Tratto da “Ecco
l'angolo retto” di Umberto Eco, titolo della “bustina” pubblicata sul settimanale
L’Espresso del 28 di aprile dell’anno 2005: Una stagionata credenza vuole che
le cose si conoscano attraverso la loro definizione. In certi casi è vero, come
per le formule chimiche, perché certamente il sapere che qualcosa è NaCl aiuta
chi sa qualcosa di chimica a capire che deve essere un composto di cloro e
sodio, e probabilmente - anche se la definizione non lo dice esplicitamente - a
pensare che si tratti di sale. Ma tutto quello che del sale dovremmo sapere
(che serve a conservare e insaporire i cibi, che fa alzare la pressione, che si
ricava dal mare o dalle saline, e persino che nei tempi antichi era più caro e
prezioso di oggi) la definizione chimica non ce lo dice.
Per sapere tutto quello che del sale sappiamo, ovvero tutto quello che in fondo ci serve (lasciando perdere chissà quali altri dettagli), noi abbiamo avuto bisogno non tanto di udire delle definizioni, ma delle 'storie'. Storie che, per chi poi del sale volesse sapere davvero tutto, diventano anche meravigliosi romanzi di avventura, con le carovane che vanno lungo la via del sale per il deserto, tra l'Impero del Mali e il mare, o le vicende di medici primitivi che con acqua e sale lavavano le ferite. In altri termini, il nostro sapere (anche quello scientifico, e non solo quello mitico) è intessuto di storie. Il bambino, per imparare a conoscere il mondo, ha due vie: una è quella che si chiama apprendimento per ostensione, nel senso che il piccolo chiede che cosa sia un cane e la mamma gliene mostra uno (è poi un fatto miracoloso che al bambino sia stato mostrato un bassotto e il giorno dopo sappia definire come cane anche un levriero - magari esagerando per addizione e annoverando tra i cani anche la prima pecora che vede, ma difficilmente per sottrazione, non riconoscendo un cane come un cane). Il secondo modo non è la definizione, del tipo 'il cane è un mammifero dei placentalia, carnivoro, fissipede e canide' (immaginiamoci cosa se ne fa il bambino di questa definizione peraltro tassonomicamente corretta), ma dovrebbe essere in qualche modo una storia: "Ti ricordi quel giorno che siamo andati nel giardino della nonna e c'era una bestia così e così". In effetti il bambino non chiede cosa siano un cane o un albero. Di solito prima li vede e poi qualcuno gli spiega che si chiamano così e così. Ma è a quel punto che sorgono i perché. Capire che sia un faggio che una quercia sono un albero non è un dramma, ma la vera curiosità sorge quando si vuole sapere perché sono lì, da dove vengono, come crescono, a che cosa servono, perché perdono le foglie. Ed è lì che intervengono le storie. Il sapere si propaga attraverso storie: si pianta un seme, poi il seme germoglia eccetera eccetera. Anche la vera 'cosa' che i bambini vogliono sapere, e cioè da dove vengano i bambini, non può essere detta che sotto forma di storia, vuoi che sia la storia del cavolo o della cicogna, vuoi che sia quella del babbo che dà un semino alla mamma. Sono tra coloro che ritengono che anche il sapere scientifico debba prendere la forma di storie e cito sempre ai miei studenti una bella pagina di Peirce in cui per definire il litio si descrive per una ventina di righe che cosa bisogna fare in laboratorio per ottenere del litio. La giudico una pagina molto poetica, non avevo mai visto nascere il litio, ed ecco che un giorno ho assistito a questa lieta vicenda, come se fossi nell'antro di un alchimista - eppure era chimica vera. Ora l'altro giorno l'amico Franco Lo Piparo, in una conferenza su Aristotele, ha attirato la mia attenzione sul fatto che Euclide, padre della geometria, non definisce affatto un angolo retto come un angolo che ha 90 gradi. A pensarci bene, ecco una definizione certamente corretta ma inutile per chi o non sappia cos'è un angolo o non sappia cosa sono i gradi - e spero bene che nessuna mamma rovini il proprio bambino dicendogli che gli angoli sono retti se hanno 90 gradi. Ecco come si esprime invece Euclide: "Quando una retta, innalzata su una retta, fa gli angoli adiacenti uguali tra loro, ciascuno dei due angoli uguali è retto, e la retta innalzata è chiamata perpendicolare a quella su cui è innalzata". Capito? Vuoi sapere che cosa è un angolo retto? E io ti dico come farlo, ovvero la storia dei passi che devi fare per produrlo. Dopo lo avrai capito. Tra l'altro, la storia dei gradi puoi impararla dopo, e in ogni caso solo dopo che avrai costruito quel mirabile incontro tra due rette. Questa faccenda a me pare molto istruttiva e molto poetica e rende più vicini l'universo della fantasia, dove per creare storie si immaginano mondi, e l'universo della realtà, dove per permetterci di capire il mondo si creano storie. (Perché vi ho raccontato tutto questo? Perché nella prima Bustina del 1985 vi avevo detto che avrei parlato di tutto quello che mi frullava per la testa, e oggi mi frulla così).
