Tratto da “Sapore
di mare, poesia di vizi e virtù vacanziere nell’Italia senza politica” di
Nando Dalla Chiesa, pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 12 di agosto 2019: (…). Calabria
jonica senza fama e senza gloria, l’ideale per conservare azzurro il mare.
Dove incantano i mutamenti fisici e di ruolo; e dove stordiscono uscite di scena e nuovi ingressi, ligi all’inflessibile cerimoniale della natura umana. Qui si esalta lo spettacolo della vita; più difficile da intravedere in città, se non attraverso il vicino di casa, il giornalaio o il panettiere. Non c’è più l’anziana e gentile signora che all’alba si portava il cagnolino bianco a mare. Lei se ne è andata presto. Zuppa di dolore silenzioso per il figlio assessore ucciso a Napoli dalle Brigate rosse. C’è invece Socrates. Era il suo nome di battaglia nei tornei estivi. Riccioluto e barbuto, assomigliava all’asso brasiliano esploso ai mondiali dell’82. Spiccava per forza e per palleggio tra i villeggianti con la passione del calcio, focoso virgulto della civiltà locale. Oggi che assomiglia a Checco Zalone si chiama Nino e quel soprannome lo ricordano in pochi. Come pure che fosse focoso, vedendolo paziente e premuroso nonno alla guida di un terzetto di nipotini. Non si vede Amancio, abusivo soprannome attinto dalle glorie del Real, ma tutti dicono che vi sia, anche lui al riparo di sciami di bambini. Ci sono ragazze diciottenni di allora diventate signore mature con figlio all’università. Ragazzi che hanno rilevato lo studio professionale di un padre inorgoglito, o partiti a frotte per regioni lontane, perché “qui il lavoro non l’avrebbero mai trovato”. La bimbina che hai vezzeggiato in carrozzina è ora una signora con il fisico da indossatrice, mentre il bimbo monello che si intrufolava dappertutto ha ora il suo rispettabile fisico d’atleta e il suo ancor più rispettabile lavoro e tanti bimbi monelli a propria volta. Guardi, riannodi, interroghi e ti interroghi. Case un giorno piene di vita sono ora vuote e abbandonate, i discendenti avendo preferito luoghi di fama scintillante. Non c’è più “il preside” né la moglie affabile e generosa. E non c’è più Fabrizio che con le sue barzellette teneva insieme famiglie intere, dai quattro agli ottant’anni, fino alle tre di notte. O il giovane magistrato che mi confidò un giorno di non avere avuto cuore di far passare a un concorso orale un preparatissimo figlio di Vito Ciancimino pensando all’uso che costui avrebbe fatto della giustizia. Assenze. Ma il mondo che qui si ritrova riproduce ugualmente le famiglie e i legami di allora, semplicemente facendo rimbalzare i cognomi da una generazione all’altra. Anche Alfonso, l’imbattibile portiere, è diventato nonno, e il cognome è già disceso di due scalini. Carlo e Simona, famosi per i due piccoli figli discoli, hanno ora un nipotino color ebano -l’amore è un’avventura che sfida gli oceani- che su tutti i coetanei torreggia. Uguali sono le città di provenienza. Catanzaro, Napoli, Benevento, Roma, Milano; e sempre di più Milano, dove trovano stipendi e professioni i ragazzi di qui dopo l’università. Poi le novità, come il signore che alle sette del mattino deflagra via cellulare dal balcone con l’amante confidandole di sentirsi forte come un cavallo (segue nitrito esemplificatore). O il ristorante-bar sulla spiaggia, con ragazzi che si fanno la loro breve stagione lavorando dal mattino a tarda sera. Mentre resta il bar davanti alla spiaggia, ora ci arrivano i giornali, compresi quelli sportivi. Perché nel mulinare dei decenni si parla ancora di calcio mercato. Non più di De Mita e di Craxi, e nemmeno di Enrico Berlinguer, che se n’era appena andato nel modo che sappiamo. E nemmeno di Berlusconi, un istante solo ne ho sentito il nome al bar. Nessun politico smuove sentimenti veri. Si colgono semmai discorsi di pietà per i migranti che arrivano in barcone. Pietà umana, che di questi tempi vale oro. Nel rollio del mondo, resta fisso il sole del tramonto. Giù oltre la spiaggia. Stesso luogo, stessa ora. Getta rosso possente sui declivi di sabbia dove si gioca a pallavolo. E dal mare le braccia levate al cielo dei giovanissimi giocatori paiono in controluce quelle di una storica copertina di Lucio Battisti, “Il mio canto libero”. Qualcuno rigiri “Sapore di sale”, per favore. Per restituirci come per incantesimo la vita che scorre.
