Il “fatto” politico del giorno è, ovviamente, uno
solo: l’abbandono del Pd da parte dell’uomo di Rignano sull’Arno e della sua
schiatta. Me ne dava notizia stamane - come notizia allarmante - M. C. Le ho
potuto solamente rispondere: “ora siamo pari. Arrivato lui nel PD ne sono
uscito io”. Personalmente un pareggio, per l’appunto. Spariscono così dalle
cronache e Conte e Salvini. L’uomo ha riconquistato le televisioni e le prime
pagine. Continua a fare il suo mestieraccio. Quale? L’intrattenitore. Di quel
mestierante ne ha tratteggiato un’immagine esaustiva Luca Bottura in “Matteo Renzi intrattenitore completo”
sul settimanale L’Espresso del 28 di ottobre dell’anno 2018: “Un
pensiero a chi pensa che il problema della sinistra è il mio carattere”
(immagini di folla plaudente). Non fosse per il congiuntivo dalemiano, e per
quella parola sostanzialmente estinta, sinistra, sarebbe difficile distinguere
questo tweet da uno di Salvini. Mancano solo i bacioni. Invece, naturalmente, è
figlio del senatore semplice di Rignano. Il cui storytelling, replicato a
valanga dai fan social, che si muovono a stormi proprio come quelli
governativi, è esattamente questo: criticavate Renzi solo perché non vi stava
simpatico, ora beccatevi i giallobruni. Personalmente trovo Matteo Renzi
simpaticissimo. Ancor di più da quando si è messo a fare il mio mestiere, cioè
compitare battute più o meno sapide (“più” sono le sue, “meno” sono le mie) che
illuminano questa surreale notte della Seconda Repubblica. Il talk show della
Leopolda, a proposito di recensioni, era perfetto: scenografia, tempi, ospiti.
Insulti, anche. Testi comici, pure. Scritti, recitati, isolati in brevi clip di
ritwittare a nastro dal proprio account ufficiale: “Come si fa a criticare la
Francia proprio nell’anno in cui hanno vinto i Mondiali e noi non ci siamo
neanche qualificati?”. Un trampolino di lancio che verosimilmente porterà, nel
giro di qualche mese, alla resurrezione politica del cosiddetto Giglio magico.
Perché l’italiano, si sa, è un popolo fatto a mareggiata. Prima o poi rifluisce
alla ricerca di rive conosciute. Specie se, ed è il caso in oggetto, la spiaggia
si è allungata di chilometri per effetto dell’imminente tsunami provocato dal
circo Conte. Proprio per questo, perché Renzi è simpatico, e perché dice una
cosa platealmente non vera (non si perde il 22 per cento per colpa del
carattere: e chi sei? Andrej Cikatilo?) che mi pregerei, ove concesso, di
spiegare perché alcuni di noi - e manco so chi siamo noi, giuro - covano nel
2018 alcune perplessità che erano tali anche nel 2017. E nel 2016. E nel 2015.
Più o meno quando qualcuno cominciò a significare che il Pd andava a sbattere,
molto prima che accadesse e che gli incidentati dessero la colpa ai sensori di
parcheggio. Del linguaggio ho scritto. Gufi e rosiconi è un copyright renziano.
Salvini l’ha affinato a colpi di clava. Ma presentarsi come l’alternativa
sorridente al cupore degli altri e additare i diversi pareri come frutto di
invidia o della volontà di menar gramo è: 1) Diseducativo. 2) Porta acqua al
mulino dell’aggressività altrui. Dei temi affrontati aggiungo ora.
Le reprimende ai giornalisti, i muscoli mostrati all’Europa (indicata come il mostro che troppo prendeva e nulla restituiva), l’insistenza sullo Stato invadente - se la rottamazione delle cartelle non volete chiamarla condono, chiamatela sanatoria: ma quello è - il battere sui temi della sicurezza ogni 2x3 sono tutti stratagemmi difensivi, denotano subalternità culturale, seminano nel campo avversario. Dentro al quale hanno raccolto i postfascisti padani e i criptoautoritari del vaffanculo, che restano incompetenti come agli esordi ma hanno preso dimestichezza al potere, basti vedere Crimi in edizione Starace contro i giornali, e sono molto più pericolosi. Ma soprattutto è la ricerca del consenso nel breve che fotte - come credo dicesse Schopenhauer - i democratici. Se uno statista lavora per le prossime generazioni e un politico per le prossime elezioni, l’attuale popolo eletto (tutta: questo è il dramma) lavora per il prossimo like. Si cerca di recuperare l’adesione spicciola invece di lavorare per quella futura. Si vive, questo fa Renzi, in una gabbia competitiva che non solo obbliga a inseguire le prodezze social altrui (leggetevi i profili dei deputati e senatori Pd, cristosanto: la Ferragni è meno vanitosa) ma addirittura quelle del proprio partito. Martina presenta un Def alternativo? Renzi e Padoan mostrano il loro. Calenda lancia un fronte civico? Renzi vara il suo. Zingaretti si palesa? Fate entrare Minniti! Il tutto in un dentro e fuori dal Partito Democratico nel quale è previsto che la traversata nel deserto se la sciroppi il segretario pro tempore mentre quel che resta dell’opposizione, immobile, resta seduta sulla riva del fiume in attesa di veder passare il proprio cadavere. Per motivi di lavoro sono appena stato in Venezuela. Là ci sono già due parlamenti, una moneta sovrana con l’inflazione a scatto quotidiano, un populismo realizzato che fino all’altroieri i Cinquestelle indicavano come modello. Sembrava di stare, lì sì, nel “Ritorno al Futuro” dell’Italia di giovedì prossimo. Per evitare il quale, probabilmente, basterebbe che ognuno ricominciasse a fare il proprio: i simpatici provano a fare i simpatici, i politici si rimettono a fare politica. Ma il tristo personaggio aveva di già allarmato altri studiosi, commentatori ed opinionisti vari. Ritrovo nel mio archivio un brevissimo colloquio di Giampiero Calapà con Curzio Maltese - “Distrugge la Rai e il Paese, è peggio di Berlusconi” – pubblicato il 5 di agosto dell’anno 2015 su “il Fatto Quotidiano”: “No, non ci posso credere… ma sono davvero questi i nomi? Stai scherzando? (…). La televisione di Stato è il vero specchio del costume politico italiano, da sempre. Non abbiamo mai toccato il fondo così”.