Per sapere tutto quello che del sale sappiamo, ovvero tutto quello che in fondo ci serve (lasciando perdere chissà quali altri dettagli), noi abbiamo avuto bisogno non tanto di udire delle definizioni, ma delle 'storie'. Storie che, per chi poi del sale volesse sapere davvero tutto, diventano anche meravigliosi romanzi di avventura, con le carovane che vanno lungo la via del sale per il deserto, tra l'Impero del Mali e il mare, o le vicende di medici primitivi che con acqua e sale lavavano le ferite. In altri termini, il nostro sapere (anche quello scientifico, e non solo quello mitico) è intessuto di storie. Il bambino, per imparare a conoscere il mondo, ha due vie: una è quella che si chiama apprendimento per ostensione, nel senso che il piccolo chiede che cosa sia un cane e la mamma gliene mostra uno (è poi un fatto miracoloso che al bambino sia stato mostrato un bassotto e il giorno dopo sappia definire come cane anche un levriero - magari esagerando per addizione e annoverando tra i cani anche la prima pecora che vede, ma difficilmente per sottrazione, non riconoscendo un cane come un cane). Il secondo modo non è la definizione, del tipo 'il cane è un mammifero dei placentalia, carnivoro, fissipede e canide' (immaginiamoci cosa se ne fa il bambino di questa definizione peraltro tassonomicamente corretta), ma dovrebbe essere in qualche modo una storia: "Ti ricordi quel giorno che siamo andati nel giardino della nonna e c'era una bestia così e così". In effetti il bambino non chiede cosa siano un cane o un albero. Di solito prima li vede e poi qualcuno gli spiega che si chiamano così e così. Ma è a quel punto che sorgono i perché. Capire che sia un faggio che una quercia sono un albero non è un dramma, ma la vera curiosità sorge quando si vuole sapere perché sono lì, da dove vengono, come crescono, a che cosa servono, perché perdono le foglie. Ed è lì che intervengono le storie. Il sapere si propaga attraverso storie: si pianta un seme, poi il seme germoglia eccetera eccetera. Anche la vera 'cosa' che i bambini vogliono sapere, e cioè da dove vengano i bambini, non può essere detta che sotto forma di storia, vuoi che sia la storia del cavolo o della cicogna, vuoi che sia quella del babbo che dà un semino alla mamma. Sono tra coloro che ritengono che anche il sapere scientifico debba prendere la forma di storie e cito sempre ai miei studenti una bella pagina di Peirce in cui per definire il litio si descrive per una ventina di righe che cosa bisogna fare in laboratorio per ottenere del litio. La giudico una pagina molto poetica, non avevo mai visto nascere il litio, ed ecco che un giorno ho assistito a questa lieta vicenda, come se fossi nell'antro di un alchimista - eppure era chimica vera. Ora l'altro giorno l'amico Franco Lo Piparo, in una conferenza su Aristotele, ha attirato la mia attenzione sul fatto che Euclide, padre della geometria, non definisce affatto un angolo retto come un angolo che ha 90 gradi. A pensarci bene, ecco una definizione certamente corretta ma inutile per chi o non sappia cos'è un angolo o non sappia cosa sono i gradi - e spero bene che nessuna mamma rovini il proprio bambino dicendogli che gli angoli sono retti se hanno 90 gradi. Ecco come si esprime invece Euclide: "Quando una retta, innalzata su una retta, fa gli angoli adiacenti uguali tra loro, ciascuno dei due angoli uguali è retto, e la retta innalzata è chiamata perpendicolare a quella su cui è innalzata". Capito? Vuoi sapere che cosa è un angolo retto? E io ti dico come farlo, ovvero la storia dei passi che devi fare per produrlo. Dopo lo avrai capito. Tra l'altro, la storia dei gradi puoi impararla dopo, e in ogni caso solo dopo che avrai costruito quel mirabile incontro tra due rette. Questa faccenda a me pare molto istruttiva e molto poetica e rende più vicini l'universo della fantasia, dove per creare storie si immaginano mondi, e l'universo della realtà, dove per permetterci di capire il mondo si creano storie. (Perché vi ho raccontato tutto questo? Perché nella prima Bustina del 1985 vi avevo detto che avrei parlato di tutto quello che mi frullava per la testa, e oggi mi frulla così).
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