Tratto da “Come si impara l'educazione sentimentale?” di Umberto Galimberti,
pubblicato sul settimanale D del 31 di agosto dell’anno 2013: Dalla
notte dei tempi sono stati i miti a insegnare i sentimenti. Oggi può essere la
letteratura, se la scuola si fa carico davvero del più delicato dei suoi
compiti.
"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
sabato 31 agosto 2019
venerdì 30 agosto 2019
Cronachebarbare. 68 Quel “rieccolo” che stroppia assai.
Sulla prima pagina del quotidiano la Repubblica del
28 di agosto campeggia la figura del “presidente del consiglio” incaricato
affiancata da un altisonante titolone: “Rieccolo”.
Una scelta avventata del titolista del quotidiano. Poiché quel “rieccolo”
era stato puranco utilizzato sul settimanale L’Espresso – della stessa casa
madre del quotidiano - qualche anno addietro per un altro personaggio della
vita politica del bel paese: l’uomo di Arcore. Aver affiancato i due personaggi
è stata una scelta che certamente non rende bene per l’immagine di quel
quotidiano e della casa editrice nel suo complesso.
giovedì 29 agosto 2019
Terzapagina. 97 «Noi umani ci siamo evoluti sviluppando empatia verso la vita e le sue forme più indifese».
Tratto da “Aiutiamoli
a casa loro”, intervista di Antonello Guerrera a David Attenborough –
naturalista e divulgatore scientifico – pubblicata sul settimanale Robinson del
17 di agosto 2019: (…). …ha tenuto (…) un discorso molto importante, sulla piaga
ambientale della plastica. "È un tema per me cruciale e quando ho visto
tutte queste persone rinunciare a un milione di bottigliette mi sono sentito di
dire... grazie! È la risposta a quelli che dicono che non possiamo fare nulla.
Possiamo, invece. La plastica ha cambiato il mondo negli ultimi 40-50 anni, in
peggio. Io ne parlavo, inascoltato, già circa due decenni fa nella serie Blue
Planet. Ora si sono svegliati tutti".
La plastica è il suo spauracchio quando è in
giro per il mondo? "Sì. È mostruoso trovarne in ogni oceano, anche
nell'isola più remota e immacolata, come nella Georgia del Sud, poco a nord
dell'Antartide. Ma purtroppo il consumo e il turismo di massa hanno queste
gravi conseguenze: ricordo quando nel 1956 andai in Indonesia a filmare
l'enorme lucertola "Drago di Komodo", sull'omonima isola. Ci vollero
settimane per sbarcare e io e l'operatore sparimmo nella foresta per la preoccupazione
di tutti. Oggi invece è presa d'assalto dai turisti".
È la plastica la più grande minaccia al
genere umano? "A lungo termine direi il sovrappopolamento del mondo, cui
bisogna porre subito rimedio controllando le nascite, soprattutto in Africa e
Asia, altrimenti la natura si ribellerà con carestie e reazioni distruttive. Ma
la minaccia più urgente è la crescita della temperatura terrestre. L'aumento di
due gradi non sarebbe così grave se ciò avvenisse in 150, 200 anni: ci
adatteremmo. Ma in venti, trent'anni le conseguenze saranno gravissime, dalla
barriera corallina ai giganteschi flussi migratori di persone in fuga dalle
aree colpite. Mentre gli oceani cresceranno e gran parte delle grandi città si
troverà al livello del mare".
mercoledì 28 agosto 2019
Letturedeigiornipassati. 36 «Cantami, o Diva, del pelide Achille l'ira funesta».
«Cantami, o Diva, del Pelìde
Achille l'ira funesta che infiniti addusse lutti agli Achei, molte anzi tempo
all'Orco generose travolse alme d'eroi, e di cani e d'augelli orrido pasto lor
salme abbandonò (così di Giove l'alto consiglio s'adempìa), da quando
primamente disgiunse aspra contesa il re de' prodi Atride e il divo Achille». Tratto da “L’ira non sempre è funesta”
di Umberto Galimberti, pubblicato sul settimanale “D” del 28 di agosto
dell’anno 2010: Scrive Aristotele: «Adirarsi è facile, ma non è assolutamente facile e
non è da tutti adirarsi con la persona giusta, nella misura giusta, nel modo
giusto, nel momento giusto e per la causa giusta ».
martedì 27 agosto 2019
Letturedeigiornipassati. 35 «Camminare non è più una condizione connaturata all'uomo».
Tratto da “Camminare” di Giacomo Papi, pubblicato sul settimanale “D” del 27
di agosto dell’anno 2011: (…). Sono almeno dieci anni che leggiamo
elogi della lentezza, lodi della deambulazione e inviti al pellegrinaggio.
Sembra una moda. In realtà è il suo opposto. È l'affermazione che camminare non
è più una condizione connaturata all'uomo, ma un'attività da preservare.
Camminare è come il panda, il plantigrade in bianco e nero lento come un
burocrate bulgaro e obeso come un sottoproletario americano. Eppure, guardo la
gente sfilare in passeggiata d'estate con carrozzine, coni gelato, gonnellini e
bermuda. Osservo movenze contratte, polpacci improbabili, andature spavalde, impaurite
e ingobbite, passi pesanti o lievi, piedi che sprofondano, altri che
rimbalzano, e penso - con Truffaut - che le gambe sono davvero compassi che
misurano il mondo e se dopo dieci minuti di salita a piedi, ti volti a guardare
il punto da cui eri partito, ti sorprendi a pensare quanto sia facile andare
lontano e che sarebbe bello non fermarsi. Passare la vita in cammino. (…). …ho
fatto un po' di calcoli. La velocità media di un uomo in cammino varia tra i
3,6 e i 5,4 km
all'ora. Ipotizziamo, dunque, un'andatura media di 4 km orari per 6 ore al giorno
e 300 giorni all'anno. Ebbene, se in questo esatto momento alzassimo il culo
dalla sedia e iniziassimo a camminare, tra un anno avremmo percorso 7.200 chilometri,
ci saremmo lasciati alle spalle Ulan Bator in Mongolia (6.929 km) e staremmo
raggiungendo Pechino (8.091
km). La Terra è piccola e i piedi vanno. Basterebbero
cinque anni di passeggiata all'Equatore per tornare al punto di partenza. (…).
