Tratto da “Il
vuoto di potere” di Pier Paolo Pasolini, pubblicato sul “Corriere della
Sera” del primo di febbraio dell’anno 1975: (…). Il confronto reale tra
"fascismi" non può essere (…) "cronologicamente", tra il
fascismo fascista e il fascismo democristiano: ma tra il fascismo fascista e il
fascismo radicalmente, totalmente, imprevedibilmente nuovo che è nato da quel
"qualcosa" che è successo una decina di anni fa.
Poiché sono uno scrittore, e scrivo in polemica, o almeno discuto, con altri scrittori, mi si lasci dare una definizione di carattere poetico-letterario di quel fenomeno che è successo in Italia una decina di anni fa. Ciò servirà a semplificare e ad abbreviare il nostro discorso (e probabilmente a capirlo anche meglio). Nei primi anni sessanta, a causa dell'inquinamento dell'aria, e, soprattutto, in campagna, a causa dell'inquinamento dell'acqua (gli azzurri fiumi e le rogge trasparenti) sono cominciate a scomparire le lucciole. Il fenomeno è stato fulmineo e folgorante. Dopo pochi anni le lucciole non c'erano più. (Sono ora un ricordo, abbastanza straziante, del passato: e un uomo anziano che abbia un tale ricordo, non può riconoscere nei nuovi giovani se stesso giovane, e dunque non può più avere i bei rimpianti di una volta). Quel "qualcosa" che è accaduto una decina di anni fa lo chiamerò dunque "scomparsa delle lucciole". Il regime democristiano ha avuto due fasi assolutamente distinte, che non solo non si possono confrontare tra loro, implicandone una certa continuità, ma sono diventate addirittura storicamente incommensurabili. La prima fase di tale regime (come giustamente hanno sempre insistito a chiamarlo i radicali) è quella che va dalla fine della guerra alla scomparsa delle lucciole, la seconda fase è quella che va dalla scomparsa delle lucciole a oggi. Osserviamole una alla volta.
Prima della scomparsa delle lucciole. La continuità tra fascismo fascista e fascismo democristiano è completa e assoluta. Taccio su ciò, che a questo proposito, si diceva anche allora, magari (…) nel "Politecnico": la mancata epurazione, la continuità dei codici, la violenza poliziesca, il disprezzo per la Costituzione. E mi soffermo su ciò che ha poi contato in una coscienza storica retrospettiva. La democrazia che gli antifascisti democristiani opponevano alla dittatura fascista, era spudoratamente formale. Si fondava su una maggioranza assoluta ottenuta attraverso i voti di enormi strati di ceti medi e di enormi masse contadine, gestiti dal Vaticano. Tale gestione del Vaticano era possibile solo se fondata su un regime totalmente repressivo. In tale universo i "valori" che contavano erano gli stessi che per il fascismo: la Chiesa, la Patria, la famiglia, l'obbedienza, la disciplina, l'ordine, il risparmio, la moralità. Tali "valori" (come del resto durante il fascismo) erano "anche reali": appartenevano cioè alle culture particolari e concrete che costituivano l'Italia arcaicamente agricola e paleoindustriale. Ma nel momento in cui venivano assunti a "valori" nazionali non potevano che perdere ogni realtà, e divenire atroce, stupido, repressivo conformismo di Stato: il conformismo del potere fascista e democristiano. Provincialità, rozzezza e ignoranza sia delle "élites" che, a livello diverso, delle masse, erano uguali sia durante il fascismo sia durante la prima fase del regime democristiano. Paradigmi di questa ignoranza erano il pragmatismo e il formalismo vaticani. Tutto ciò che risulta chiaro e inequivocabilmente oggi, perché allora si nutrivano, da parte degli intellettuali e degli oppositori, insensate speranze. Si sperava che tutto ciò non fosse completamente vero, e che la democrazia formale contasse in fondo qualcosa. Ora, prima di passare alla seconda fase, dovrò dedicare qualche riga al momento di transizione.