Le reprimende ai giornalisti, i muscoli mostrati all’Europa (indicata come il mostro che troppo prendeva e nulla restituiva), l’insistenza sullo Stato invadente - se la rottamazione delle cartelle non volete chiamarla condono, chiamatela sanatoria: ma quello è - il battere sui temi della sicurezza ogni 2x3 sono tutti stratagemmi difensivi, denotano subalternità culturale, seminano nel campo avversario. Dentro al quale hanno raccolto i postfascisti padani e i criptoautoritari del vaffanculo, che restano incompetenti come agli esordi ma hanno preso dimestichezza al potere, basti vedere Crimi in edizione Starace contro i giornali, e sono molto più pericolosi. Ma soprattutto è la ricerca del consenso nel breve che fotte - come credo dicesse Schopenhauer - i democratici. Se uno statista lavora per le prossime generazioni e un politico per le prossime elezioni, l’attuale popolo eletto (tutta: questo è il dramma) lavora per il prossimo like. Si cerca di recuperare l’adesione spicciola invece di lavorare per quella futura. Si vive, questo fa Renzi, in una gabbia competitiva che non solo obbliga a inseguire le prodezze social altrui (leggetevi i profili dei deputati e senatori Pd, cristosanto: la Ferragni è meno vanitosa) ma addirittura quelle del proprio partito. Martina presenta un Def alternativo? Renzi e Padoan mostrano il loro. Calenda lancia un fronte civico? Renzi vara il suo. Zingaretti si palesa? Fate entrare Minniti! Il tutto in un dentro e fuori dal Partito Democratico nel quale è previsto che la traversata nel deserto se la sciroppi il segretario pro tempore mentre quel che resta dell’opposizione, immobile, resta seduta sulla riva del fiume in attesa di veder passare il proprio cadavere. Per motivi di lavoro sono appena stato in Venezuela. Là ci sono già due parlamenti, una moneta sovrana con l’inflazione a scatto quotidiano, un populismo realizzato che fino all’altroieri i Cinquestelle indicavano come modello. Sembrava di stare, lì sì, nel “Ritorno al Futuro” dell’Italia di giovedì prossimo. Per evitare il quale, probabilmente, basterebbe che ognuno ricominciasse a fare il proprio: i simpatici provano a fare i simpatici, i politici si rimettono a fare politica. Ma il tristo personaggio aveva di già allarmato altri studiosi, commentatori ed opinionisti vari. Ritrovo nel mio archivio un brevissimo colloquio di Giampiero Calapà con Curzio Maltese - “Distrugge la Rai e il Paese, è peggio di Berlusconi” – pubblicato il 5 di agosto dell’anno 2015 su “il Fatto Quotidiano”: “No, non ci posso credere… ma sono davvero questi i nomi? Stai scherzando? (…). La televisione di Stato è il vero specchio del costume politico italiano, da sempre. Non abbiamo mai toccato il fondo così”.
Maltese, sì, i nomi sono proprio questi:
Siddi, Diaconale, Guelfi, Messa, Mazzuca,
Borioni e… Freccero. “L’unica cosa positiva è che Sel e Movimento cinque
stelle abbiano votato il nome di un grande professionista. Certo mi chiedo di
cosa potrà discutere al tavolo con questi altri… credo che si dimetterà molto
presto, anche se lui magari adesso dirà il contrario”.
Insomma, questo consiglio di amministrazione non convince neppure lei?
“A parte Freccero, appunto, direi che è un Cda provinciale, Renzi rappresenta
una forma provinciale e meno competente del berlusconismo”.
Siamo al “si stava meglio con Berlusconi”? “Questi
nomi, voglio dire, sono il ritratto definitivo del renzismo. Siamo governati da
una persona che dal punto di vista politico dimostra cento anni, altro che
rottamazione. È talmente vecchio che non durerà, perché anche nel male bisogna
avere spessore, da Mussolini ad Andreotti fino a Berlusconi. Renzi non ha un
briciolo di spessore, è il nulla”.
Maltese, è molto duro, come crede che finirà
questa televisione pubblica? “È tristissimo perché in tutta Europa si discute
su come riformare il servizio pubblico televisivo e si parla di contenuti. In
Italia ci avvitiamo sempre sulle poltrone e il risultato in questo caso è il
provincialismo spinto di Renzi. Che le devo dire? Distruggere un’azienda
pubblica in questo modo… Nemmeno Berlusconi ci è riuscito, pur impegnandosi, ma
ha capito che anche la Rai tornava utile a un certo punto. La rottamazione
tanto propagandata da Renzi è finita per essere nient’altro che una
lottizzazione senza vergogna. Vede, Giorgio Bocca mi diceva sempre che
Mussolini aveva cominciato cooptando i migliori al regime. Questo mette i
peggiori nei posti che contano. (…).
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