Vado spesso in campagna in una casa che dista cinquanta metri da un sentiero
sterrato su cui, qualche anno fa, sono apparsi i primi sporadici camminatori,
evidentemente provenienti dal nord Europa: anziani sassoni per di più, vecchi
visigoti, qualche ostrogoto, "un unno o due". A volte qualcuno di
loro si fermava per chiedere informazioni: "Qvesta è strata per
Roma?", "Excuse me, sir, is it a long way to Rome?".
lunedì 26 agosto 2019
Letturedeigiornipassati. 34 «Le Ong sono fatte di persone così».
C’era stata la “Diciotti”. Con furibonde polemiche.
Con proclami tonitruanti del Capitano di “breve corso” (politico, speriamo, sta
a noi tutti che lo sia). E c’era poi “mia sorella faceva il liceo classico” che
è l’incipit del testo “C’è qualcuno a
casa mia che li aiuta a casa loro” di Valeria Parrella - scrittrice -,
pubblicato sul settimanale L’Espresso del 26 di agosto dell’anno 2018: (…). Mia
sorella faceva il liceo classico, quando, durante il terzo anno, cominciò a
manifestare un disagio crescente. Andava abbastanza bene a scuola, così non
posso dire che fosse per colpa del greco antico: più che altro lei avvertiva
una discrepanza troppo evidente tra ciò che sentiva nell’anima e ciò che
metteva in atto nella vita, tra ciò che studiava (la filosofia, i tragici) e
ciò che accadeva intorno a lei. Credo, eh (sulle mie interpretazioni non mi
parlerà per sei mesi buoni). Fatto sta che in maniera un po’ rocambolesca,
visto che si era agli albori di internet, scoprì che avrebbe potuto finire
l’ultimo biennio in un college della Croce rossa (Red Cross Nordic si chiamava,
o giù di lì. (…). Così a poco più di quindici anni se ne andò per due anni a
studiare (con una borsa di studio: i nostri genitori non si sarebbero mai
potuti permettere una retta) in un posto dove c’erano 200 ragazzi che venivano
da 80 paesi del mondo diversi. Al ritorno si iscrisse all’Università Orientale
di Napoli, ma anche qui, dopo qualche anno, cominciò a manifestarsi in lei un
disagio crescente. Poiché aveva voti altissimi che prendeva con la facilità di
chi scorre nel grande fiume della vita, non posso dire che l’insofferenza fosse
dovuta all’ateneo. Piuttosto: avvertiva una discrepanza troppo evidente tra ciò
che sentiva nell’anima e ciò che metteva in atto nella vita, tra ciò che
studiava (l’Europa dei popoli, le lingue) e ciò che accadeva intorno a lei. (…).
E allora, siccome ormai sapeva l’inglese meglio dell’italiano (e almeno altre
sei lingue tra cui lo swahili), se ne partì di nuovo. Andò a Dharamsala, sul
confine tra India e Cina, dove, appena sotto l’Himalaya, ha insegnato inglese
ai piccoli rifugiati tibetani. Minori non accompagnati, si direbbero. Mangiava
latte non pastorizzato, e riso e radici, e ha visto il Dalai Lama risalire su
da una vallata. Quando è tornata ha dato una tesi di laurea sul conflitto
sinotibetano: con orgoglio di sorella posso dire che… No, non posso, ma avete
capito da soli che ne sapeva più della commissione. Infatti vinse subito uno
stage a Roma presso la sede di un ministero. Eppure prestissimo sviluppò una
insofferenza verso la vita che menava, e siccome il ruolo che occupava era
molto ambito, potrei pensarne che avvertiva una discrepanza troppo evidente tra
ciò che sentiva nell’anima e ciò che metteva in atto nella vita, tra ciò che
agiva (correggere l’inglese dei fax, protocollare i fax, mandare i fax) e ciò
che accadeva intorno a lei. Credo, eh. E così andò a lavorare per una
Organizzazione non governativa in Spagna, e noi tutti ne fummo rasserenati
perché la sentivamo finalmente in pace. E invece da lì cominciarono le nostre
tribolazioni famigliari: quella scellerata se ne partì con Medici senza
Frontiere (e anche senza WhatsApp, che non esisteva ancora). Ci lasciò il
recapito della Farnesina e si sottopose a certe vaccinazioni che, a elencarle
qui, i no-vax incanutirebbero all’istante. Le dissero che questa bomba
vaccinale avrebbe potuto avere due conseguenze (oltre a salvarle la vita):
febbre alta o ilarità. Passò la notte a rotolarsi sul pavimento per le risate e
dopo partì. Elenco in ordine sparso quello che ci porta fino a oggi: è stata ad
Haiti dopo il terremoto (e durante la notte dice che in una chiesa lì vicino
facevano un processo di zombificazione). È stata nella Repubblica Centroafricana
un paio di volte (una era per l’ebola: ha viaggiato su una jeep che stava
poggiata su una zattera, come la controfigura di Harrison Ford). Ha dormito in
posti dove alle 18 si chiudevano i generatori e bisognava essere molto zen per
far spuntare giorno (e avere radio a pile, pile buone); è stata avvolta come
una mummia in un lenzuolo bagnato per 24 ore, per ambientarsi a un clima di 50
