Tratto da “Non
diamo a Dio la colpa per i nostri peccati” di Umberto Galimberti,
pubblicato sul settimanale D del 19 di settembre dell’anno 2015: È
sempre degli uomini, la responsabilità di scegliere il bene. E obbedire alla
propria fede a costo di fare il male, significa tradirla. (…). ...talvolta la fede
può distruggere la morale, alla base della quale c'è sempre e in ogni caso
l'assunzione di responsabilità nei confronti delle proprie azioni e/o
omissioni. Ma per capirlo occorre desacralizzare la morale e intenderla per
quello che è: un sistema di regole che una comunità si dà per ridurre al
massimo la conflittualità.
Accade però che, per funzionare, una morale ha bisogno di essere condivisa da tutti i membri della comunità e, per ottenere questo scopo, quando le comunità erano primitive e non in grado di darsi da sé norme da tutti condivise, le religioni hanno fatto credere che queste norme dipendessero dalla volontà di Dio, che naturalmente premiava chi le osservava e puniva chi le trasgrediva. Così accadde per tutti i popoli della terra. E, sotto questo profilo, dobbiamo dar atto alle religioni di aver fatto un buon lavoro nell'educazione dell'umanità, portandola da uno stadio selvaggio a uno stadio quasi-umano. Ma, come ci racconta Platone nel Politico, un bel giorno, a seguito di un grande capovolgimento (meghíste metabolé) che ha invertito la direzione degli astri, Dio abbandonò il timone del mondo e gli uomini, lasciati soli, dovettero darsi delle regole di convivenza (la morale) garantite, insieme alle altre tecniche utili per sopravvivere, da quella tecnica regia (basiliké téchne) che tutte le coordina e che ha per nome "politica", onde garantire il governo della comunità. Pur tra mille difficoltà l'Occidente ha gradatamente assimilato la lezione di Platone desacralizzando la morale e separandola dal volere di Dio. In questo modo ha tolto Dio dalla contraddizione di non riuscire a conciliare la sua infinita bontà con il male del mondo da lui creato, e ha restituito agli uomini la responsabilità delle loro azioni quando conseguono o trasgrediscono le regole morali che essi stessi si sono dati. Se invece per fede attribuiamo tutto ciò che accade alla volontà di Dio, non ci salveremo mai non solo da un'irresponsabilità generalizzata, ma anche dalle conseguenze tragiche delle "guerre sante". Infatti, anche se in verità esse avvengono per interessi economici, territoriali o di espansione della propria potenza, queste guerre non possono trovare alcuna mediazione né diplomatica né politica, perché, in nome di Dio, entrano in gioco identità di popoli, appartenenze, culture, razze e fedi. Perché quando Dio scende in terra è subito apocalisse, come oggi assistiamo nella contrapposizione tra mondo mussulmano e mondo cristiano. Dio, infatti, è il fondamento di ogni dimensione simbolica, e l'uso della ragione è troppo debole contro la potenza dei simboli che infiammano i cuori e ottenebrano le menti, attorcigliando la storia in una spirale i cui risvolti tragici nessuno fatica a immaginare. Se non vogliamo dar ragione a Nietzsche che annuncia la "morte di Dio", accogliamone almeno la benefica intenzione.
Accade però che, per funzionare, una morale ha bisogno di essere condivisa da tutti i membri della comunità e, per ottenere questo scopo, quando le comunità erano primitive e non in grado di darsi da sé norme da tutti condivise, le religioni hanno fatto credere che queste norme dipendessero dalla volontà di Dio, che naturalmente premiava chi le osservava e puniva chi le trasgrediva. Così accadde per tutti i popoli della terra. E, sotto questo profilo, dobbiamo dar atto alle religioni di aver fatto un buon lavoro nell'educazione dell'umanità, portandola da uno stadio selvaggio a uno stadio quasi-umano. Ma, come ci racconta Platone nel Politico, un bel giorno, a seguito di un grande capovolgimento (meghíste metabolé) che ha invertito la direzione degli astri, Dio abbandonò il timone del mondo e gli uomini, lasciati soli, dovettero darsi delle regole di convivenza (la morale) garantite, insieme alle altre tecniche utili per sopravvivere, da quella tecnica regia (basiliké téchne) che tutte le coordina e che ha per nome "politica", onde garantire il governo della comunità. Pur tra mille difficoltà l'Occidente ha gradatamente assimilato la lezione di Platone desacralizzando la morale e separandola dal volere di Dio. In questo modo ha tolto Dio dalla contraddizione di non riuscire a conciliare la sua infinita bontà con il male del mondo da lui creato, e ha restituito agli uomini la responsabilità delle loro azioni quando conseguono o trasgrediscono le regole morali che essi stessi si sono dati. Se invece per fede attribuiamo tutto ciò che accade alla volontà di Dio, non ci salveremo mai non solo da un'irresponsabilità generalizzata, ma anche dalle conseguenze tragiche delle "guerre sante". Infatti, anche se in verità esse avvengono per interessi economici, territoriali o di espansione della propria potenza, queste guerre non possono trovare alcuna mediazione né diplomatica né politica, perché, in nome di Dio, entrano in gioco identità di popoli, appartenenze, culture, razze e fedi. Perché quando Dio scende in terra è subito apocalisse, come oggi assistiamo nella contrapposizione tra mondo mussulmano e mondo cristiano. Dio, infatti, è il fondamento di ogni dimensione simbolica, e l'uso della ragione è troppo debole contro la potenza dei simboli che infiammano i cuori e ottenebrano le menti, attorcigliando la storia in una spirale i cui risvolti tragici nessuno fatica a immaginare. Se non vogliamo dar ragione a Nietzsche che annuncia la "morte di Dio", accogliamone almeno la benefica intenzione.
Carissimo Aldo, questo post mi ha regalato una valida opportunità di riflessione e di questo, ancora una volta, ti ringrazio. Sicuramente non possiamo dare a nessuno la colpa delle nostre trasgressioni, perché siamo liberi di scegliere, quindi responsabili delle nostre azioni. Ogni aspetto dell'agire, pertanto, si riduce a un atto di volontà. Anche l'intero ordinamento sociale, con le sue regole e le sue istituzioni, è costituito sul presupposto che l'individuo sia libero di scegliere, quindi responsabile delle proprie azioni che, se giuste, sono state illuminate dalla voce della coscienza. La coscienza morale serve all'uomo per scoprire ciò che è giusto e buono fare nella realtà concreta della vita e serve soprattutto per compiere scelte che gli permettano di rimanere in pace con se stesso. La coscienza retta è la massima sicurezza per essere fedeli alla vita morale. Agnese A.
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