Poiché sono uno scrittore, e scrivo in polemica, o almeno discuto, con altri scrittori, mi si lasci dare una definizione di carattere poetico-letterario di quel fenomeno che è successo in Italia una decina di anni fa. Ciò servirà a semplificare e ad abbreviare il nostro discorso (e probabilmente a capirlo anche meglio). Nei primi anni sessanta, a causa dell'inquinamento dell'aria, e, soprattutto, in campagna, a causa dell'inquinamento dell'acqua (gli azzurri fiumi e le rogge trasparenti) sono cominciate a scomparire le lucciole. Il fenomeno è stato fulmineo e folgorante. Dopo pochi anni le lucciole non c'erano più. (Sono ora un ricordo, abbastanza straziante, del passato: e un uomo anziano che abbia un tale ricordo, non può riconoscere nei nuovi giovani se stesso giovane, e dunque non può più avere i bei rimpianti di una volta). Quel "qualcosa" che è accaduto una decina di anni fa lo chiamerò dunque "scomparsa delle lucciole". Il regime democristiano ha avuto due fasi assolutamente distinte, che non solo non si possono confrontare tra loro, implicandone una certa continuità, ma sono diventate addirittura storicamente incommensurabili. La prima fase di tale regime (come giustamente hanno sempre insistito a chiamarlo i radicali) è quella che va dalla fine della guerra alla scomparsa delle lucciole, la seconda fase è quella che va dalla scomparsa delle lucciole a oggi. Osserviamole una alla volta.
Prima della scomparsa delle lucciole. La continuità tra fascismo fascista e fascismo democristiano è completa e assoluta. Taccio su ciò, che a questo proposito, si diceva anche allora, magari (…) nel "Politecnico": la mancata epurazione, la continuità dei codici, la violenza poliziesca, il disprezzo per la Costituzione. E mi soffermo su ciò che ha poi contato in una coscienza storica retrospettiva. La democrazia che gli antifascisti democristiani opponevano alla dittatura fascista, era spudoratamente formale. Si fondava su una maggioranza assoluta ottenuta attraverso i voti di enormi strati di ceti medi e di enormi masse contadine, gestiti dal Vaticano. Tale gestione del Vaticano era possibile solo se fondata su un regime totalmente repressivo. In tale universo i "valori" che contavano erano gli stessi che per il fascismo: la Chiesa, la Patria, la famiglia, l'obbedienza, la disciplina, l'ordine, il risparmio, la moralità. Tali "valori" (come del resto durante il fascismo) erano "anche reali": appartenevano cioè alle culture particolari e concrete che costituivano l'Italia arcaicamente agricola e paleoindustriale. Ma nel momento in cui venivano assunti a "valori" nazionali non potevano che perdere ogni realtà, e divenire atroce, stupido, repressivo conformismo di Stato: il conformismo del potere fascista e democristiano. Provincialità, rozzezza e ignoranza sia delle "élites" che, a livello diverso, delle masse, erano uguali sia durante il fascismo sia durante la prima fase del regime democristiano. Paradigmi di questa ignoranza erano il pragmatismo e il formalismo vaticani. Tutto ciò che risulta chiaro e inequivocabilmente oggi, perché allora si nutrivano, da parte degli intellettuali e degli oppositori, insensate speranze. Si sperava che tutto ciò non fosse completamente vero, e che la democrazia formale contasse in fondo qualcosa. Ora, prima di passare alla seconda fase, dovrò dedicare qualche riga al momento di transizione.
Durante la scomparsa delle lucciole. In
questo periodo la distinzione tra fascismo e fascismo operata sul
"Politecnico" poteva anche funzionare. Infatti sia il grande paese
che si stava formando dentro il paese - cioè la massa operaia e contadina
organizzata dal PCI - sia gli intellettuali anche più avanzati e critici, non
si erano accorti che "le lucciole stavano scomparendo". Essi erano
informati abbastanza bene dalla sociologia (che in quegli anni aveva messo in
crisi il metodo dell'analisi marxista): ma erano informazioni ancora non
vissute, in sostanza formalistiche. Nessuno poteva sospettare la realtà storica
che sarebbe stato l'immediato futuro; né identificare quello che allora si
chiamava "benessere" con lo "sviluppo" che avrebbe dovuto
realizzare in Italia per la prima volta pienamente il "genocidio" di
cui nel "Manifesto" parlava Marx.