gradi diurni, prima di prendere servizio. È stata in Nigeria, ha viaggiato con
una guardia armata e con una busta di dollari addosso da scambiare in caso
volessero rapirla. Quando la tecnologia si è evoluta per noi non è stato
meglio: ne abbiamo saputo di più, come quella volta alla festa della donna che
ci mandò una foto sorridente con le mimose in mano e dietro c’erano delle
tapparelle abbassate in pieno giorno: c’erano i bombardamenti, a Damasco. Fu la
stessa volta che, rientrata in Libano, nostro padre chiosò: «Viviamo il
paradosso di dirci felici perché è arrivata a Beirut». Ha spianato pezzi di
savana per farci atterrare i Piper, ha convinto capivillaggio, in swahili (lei:
bianca, femmina e che parla un napoletano ridicolo) che era meglio che quelle
signore di cui era capo partorissero nell’ospedale da campo. Adesso dirò una
cosa che ha dell’incredibile: ha fatto campagne di vaccinazione dal morbillo e
per settimane le donne si sono messe in fila sotto il sole con i bambini in
braccio per ricevere quella vaccinazione. Di quello che ha visto e fatto, in
quindici anni, non ci ha mai raccontato molto, dettagli pochissimi, credo che
sia una questione di rispetto. Qui bisogna fare un inciso. I cooperanti delle
Ong se ne stavano per i fatti loro a lavorare, senza tanto raccontarla in giro:
perché quella è la loro vita, e solo degli scrittori fanatici possono pensare
che la propria vita sia l’oggetto di una narrazione. Ma poi è cominciato un
contro racconto, un racconto diverso su quello che fanno le Ong. A un certo
punto andavo in un taxi e il tassista diceva che le Ong erano d’accordo con gli
scafisti nella tratta del Mediterraneo. Andavo dal fruttivendolo e una signora
diceva che era colpa delle Ong se morivano i bambini in mare, andavo su Twitter
e certi ministri si vantavano di aver chiuso i porti alle Ong. Si vede che
ciascuno di loro aveva una sorella che lavora in una Ong, e quindi anch’io
rischierò qualcosa della mia pace famigliare raccontando quello che so: un
giorno hanno mandato un ragazzo dell’età di mio figlio a mettersi una protesi
alla gamba saltata su una mina, e lui era felice di salire sull’elicottero,
come un ragazzo della sua età. Due sue colleghe sono state rapite. Ad Abuja ha
tenuto tra le braccia una bambina di quattro anni abusata. Tanti suoi colleghi
sono morti sotto i bombardamenti negli ospedali.
domenica 25 agosto 2019
Terzapagina. 96 «Negli insulti di oggi si rivela lo squallido degrado della piccola politica».
Ha scritto Filippo Ceccarelli in “Perché il corpo viene preso di mira”, pubblicato
sul quotidiano la Repubblica del 6 di settembre dell’anno 2012: “(…).
…gli insulti rispecchiano al meglio la più vertiginosa trasformazione di una
politica che punta ormai al minimo comune denominatore, il corpo, per cui è
sostanzialmente attorno ad esso che ruota il vituperio; e così per fare male a
qualcuno l’attuale polemologia di Palazzo, incerta tra Bagaglino e
cinepanettone, vuole gli si dica che puzza, che è brutto, grasso, basso,
pelato, vecchio, malato, rifatto, che ha gli occhi storti o la dentiera, o è
impotente, bavoso, culattone, bongo-bongo o pedofilo. (…). Sullo stesso
quotidiano ed alla stessa data il politologo Carlo Galli scriveva in “Insulti politici”: (…).
L’insulto tipico è quello che riduce il nemico a meno che uomo, mettendone in
dubbio la virilità, o meglio ancora paragonandolo a un animale, possibilmente
immondo: “cane”, appunto; ma anche “porco”; oppure, più signorilmente,
“pidocchio” – così si espresse Togliatti nel 1951, paragonando i due comunisti
reggiani dissidenti, Cucchi e Magnani, ai pidocchi che possono annidarsi «anche
nella criniera di un nobile cavallo» (il Pci; il cavallo non si presta
all’insulto, sostituito dal più inespressivo, “asino”; mentre è sempre andato
forte il “verme”). In ambito teologico – che in realtà è spesso anche politico
–, «becchi privi di ragione» definisce Lutero i polemisti cattolici, mentre la
corte papale è per lui “Babilonia”, la «grande meretrice» dell’Apocalisse,
seduta sulla «bestia dalle sette teste e dalle dieci corna».
sabato 24 agosto 2019
Letturedeigiornipassati. 33 Paolo di Tarso: «O morte dov'è la tua vittoria, dov'è il tuo pungiglione?».
Tratto da “Una fine serena è possibile” di Umberto Galimberti, pubblicato sul
settimanale “D” del 24 di agosto dell’anno 2013: (…). Per comprendere l'esperienza
di una morte serena occorre uscire dalla tradizione giudaico-cristiana (dove si
muovono credenti, atei e agnostici) e tornare alla cultura greca, che, proprio
sul problema della morte, ha perso la partita con la cultura cristiana.
venerdì 23 agosto 2019
Ifattinprima. 04 «Il ministro dovrebbe studiare un po’. Ma no, è troppo tardi».