Dove incantano i mutamenti fisici e di ruolo; e dove stordiscono uscite di scena e nuovi ingressi, ligi all’inflessibile cerimoniale della natura umana. Qui si esalta lo spettacolo della vita; più difficile da intravedere in città, se non attraverso il vicino di casa, il giornalaio o il panettiere. Non c’è più l’anziana e gentile signora che all’alba si portava il cagnolino bianco a mare. Lei se ne è andata presto. Zuppa di dolore silenzioso per il figlio assessore ucciso a Napoli dalle Brigate rosse. C’è invece Socrates. Era il suo nome di battaglia nei tornei estivi. Riccioluto e barbuto, assomigliava all’asso brasiliano esploso ai mondiali dell’82. Spiccava per forza e per palleggio tra i villeggianti con la passione del calcio, focoso virgulto della civiltà locale. Oggi che assomiglia a Checco Zalone si chiama Nino e quel soprannome lo ricordano in pochi. Come pure che fosse focoso, vedendolo paziente e premuroso nonno alla guida di un terzetto di nipotini. Non si vede Amancio, abusivo soprannome attinto dalle glorie del Real, ma tutti dicono che vi sia, anche lui al riparo di sciami di bambini. Ci sono ragazze diciottenni di allora diventate signore mature con figlio all’università. Ragazzi che hanno rilevato lo studio professionale di un padre inorgoglito, o partiti a frotte per regioni lontane, perché “qui il lavoro non l’avrebbero mai trovato”. La bimbina che hai vezzeggiato in carrozzina è ora una signora con il fisico da indossatrice, mentre il bimbo monello che si intrufolava dappertutto ha ora il suo rispettabile fisico d’atleta e il suo ancor più rispettabile lavoro e tanti bimbi monelli a propria volta. Guardi, riannodi, interroghi e ti interroghi. Case un giorno piene di vita sono ora vuote e abbandonate, i discendenti avendo preferito luoghi di fama scintillante. Non c’è più “il preside” né la moglie affabile e generosa. E non c’è più Fabrizio che con le sue barzellette teneva insieme famiglie intere, dai quattro agli ottant’anni, fino alle tre di notte. O il giovane magistrato che mi confidò un giorno di non avere avuto cuore di far passare a un concorso orale un preparatissimo figlio di Vito Ciancimino pensando all’uso che costui avrebbe fatto della giustizia. Assenze. Ma il mondo che qui si ritrova riproduce ugualmente le famiglie e i legami di allora, semplicemente facendo rimbalzare i cognomi da una generazione all’altra. Anche Alfonso, l’imbattibile portiere, è diventato nonno, e il cognome è già disceso di due scalini. Carlo e Simona, famosi per i due piccoli figli discoli, hanno ora un nipotino color ebano -l’amore è un’avventura che sfida gli oceani- che su tutti i coetanei torreggia. Uguali sono le città di provenienza. Catanzaro, Napoli, Benevento, Roma, Milano; e sempre di più Milano, dove trovano stipendi e professioni i ragazzi di qui dopo l’università. Poi le novità, come il signore che alle sette del mattino deflagra via cellulare dal balcone con l’amante confidandole di sentirsi forte come un cavallo (segue nitrito esemplificatore). O il ristorante-bar sulla spiaggia, con ragazzi che si fanno la loro breve stagione lavorando dal mattino a tarda sera. Mentre resta il bar davanti alla spiaggia, ora ci arrivano i giornali, compresi quelli sportivi. Perché nel mulinare dei decenni si parla ancora di calcio mercato. Non più di De Mita e di Craxi, e nemmeno di Enrico Berlinguer, che se n’era appena andato nel modo che sappiamo. E nemmeno di Berlusconi, un istante solo ne ho sentito il nome al bar. Nessun politico smuove sentimenti veri. Si colgono semmai discorsi di pietà per i migranti che arrivano in barcone. Pietà umana, che di questi tempi vale oro. Nel rollio del mondo, resta fisso il sole del tramonto. Giù oltre la spiaggia. Stesso luogo, stessa ora. Getta rosso possente sui declivi di sabbia dove si gioca a pallavolo. E dal mare le braccia levate al cielo dei giovanissimi giocatori paiono in controluce quelle di una storica copertina di Lucio Battisti, “Il mio canto libero”. Qualcuno rigiri “Sapore di sale”, per favore. Per restituirci come per incantesimo la vita che scorre.
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