Dopo la scomparsa delle lucciole. I
"valori" nazionalizzati e quindi falsificati del vecchio universo
agricolo e paleocapitalistico, di colpo non contano più. Chiesa, patria,
famiglia, obbedienza, ordine, risparmio, moralità non contano più. E non
servono neanche più in quanto falsi. Essi sopravvivono nel clerico-fascismo
emarginato (anche il MSI in sostanza li ripudia). A sostituirli sono i
"valori" di un nuovo tipo di civiltà, totalmente "altra"
rispetto alla civiltà contadina e paleoindustriale. Questa esperienza è stata
fatta già da altri Stati. Ma in Italia essa è del tutto particolare, perché si
tratta della prima "unificazione" reale subita dal nostro paese;
mentre negli altri paesi essa si sovrappone con una certa logica alla
unificazione monarchica e alla ulteriore unificazione della rivoluzione
borghese e industriale. Il trauma italiano del contatto tra
l'"arcaicità" pluralistica e il livellamento industriale ha forse un
solo precedente: la Germania prima di Hitler. Anche qui i valori delle diverse
culture particolaristiche sono stati distrutti dalla violenta omologazione
dell'industrializzazione: con la conseguente formazione di quelle enormi masse,
non più antiche (contadine, artigiane) e non ancor moderne (borghesi), che
hanno costituito il selvaggio, aberrante, imponderabile corpo delle truppe
naziste. In Italia sta succedendo qualcosa di simile: e con ancora maggiore
violenza, poiché l'industrializzazione degli anni Settanta costituisce una
"mutazione" decisiva anche rispetto a quella tedesca di cinquant'anni
fa. Non siamo più di fronte, come tutti ormai sanno, a "tempi nuovi",
ma a una nuova epoca della storia umana, di quella storia umana le cui scadenze
sono millenaristiche. Era impossibile che gli italiani reagissero peggio di
così a tale trauma storico. Essi sono diventati in pochi anni (specie nel
centro-sud) un popolo degenerato, ridicolo, mostruoso, criminale. Basta
soltanto uscire per strada per capirlo. Ma, naturalmente, per capire i
cambiamenti della gente, bisogna amarla. Io, purtroppo, questa gente italiana,
l'avevo amata: sia al di fuori degli schemi del potere (anzi, in opposizione
disperata a essi), sia al di fuori degli schemi populisti e umanitari. Si
trattava di un amore reale, radicato nel mio modo di essere. Ho visto dunque
"coi miei sensi" il comportamento coatto del potere dei consumi
ricreare e deformare la coscienza del popolo italiani, fino a una irreversibile
degradazione. Cosa che non era accaduta durante il fascismo fascista, periodo
in cui il comportamento era completamente dissociato dalla coscienza. Vanamente
il potere "totalitario" iterava e reiterava le sue imposizioni
comportamentistiche: la coscienza non ne era implicata. I "modelli"
fascisti non erano che maschere, da mettere e levare. Quando il fascismo
fascista è caduto, tutto è tornato come prima. Lo si è visto anche in
Portogallo: dopo quarant'anni di fascismo, il popolo portoghese ha celebrato il
primo maggio come se l'ultimo lo avesse celebrato l'anno prima. (…). …la
distinzione tra il fascismo fascista e il fascismo di questa seconda fase del
potere democristiano non solo non ha confronti nella nostra storia, ma
probabilmente nell'intera storia. Io tuttavia non scrivo il presente articolo
solo per polemizzare su questo punto, benché esso mi stia molto a cuore. Scrivo
il presente articolo in realtà per una ragione molto diversa. Eccola. Tutti i
miei lettori si saranno certamente accorti del cambiamento dei potenti
democristiani: in pochi mesi, essi sono diventati delle maschere funebri. È
vero: essi continuano a sfoderare radiosi sorrisi, di una sincerità
incredibile. Nelle loro pupille si raggruma della vera, beata luce di buon
umore. Quando non si tratti dell'ammiccante luce dell'arguzia e della furberia.