Tratto da “Ora
Salvini mostra i muscoli perché è sempre più debole”, intervista di Silvia
Truzzi allo storico-medievista Franco Cardini pubblicata su “il Fatto Quotidiano”
del 20 di agosto 2019: (…). - Il ministro dovrebbe studiare un po’ -.
(…). - Ma no, è troppo tardi -. Professore, l’altro giorno il ministro ha
detto: “Se ci sarà da scendere in piazza per salvare l’Italia, la libertà e la
democrazia ci saremo”. - Sembra perentorio, ma in realtà è ambiguo. A chi
parla? Ai suoi, in un “colloquio con la folla” o a tutto il corpo civile e
sociale della nazione, come se fosse certo di essere lui a interpretarne
correttamente bisogni e sentimenti? In pratica, che cosa vuole? Che i suoi
forzino in qualche modo (quale?) la mano a politici o parlamentari o che gli
italiani votino di nuovo? Insomma: per “salvare l’Italia eccetera”, secondo
lui, che cosa ci vorrebbe? L’assalto dei salviniani al Palazzo d’Inverno o
nuove elezioni che gli consegnassero una maggioranza più forte? Fuori dal
melodramma, l’unica via praticabile appare la seconda: anche perché le forze
per la prima non ce le ha -.
giovedì 22 agosto 2019
Letturedeigiornipassati. 32 «La "barbarie" oggi è dappertutto, costumi, persuasioni etiche, forme della politica, rapporti umani».
Ricorderete tutti quella patetica
figura così ben tratteggiata in quel capolavoro letterario che è “Il deserto dei tartari” di Dino
Buzzati. A chi gli chiedeva quale fosse stata l’intuizione che lo avesse
portato alla stesura del Suo capolavoro lo scrittore ebbe ad indicare che la
motivazione precipua stesse nella «monotona routine redazionale notturna che
facevo a quei tempi. Molto spesso avevo l'idea che quel tran tran dovesse
andare avanti senza termine e che mi avrebbe consumato così inutilmente la
vita. È un sentimento comune, io penso, alla maggioranza degli uomini,
soprattutto se incasellati nell'esistenza ad orario delle città. La
trasposizione di questa idea in un mondo militare fantastico è stata per me
quasi istintiva». Come per il
sottotenente Giovanni Drogo. Di quel sottotenente che dall’alto dei
camminamenti del fortino scruta ansioso l’orizzonte in attesa dell’assalto dei “barbari”.
Un’attesa spasmodica, una “fuga dal tempo”. In una altrettanto straordinaria
opera cinematografica dell’anno 1976 a firma di Valerio Zunini quella figura è
resa magnificamente ad imperitura memoria di tutti i “Drogo” di questo mondo
dell’oggi e del domani da Jacques Perrin. Una “fuga dal tempo” sembra abbia
posseduto una intera comunità nazionale al punto che quell’arrivo dei “barbari”
tanto temuto non è stato lontanamente presagito. Ha scritto Alberto Asor Rosa
sul quotidiano la Repubblica del 13 di agosto ultimo: "L'Italia è stata
sottoposta, nel suo complesso in questi ultimi decenni a un autentico processo
di "barbarizzazione". La "barbarie" oggi è dappertutto,
costumi, persuasioni etiche, forme della politica, rapporti umani, usi e
abitudini della lingua. Se non s'interviene a cambiare tutto questo, il barbaro
avrà comunque il sopravvento. Bisogna cambiare le cose, tutte le cose, con
idee, programmi, comportamenti. Lo raccomandava già 500 anni fa, dalla sua
altezza di pensiero, Niccolò Machiavelli. Possibile che non abbiamo ancora
imparato questa semplice lezione?". Non è da oggi allora che la "barbarizzazione"
abbia contaminato la vita della società nel suo complesso e degli atomizzati singoli,
atomizzati non possedendo essi più una visione d’assieme del vivere sociale, sino
al punto da rendere oramai tutti impresentabili ed irriconoscibili. Recupero dal
mio “archivio” un testo - “Il nuovo dizionario della destra” - di Francesco
Merlo pubblicato sul quotidiano la Repubblica del 22 di agosto dell’anno 2013: (…).
Dunque Berlusconi, che ha commesso il delitto, chiama «pacificazione »
l’abolizione del castigo che è la guerra del delitto al diritto, l’esatto
contrario della pace. E il voto del Parlamento, che è la massima espressione
civile della democrazia, per Cicchitto è un «tribunale speciale» che, secondo
Quagliarello, si trasforma esso stesso in «plotone di esecuzione».
martedì 20 agosto 2019
Letturedeigiornipassati. 31 Anders: «non è che cosa possiamo fare noi con la tecnica, ma che cosa la tecnica può fare di noi».
Tratto da “Che
progresso è, se fa a meno degli uomini?” di Umberto Galimberti, pubblicato
sul settimanale “D” del 20 di agosto dell’anno 2016: Prometeo, il titano che ha donato
la tecnica ai mortali e che il mito greco voleva prudentemente incatenato dagli
dei, oggi non ha altro limite che la propria forza.
lunedì 19 agosto 2019
Letturedeigiornipassati. 30 «Gli uomini non hanno mai conosciuto la realtà».
Tratto da “È
meglio studiare il mondo o farne esperienza?” di Umberto Galimberti,
pubblicato sul settimanale “D” del 19 di agosto dell’anno 2017: La
realtà è filtrata dalle tecnologie e solo chi pensa molto riesce a distinguere
il reale dall'immaginario. Esperienza è una parola equivoca. (…). Di fatto la
realtà non è mai accessibile se non nella forma già codificata da
un'interpretazione collettiva, a cui si aggiunge un'interpretazione personale.
