto dello Stato costituzionale dei
diritti".
La dignità è una parola flessibile, adatta
alla contemporaneità liquida. Come cambia nell'epoca della tecnologia? "Un
primo importante cambiamento riguarda la costruzione stessa dell'identità.
Quando io posso raccogliere una serie di informazioni su una persona, e sono
anche in grado di fare valutazioni prospettiche - se ha fatto questo, farà
anche quest'altra cosa - in sostanza io sto partecipando alla costruzione della
sua identità".
L'identità e dunque la dignità vengono
manipolate. Ma c'è un'altra offesa della dignità che riguarda le persone che
mettono in piazza la propria intimità. Con esiti che possono condurre al
suicidio. "Qui entriamo in un terreno molto complicato. Quando io metto in
circolazione delle informazioni che mi riguardano devo sapere che la rete
determina effetti di moltiplicazione. E quando io ricevo informazioni che
riguardano altre persone dovrei riconoscere una sfera privata che non posso
manipolare".
Ma come si tutela la dignità dei sentimenti
in rete? "La prima cosa che mi viene da dire: tieniteli per te. Ma il
problema dei sentimenti è un problema di relazione: sono in gioco i miei
rapporti con un'altra persona, con un gruppo. E allora bisogna porre dei
paletti: prima di far circolare contenuti che riguardano altri devo
preoccuparmi che ci siano il consenso o la consapevolezza di quelle
persone".
Un altro versante riguarda la dignità del
morire. In Italia non esiste ancora una legge sul testamento biologico. “E per
fortuna, oserei dire. La legge prospettata era molto restrittiva, rispetto a
una coraggiosa sentenza della Corte Costituzionale che nel 2008 riconobbe il
diritto del governo del corpo esercitato in piena autonomia. Il legislatore ha
il vizio o la propensione a impadronirsi della vita delle persone. In Italia
abbiamo diffidenza verso le decisioni autonome: la libertà non è vista come
bene da salvaguardare ma rischio da tenere sotto controllo".
Dalle tecnoscienze alla bioetica, dalla
privacy ai diritti d'amore, dignità è la parola chiave del suo impegno. "Sì,
ma l'ho scoperto piano piano: la dignità è un modo antropologico di vivere. Se
io riconosco a una persona dignità, non posso comportarmi come se questa
consapevolezza non l'avessi mai acquisita".
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