Cosa che agli elettori piace, pare, quanto la piena felicità. Inoltre, i nostri
potenti continuano imperterriti i loro sproloqui incomprensibili; in cui
galleggiano i "flatus vocis" delle solite promesse stereotipe. In
realtà essi sono appunto delle maschere. Son certo che, a sollevare quelle
maschere, non si troverebbe nemmeno un mucchio d'ossa o di cenere: ci sarebbe
il nulla, il vuoto. La spiegazione è semplice: oggi in realtà in Italia c'è un
drammatico vuoto di potere. Ma questo è il punto: non un vuoto di potere
legislativo o esecutivo, non un vuoto di potere dirigenziale, né, infine, un
vuoto di potere politico in un qualsiasi senso tradizionale. Ma un vuoto di
potere in sé. Come siamo giunti, a questo vuoto? O, meglio, "come ci sono
giunti gli uomini di potere?". La spiegazione, ancora, è semplice: gli
uomini di potere democristiani sono passati dalla "fase delle
lucciole" alla "fase della scomparsa delle lucciole" senza
accorgersene. Per quanto ciò possa sembrare prossimo alla criminalità la loro
inconsapevolezza su questo punto è stata assoluta; non hanno sospettato
minimamente che il potere, che essi detenevano e gestivano, non stava
semplicemente subendo una "normale" evoluzione, ma sta cambiando
radicalmente natura. Essi si sono illusi che nel loro regime tutto
sostanzialmente sarebbe stato uguale: che, per esempio, avrebbero potuto
contare in eterno sul Vaticano: senza accorgersi che il potere, che essi stessi
continuavano a detenere e a gestire, non sapeva più che farsene del Vaticano
quale centro di vita contadina, retrograda, povera. Essi si erano illusi di
poter contare in eterno su un esercito nazionalista (come appunto i loro
predecessori fascisti): e non vedevano che il potere, che essi stessi
continuavano a detenere e a gestire, già manovrava per gettare la base di
eserciti nuovi in quanto transnazionali, quasi polizie tecnocratiche. E lo
stesso si dica per la famiglia, costretta, senza soluzione di continuità dai
tempi del fascismo, al risparmio, alla moralità: ora il potere dei consumi
imponeva a essa cambiamenti radicali nel senso della modernità, fino ad
accettare il divorzio, e ormai, potenzialmente, tutto il resto, senza più
limiti (o almeno fino ai limiti consentiti dalla permissività del nuovo potere,
peggio che totalitario in quanto violentemente totalizzante). Gli uomini del
potere democristiani hanno subito tutto questo, credendo di amministrarselo e
soprattutto di manipolarselo. Non si sono accorti che esso era "altro":
incommensurabile non solo a loro ma a tutta una forma di civiltà. Come sempre
(cfr. Gramsci) solo nella lingua si sono avuti dei sintomi. Nella fase di
transizione - ossia "durante" la scomparsa delle lucciole - gli
uomini di potere democristiani hanno quasi bruscamente cambiato il loro modo di
esprimersi, adottando un linguaggio completamente nuovo (del resto
incomprensibile come il latino): specialmente Aldo Moro: cioè (per una
enigmatica correlazione) colui che appare come il meno implicato di tutti nelle
cose orribili che sono state, organizzate dal '69 ad oggi, nel tentativo,
finora formalmente riuscito, di conservare comunque il potere. Dico formalmente
perché, ripeto, nella realtà, i potenti democristiani coprono con la loro
manovra da automi e i loro sorrisi, il vuoto. Il potere reale procede senza di
loro: ed essi non hanno più nelle mani che quegli inutili apparati che, di
essi, rendono reale nient'altro che il luttuoso doppiopetto. Tuttavia nella
storia il "vuoto" non può sussistere: esso può essere predicato solo
in astratto e per assurdo. È probabile che in effetti il "vuoto" di
cui parlo stia già riempiendosi, attraverso una crisi e un riassestamento che
non può non sconvolgere l'intera nazione. Ne è un indice ad esempio l'attesa "morbosa"
del colpo di Stato. Quasi che si trattasse soltanto di "sostituire"
il gruppo di uomini che ci ha tanto spaventosamente governati per trenta anni,
portando l'Italia al disastro economico, ecologico, urbanistico, antropologico.
In realtà la falsa sostituzione di queste "teste di legno" (non meno,
anzi più funereamente carnevalesche), attuata attraverso l'artificiale
rinforzamento dei vecchi apparati del potere fascista, non servirebbe a niente
(e sia chiaro che, in tal caso, la "truppa" sarebbe, già per sua costituzione,
nazista). Il potere reale che da una decina di anni le "teste di
legno" hanno servito senza accorgersi della sua realtà: ecco qualcosa che
potrebbe aver già riempito il "vuoto" (vanificando anche la possibile
partecipazione al governo del grande paese comunista che è nato nello sfacelo
dell'Italia: perché non si tratta di "governare"). Di tale
"potere reale" noi abbiamo immagini astratte e in fondo
apocalittiche: non sappiamo raffigurarci quali "forme" esso assumerebbe
sostituendosi direttamente ai servi che l'hanno preso per una semplice
"modernizzazione" di tecniche. Ad ogni modo, quanto a me (se ciò ha
qualche interesse per il lettore) sia chiaro: io, ancorché multinazionale,
darei l'intera Montedison per una lucciola.
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