L'uomo, infatti, non ha mai abitato la realtà, ma sempre e solo
l'interpretazione che le varie epoche ne hanno dato. Se infatti è vero che nel
mondo antico la realtà era descritta dal mito, nel medioevo dalla visione
religiosa, nell'età moderna dalla scienza, e oggi dalla tecnica, ci è
consentito dire che gli uomini non hanno mai conosciuto la realtà, ma solo la
sua interpretazione: prima mitica, poi religiosa, poi scientifica e ora
tecnica. Se non fosse stato così non potremmo parlare di storia e di
successione di epoche.
domenica 18 agosto 2019
Terzapagina. 95 «The Game».
Tratto da «Ecco
'I Barbari 2': si intitola 'The Game'» di Alessandro Baricco, pubblicato
sul quotidiano la Repubblica del 3 di aprile dell’anno 2018: (…). La
Silicon Valley è uno di quei pezzi d’America che potrebbero essere ovunque, in
America. È quel genere di posto in cui per andare dal barbiere prendi
l’autostrada. In alternativa ti perdi in giganteschi quartieri di villette,
disegnati come parole crociate, ogni casella una villetta, le caselle nere sono
quelle in cui il padre ha perso il lavoro e vedi le erbacce in giardino (qui
non ce ne sono, peraltro: tutti hanno un lavoro). In una di quelle caselle, per
inciso, son andato a omaggiare uno dei luoghi sacri dell’insurrezione digitale:
il garage dove Steve Jobs e Steve Wozniack, ragazzetti, iniziarono a lavorare.
Aveva due cassonetti davanti, il portone bianco e l’aria di non ricordarsi di
nulla. Tipico della civiltà digitale. Non sa cosa farsene del sacro. Le città
hanno nomi che sono diventati epici: Palo Alto, Mountain View, Cupertino, Menlo
Park. Ti immagini posti fighissimi, ma alla fine, a parte villette e villone,
c’è la solita via centrale, downtown, elegantina, dove i ristoranti sono
amabili ma i negozi d’arredamento, per dire, sono da querela. Certi salotti che
in Brianza sono passati di moda ai tempi di Fanfani. È difficile capire. Cerchi
i segni di un’umanità che dovrebbe stare anni davanti a tutti gli altri e alla
fine ti ritrovi con i sofà in stile gotico country. Mah. Che poi, per uno
spiritoso equivoco, mi sono ritrovato in un motel in stile Indiani d’America,
nel senso che c’erano le abat-jour di vacchetta, le volpi di legno sul comodino
e ritratti di indiani Pawnee alle pareti: ma non una roba etnica, o
politicamente corretta, no, proprio quel genere di immaginario chip che poteva
avere una signora coi bigodini negli anni ’50. Infatti all’ingresso c’era la
foto dell’inaugurazione, 1959, tutti in bianco e nero a sorridere al fotografo.
La fierezza aleggia ancora nell’aria, come sono ancora lì le pelli di vacca
alle pareti e i tappeti falso-Comanche per terra. È una cosa che mi ha fatto
pensare, perché a dieci minuti da lì ci sono i quartieri generali della Apple,
per dire, e quindi ho finito per fare una sorta di equazione: se questi, che
stanno a uno sputo da Google, dalla Apple, da Facebook, e da migliaia di start
up digitali, se questi stanno ancora qua con le abat-jour in vacchetta, archi e
frecce alle pareti, e piccoli bisonti di legno come suppellettili, cosa diavolo
stiamo a preoccuparci noi, a migliaia di chilometri di distanza, che ci portino
via le madonne fiamminghe e la musica di Schubert? No, dico sul serio, sarà
mica che ci facciamo delle paranoie senza senso? Ce le facciamo, è ovvio, (…), fuggendo
dal disastro del Novecento. E in effetti, dopo un po’ mi son visto crescere
sotto agli occhi una mappa, sicuramente imprecisa, ma abbastanza credibile,
zeppa di cose che non sapevo, e di continenti che intuivo ma non avevo mai
misurato bene, o oceani che non sapevo esistessero e adesso erano lì. E man
mano che cresceva - ogni tanto lasciandomi secco dalla sorpresa, per certe
combinazioni di eventi, o meraviglie di design mentale - man mano che cresceva
vedevo salire su da non so dove un nome che non ne voleva sapere di andarsene,
tanto che alla fine sono arrivato a concludere che probabilmente è il nome
della civiltà in cui viviamo. (…). The Game. Non sono mai cose casuali,
comunque: se il Game è nato proprio lì, nella Silicon Valley, la cosa aveva le
sue ragioni. Nel giro di pochi chilometri c’erano: i militari, l’industria
aerospaziale, una valanga di produttori di microchip, un’Università come
Stanford, Hollywood (senza sogni non si va da nessuno parte), i pionieri della
science computer (la Hewlett-Packard), e soprattutto: una gran numero di
sciroccati hippy: la controcultura californiana. Mescolate, shakerate, e
ottenete Steve Jobs. Questa è una cosa che ci ho messo un po’ a capire: mi
sembrava una rivoluzione tutta guidata da ingegneri e tecnocrati, ma non avevo
fatto i conti con l’anomalia californiana. Da noi se negli anni Settanta avevi
un cognato ingegnere informatico, non è che ci passavi le sere fumando
spinelli, ecco, né pensavi che potesse avere in mente di sfasciare il sistema.
Era già tanto se non andava in Chiesa. Ma lì, in California, il cognato
ingegnere spesso aveva i capelli lunghi, si lavava poco, aveva tendenze nerd,
si chiamava hacker, spendeva tutto il suo tempo in oscuri laboratori di computer
science e sul mondo aveva un’idea molto elementare: era da rifare. Di fatto, in
quei posti, ai tempi, se c’erano dieci ventenni a cui la way of life dei padri
faceva schifo, cinque sfilavano contro la guerra in Vietnam, tre praticavano il
libero amore su un pullmino Volkswagen e due stavano in un laboratorio a
programmare videogame. È bene sapere che noi viviamo nella civiltà immaginata
dagli ultimi due. Volevano cambiare il mondo, ho poi capito, e lo fecero con un
sistema da ingegneri, da cui ho finito per imparare molto. Nel modo migliore
l’ha sintetizzato, in un’intervista, Stewart Brand, un uomo di cui non sapevo
nulla, fino a qualche mese fa. Era (è) una specie di profeta, molto noto nella
Silicon Valley, un beat che girava con il giubbotto di daino con le frange,
sperimentava gli effetti dell’LSD e nel frattempo bazzicava i migliori
laboratori di computer science. Be’, una volta, in un’intervista, disse questa
cosa: «Puoi cercare di cambiare la testa alla gente, ma perderai solo il tuo
tempo. Quello che puoi fare è cambiare gli strumenti che usa. Fallo e cambierai
la civiltà». Pensateci bene e d’improvviso vi sembrerà molto più chiaro quello
che è successo negli ultimi trent’anni.
sabato 17 agosto 2019
Ifattinprima. 03 «Formigoni ha 72 anni e non ha mai collaborato con la giustizia».
Un’appendice al post del 7 di agosto - «Non
ricordo dov’ero a Capodanno 2009, devo consultare l’agenda» - ora che
la Procura generale sembra abbia impugnato le disposizioni del tribunale. Tratto
da “Formigodi” di Marco Travaglio,
pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 24 di luglio 2019: (…). …Formigoni ha 72 anni e non
ha mai collaborato con la giustizia. S’è addirittura rifiutato regolarmente di
farsi interrogare da pm e giudici. Non ha mai ammesso i suoi reati, nemmeno
dopo la condanna definitiva. Infatti la Procura di Milano ha dato parere
negativo ai domiciliari perché “non si può escludere l’utilità di sue dichiarazioni
sull’ingente patrimonio transitato per i paradisi fiscali e mai recuperato”. Il
processo ha accertato che, per dirottare 200 milioni pubblici alle cliniche
Maugeri e San Raffaele, il trio Formigoni (per 18 anni presidente ciellino
della Regione Lombardia)-Daccò (faccendiere ciellino suo amico)-Simone (ex
assessore regionale ciellino alla Sanità) aveva movimentato uno spaventoso giro
di tangenti sulla pelle dei malati: almeno 61 milioni, di 6,6 finiti al
Celeste. In gran parte mai trovati. Ma i
giudici, col via libera del Pg, l’han mandato a casa anche se non ha mai
collaborato. Motivo: anche volendo, “il presupposto della collaborazione è
impossibile” perché ormai il processo s’è chiuso e ha ricostruito i fatti “con
pignoleria”. Sì, è vero, il pm ipotizza che Formigoni sappia in quali paradisi
fiscali è nascosto il resto del bottino e l’ “associazione criminale” sia
ancora in piedi per custodire quello e altri segreti. Ma queste sono “ipotesi”
e “presunzioni”, mica di certezze. E per forza: se non parlano né lui, né
Daccò, né Simone, come si fa ad avere certezze? Bisognerebbe interrogare
Formigoni, che però rifiuta da sempre. Com’è suo diritto. Ma allora lo Stato
avrebbe il dovere di tenerlo dentro, come prevede la legge per chi non
collabora. Invece lo mettono fuori dopo 5 mesi (su 70) perché non collabora ma
pensano che non possa più farlo (a proposito di “ipotesi” e “presunzioni”). Ragionamento (si fa per dire) che ora dovrebbe
valere per tutti i condannati: visto che il processo è finito, non possono più
collaborare. Quindi solo un fesso, d’ora in poi, collaborerà con la giustizia:
perchè mai confessare tutti i propri delitti, e pure quelli altrui, e
restituire il maltolto, quando si possono nascondere tanti bei soldini tacendo
al processo e poi, una volta condannati, andarsene subito a casa (di un amico)
a godersi un’agiata vecchiaia?
venerdì 16 agosto 2019
Storiedallitalia. 82 «Io faccio e farò sempre politica in classe».
Riporta Siegmund Ginzberg nel Suo straordinario
volume “Risse da stadio nella Bisanzio
di Giustiniano” (Rizzoli editore, 2008, pagg. 406, € 19.00) - con
sottotitolo “le notizie di ieri raccontano il mondo di oggi” - molto
esplicativo ed attinente assai alla miserevole, recente storia della politica
del bel paese, riporta alla pagina 364 del Suo lavoro – capitolo che ha per
titolo “Chiare, fresche e dolci tasse”
– quanto l’Aretino – l’Aretino chi? formulerebbe stupito il “capitano della
lega” – annotava a proposito dei reggitori della cosa pubblica: «non
v’è stoltezza maggiore né cosa più contraria alla conservazione del principato
che il volere da tutti essere temuto. (…). …nessuno può essere così stolido e
ignorante da non rendersi conto che timore e sicurezza non possono stare
insieme».
giovedì 15 agosto 2019
Ifattinprima. 02 «Albert Camus: "Nei tempi bui, resistere è non consentire menzogne"».
Tratto da “La
strana alleanza e l'uomo solo al comando” di Carlo Verdelli, pubblicato sul
quotidiano la Repubblica del 12 di agosto 2019: (…). …"Chiedo agli italiani
di darmi pieni poteri per fare quello che abbiamo promesso di fare fino in
fondo, senza rallentamenti e senza palle al piede". Scriveva Francesco
Petrarca (in “Senili”, XVII,2): “E
come essere potrebbe che io desiderassi vivere a lungo tra questi costumi de’
quali m’addolora essere testimonio, e, per tacere del peggio, tra queste oscene
e corrotte abitudini di uomini vanissimi…che sebbene siano nati in Italia e si
dicano Italiani, fanno di tutto per parersi barbari, e Dio volesse che fossero
tali e della schifosa comunanza con loro liberassero me e tutti i veri Italiani”. Come a quel tempo i “barbari” sono tra di noi. Ed in questo
difficoltoso momento scontiamo forse più che altri una trasformazione antropologica
e politica che rende assai difficoltoso un approdo qualsivoglia che non lasci
strascichi nella organizzazione politica e sociale del Paese. Una trasformazione
antropologica che Antonello Caporale così descrive su “il Fatto Quotidiano” del
12 di agosto – “La selfizzazione del
politico Matteo spiaggiato con i fan” -: “La novità è il completamento del
processo demiurgico del leader leghista. Le parole sono divenute superflue, e
così anche i comizi, che risentono di una stanca verve e soprattutto incitano
varie, colorate contestazioni. La foto ritratto è l’alfa e l’omega, il punto d’inizio
e di arrivo. Salvini non parla, è mummia sorridente, corpo amico che impugna il
telefonino dell’aspirante leghista e clic, il gioco è fatto. La selfizzazione,
nel tempo di internet, produce una catena di montaggio di sorrisi e like trasportando
la faccia di Salvini in giro per il mondo. È un moltiplicatore passivo di
consensi. (…). Il selfie come parametro essenziale di popolarità, veicolo
performante che avanza e ri-polarizza se all’adulto è accoppiato un bambino,
alla moglie il marito, ai genitori i figli”.
mercoledì 14 agosto 2019
Letturedeigiornipassati. 29 Guardia Piemontese (Calabria). «5 di giugno dell’anno 1561»: il massacro dei Valdesi.
Tratto da “Il
massacro di chi chiedeva non solo pane” di Maurizio Maggiani, pubblicato
sul quotidiano “la Repubblica” del 14 di agosto dell’anno 2018: Porta
del sangue. Il sangue di chi?
martedì 13 agosto 2019
Letturedeigiornipassati. 28 «Quei figli più poveri dei padri».
Questa “letturadeigiornipassati” tratta da “Quei figli più poveri dei padri” di Federico
Rampini, pubblicata sul quotidiano la Repubblica del 13 di agosto dell’anno
2016, merita una contestualizzazione; nel senso che da quella data dello
scritto tantissime cose sono avvenute soprattutto nello scenario
internazionale.
lunedì 12 agosto 2019
Terzapagina. 94 «Oscar Wilde: “che cos’hanno fatto i posteri per noi?”».
Tratto da “Il
suicidio perfetto dell’Occidente” di Massimo Fini, pubblicato su “il Fatto
Quotidiano” dell’8 di agosto 2019: Il neo primo ministro neo zelandese Jacinda
Ardern, una donna di 38 anni, ha affermato che il benessere collettivo ma anche
individuale non dipende né dal Pil né dalla produttività né dalla crescita
economica. Ci voleva un politico neo zelandese per scoprire l’acqua calda e
cioè che non è la ricchezza delle Nazioni, tanto cara a Adam Smith, né del
singolo individuo a dare non dico la felicità, “parola proibita che non
dovrebbe essere mai pronunciata”, (Cyrano, se vi pare…), ma quel relativo
benessere individuale che l’uomo può raggiungere.
domenica 11 agosto 2019
Cronachebarbare. 67 «Spero che Dio ascolti le mie preghiere e che affondi tutti i barconi».
Di “odio” italiano ne scrive Giuseppe Genna nel
numero del 4 di agosto del settimanale L’Espresso – “Odio. Un’estate italiana”: «Spero che Dio ascolti le mie preghiere e
che affondi tutti i barconi». Scriveva Tobias Jones – corrispondente inglese
dall’Italia – in “Il cuore oscuro
dell’Italia” (Rizzoli, 2003): (…). In Italia la violenza civile è
fortissima (…). È una cosa anormale, mostruosa, grottesca. Gli italiani
sguazzano nel fatto di essere bravi ragazzi, misurati e all’antica… Ma c’è una violenza endemica tra vicini che
si cela come una sorte di febbre sottopelle. (…).
venerdì 9 agosto 2019
Letturedeigiornipassati. 27 «Gli dèi dell'Olimpo, un grande scenario dei sentimenti umani».
Tratto da “Essere
giusti rende felici” di Umberto Galimberti pubblicato sul settimanale “D”
del 9 di agosto dell’anno 2014: Adesso che la religione è in declino e l'uso
della ragione sempre più diffuso, possiamo tornare alla morale kantiana: la
virtù è felicità in se stessa. Non sopravvaluto il cristianesimo, ma non posso
negare che l'Occidente è profondamente cristiano in tutte le sue espressioni,
persino quelle atee, perché in Occidente, anche quando si nega Dio, si pensa al
Dio cristiano.
giovedì 8 agosto 2019
Letturedeigiornipassati. 26 «Il governo ha sempre ragione, è l’economia gufa che non capisce le slide».
Un 8 di agosto canicolare come il presente sembra
aleggiare nell’editoriale di Marco Travaglio – “Un giorno di ordinaria Italia” – pubblicato su “il Fatto
Quotidiano” dell’8 di agosto dell’anno 2014. Un 8 di agosto canicolare che
avrebbe potuto dare lo spunto per un titolo del tipo “un giorno di ordinaria follia”. Il
titolo presuntuosamente da me proposto non è originale e ci riporta ad un
lavoro cinematografico che ha fatto – un po’ - la storia del cinema. Traggo dal
sito “Mymovies.it” una brevissima
scheda: Michael Douglas riveste i panni di D-Fense, un anonimo cittadino il cui
equilibrio psichico si è spezzato. Il suo viaggio all'interno della metropoli
per raggiungere la moglie che vuole uccidere sarà una continua caduta (…) verso
il fondo di un abisso interiore. (…).
mercoledì 7 agosto 2019
Ifattinprima. 01 «Non ricordo dov’ero a Capodanno 2009, devo consultare l’agenda».
Questa prima puntata de’ “ifattinprima”
– “Il Celeste, Daccò e Simone: siam tre
piccoli ciellini” - di Marco
Travaglio risale nel tempo alla santa domenica – sempre “santa”, ché il
“Celeste” di questo “fattoinprima” si peritava di vivere ed onorare da par suo
- del 24 di giugno dell’anno 2012. Un’era trascorsa. Principe incontrastato e
venerato di quei “fatti” il “Celeste”, al secolo Roberto Formigoni, votato alla
castità ed alla povertà, a suo modesto dire. Balle! Appena sette anni dopo, una
sentenza lo condanna per corruzione. Una “celestialità” andata miseramente in
fumo, o meglio, tra le fiamme dell’inferno (solita storiella per i soliti
gonzi). Scriveva Marco Travaglio: Segnatevi
questi tre nomi: Roberto Formigoni, da 17 anni governatore di Lombardia;
Pierangelo Daccò, consulente di cliniche private convenzionate con le Regioni;
Antonio Simone, ex assessore regionale dc, coinvolto in Tangentopoli, in parte
assolto in parte prescritto, anche lui consulente privato nel ramo sanità e
no-profit (si fa per dire). Fino all’altro ieri avevano in comune solo
un’antica amicizia e l’adesione a Comunione e liberazione (Formigoni è pure
memor Domini, con voto di castità e povertà).
martedì 6 agosto 2019
Sullaprimaoggi. 100 «Bisognerebbe fare così: Salvini chi, quello dei gattini?».
Ha sostenuto Umberto Galimberti nel corso della
trasmissione televisiva “Tagadà” sull’emittente
La7: Salvini?
Non è un fascista, perché i fascisti hanno una visione, lui non ha neanche
quella. Salvini fa il fascista eventualmente. In realtà, i suoi comportamenti
assomigliano a quelli di un bullo di periferia. Se lui facesse la quinta
elementare, sarebbe qualificato come un bullo. (…).
lunedì 5 agosto 2019
Letturedeigiornipassati. 25 «Un cortocircuito tra la sovranità che “appartiene al popolo” e la sovranità che appartiene alla finanza».
Tratto da “I
principi democratici sono finiti tra parentesi”, intervista di Silvia
Truzzi a Gustavo Zagrebelsky pubblicata il 5 di agosto dell’anno 2015 su "il Fatto Quotidiano": (…). La
settimana scorsa su Repubblica, Gustavo Zagrebelsky ha scritto: “Se oggi
diciamo che lo Stato può fallire, è perché il suo attributo fondamentale – la
sovranità – è venuto a mancare”.
domenica 4 agosto 2019
Sullaprimaoggi. 99 «I moderati, da un punto di vista cognitivo, non esistono».
Finisce questo post “sullaprimaoggi” poiché il
suo contenuto cerca di illuminare uno dei punti più oscuri di questo tempo “trumpista”,
la cui presa nell’Occidente ha modalità di diffusione che non può non
impensierire i sinceri democratici. Si pensi per un istante a tutti gli autoproclamantisi
“moderati”
che abbiano frequentato il “teatrino” della politica del bel
paese. Se la memoria vi soccorre sarà facilissimo individuare nell’uomo venuto
da Arcore il campione massimo di quella categoria.
sabato 3 agosto 2019
Terzapagina. 93 «I libri danno una chance di alzarsi sopra il gran bordello delle cose».
Tratto da “Chi
legge non ha paura”, colloquio di Stefano Massini con Daniel Pennac
pubblicato sul settimanale “Robinson” del 3 di agosto 2019: (…).
Stefano Massini: Non so, caro Daniel, se qualche purista storcerà il naso
davanti a due scrittori che provino a guardare la letteratura con il parametro
esclusivo dell'utilità. Sì: l'utilità. Non la coerenza poetica, non la coesione
formale. Ipotizziamo di trovarci, io e te, sull'oceano dei libri: troviamo un
messaggio dentro una bottiglia. C'è scritto: "con quali libri possiamo
tentare di capire qualcosa di più del tempo presente?...". Ecco, vorrei
che rispondessimo a questo messaggio di qualche lettore naufrago. (…).
venerdì 2 agosto 2019
Letturedeigiornipassati. 24 Christine Lagarde: «“Sono qui per servire te e, sotto la tua guida, la Francia”».
Si era, al tempo di questa “letturadeigiornipassati”,
alle prese con il dramma della crisi greca. E c’era da stare con l’animo
sospeso poiché quella crisi avrebbe potuto rappresentare lo scenario prossimo
venturo anche per il paese degli zuzzurelloni della politica.
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