"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

giovedì 31 gennaio 2019

Terzapagina. 66 «Tra élite e gente, non è possibile alcun patto».

Tratto da “Né élite né gente, democrazia è unire la società” di Gustavo Zagrebelsky, pubblicato sul quotidiano la Repubblica del 30 di gennaio 2019:

mercoledì 30 gennaio 2019

Sullaprimaoggi. 57 «Una Repubblica im-personale e in-consapevole».


Tratto da “Gli italiani vogliono il leader forte piace la democrazia senza partiti” di Ilvo Diamanti, pubblicato sul quotidiano la Repubblica del 28 di gennaio 2019: La “nostra” democrazia sta cambiando. Non da oggi. Ma, da qualche tempo, i segni del mutamento appaiono più evidenti. In Italia come (e più che) altrove. Mi riferisco, specificamente, alla democrazia “rappresentativa”.

martedì 29 gennaio 2019

Cronachebarbare. 63 «È all'opera l'incultura della sopraffazione».


Ha scritto Maurizio Viroli nella Sua premessa al volume “La libertà dei servi” – Laterza (2010) pagg. 139, € 15 -: (…). Ritengo (…) che l’Italia sia un paese libero, nel senso che c’è sì la libertà, ma quella dei servi, non quella dei cittadini. La libertà dei servi o dei sudditi consiste nel non essere ostacolati nel perseguimento dei nostri fini. La libertà del cittadino consiste invece nel non essere sottoposti al potere arbitrario o enorme di un uomo o di alcuni uomini. Poiché in Italia si è affermato un potere enorme, siamo – per il solo fatto che tale potere esiste – nella condizione dei servi. (…).

lunedì 28 gennaio 2019

Riletture. 61 «Caro Orwell…».


Tratto da “Caro Orwell, adesso ti chiedo scusa” di Adam Gopnik, pubblicato sul quotidiano la Repubblica del 28 di gennaio dell’anno 2017: Temo di dover fare una confessione terribile: non sono mai stato un grande entusiasta di 1984 di George Orwell. Nelle sue proiezioni dal presente al futuro, mi è sempre sembrato troppo perfetto e studiato, un po’ carente rispetto a quelle rappresentazioni irreali che cerchiamo nella letteratura distopica. (…).

domenica 27 gennaio 2019

Sullaprimaoggi. 56 «L'oblio è stato parte del progetto di sterminio».



27 di gennaio 1945-27 di gennaio 2019. Per non dimenticare. “Un’altra notte. Torvo, il cielo si chiude ancora sul silenzio mortale volteggiando come un avvoltoio. Simile ad una bestia acquattata, la luna cala sul campo – pallida come un cadavere”.  Da “The Auschwitz Poems" di Tadeusz Borowski, detenuto in quel campo.


sabato 26 gennaio 2019

Terzapagina. 65 «Sotto le bandiere di un "realismo" senza virtù».


Tratto da “Senza giustizia non c'è democrazia” di Massimo Cacciari, pubblicato sul settimanale L'Espresso del 20 di gennaio 2019: Tra i benefici che arreca quest'epoca in cui tutti sono informati su tutto e perciò esonerati dal comprendere è da annoverarsi senz'altro quello che impedirà a chicchessia domani di dire "non c'ero", "non sapevo". Testimonianze, foto, filmati fanno il giro del mondo a mostrare esodi sanguinosi di milioni di persone, lager, stupri, torture, naufragi. Le ragioni profonde, le cause che rendono quegli esodi irreversibili, non solo non vengono affrontate, sembrano neppure più interessare. L'Occidente che per almeno due millenni non ha lasciato il mondo in pace per un solo secondo, l'Occidente che ha fatto del pianeta un unico Globo, ora erige muraglie a sua difesa. Europa e Nord America, che erano 1/3 della popolazione mondiale alla vigilia del primo suicidio europeo (1913) e sono oggi meno di 1/7, per scendere tra breve a meno di 1/10, invocano per salvarsi la saldezza dei propri confini. L'Europa che aveva quasi cinque volte gli abitanti dell'Africa, oggi ne conta la metà. Nei prossimi trent'anni la popolazione nell'insieme dei Paesi più poveri (che continueranno a esserlo in assoluto sempre di più) raddoppierà, a fronte di nessun aumento nei paesi occidentali dell'ex-benessere. Perché le economie europee possano ancora far lavorare le loro industrie, la loro agricoltura, i loro servizi si calcola che dovremo "accogliere" in qualche modo almeno 8 milioni di persone. Con famiglie o senza? Integrandoli come? Scherziamo? Chi pone queste domande vive nel mondo dei sogni, è un "buonista": Il politico di razza, il realista sa bene che il vero problema, invece, è quello di non concedere l'accesso di un porto a una nave, rimandare a casa a morire di fame o di guerra qualche decina di disperati, oppure, più efficace ancora rispetto ai problemi che affliggono l'umanità, promulgare una legge sulla legittima difesa. Tuttavia, ormai, anche ragionamenti basati su inconfutabili elementi di fatto e mero buon senso debbono lasciare il posto a considerazioni culturali di fondo.

venerdì 25 gennaio 2019

Riletture. 60 «Mah, questa dell’uomo forte forse è una cazzata».


Tratto da “A otto italiani su dieci serve l’uomo forte (e pure un medico bravo)” di Alessandro Robecchi, pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 25 di gennaio dell’anno 2017: I sondaggi parlano chiaro: otto italiani su dieci vogliono l’uomo forte, il leader carismatico, il Capo. (…). È un mito divertente, questo dell’uomo forte che comanda da solo, ogni tanto torna su come la peperonata, ma i risultati degli uomini forti sono lì da vedere: non proprio da vantarsi, ecco. L’ultimo uomo forte che ci è toccato andava in giro con quelle facezie degli otto milioni di baionette e dell’Italia inarrestabile potenza, e poi – dopo qualche milioncino di morti – s’è visto, l’hanno beccato che scappava in Svizzera, tragico fantozzismo prima di Fantozzi. Dopo, solo caricature e smisurate ambizioni. Ma soprattutto prodigiosi abbagli di chi scambiava per “uomo forte” il primo che passava, osservandone il triste tragitto da dono della provvidenza a figurante generico, a volte nel giro di qualche mese, tra lo sconcerto generale e le risate in sottofondo.

giovedì 24 gennaio 2019

Sullaprimaoggi. 55 «Quella dell'utilità marginale decrescente».


Tratto da «La "pazzia" di tassare i ricchi» di Paul Krugman, pubblicato sul “The New York Times”  e riportato sul quotidiano la Repubblica dell’11 di gennaio 2019: (…). Quella dell'utilità marginale decrescente è l'idea di buon senso secondo cui un dollaro in più vale molto meno in termini di soddisfazione economica per le persone con redditi molto elevati rispetto a quelle con redditi bassi. Se diamo a una famiglia con un reddito annuo di 20.000 dollari una somma extra di 1.000 dollari, questo fa una grande differenza per la loro vita. Se invece diamo questi mille dollari a uno che ne guadagna 1 milione, probabilmente nemmeno se ne accorge. In termini di politica economica, questo significa che non dobbiamo preoccuparci degli effetti di una politica sui redditi dei molto ricchi.

mercoledì 23 gennaio 2019

Riletture. 59 «Chi si farà garante della pace? Non la religione».



A lato. 1572 - La strage dei Valdesi a Parigi la notte di San Bartolomeo.

Tratto da “Senza libertà di parola la democrazia è una finzione” di Ian Mcewan – scritto a seguito del massacro compiuto nella redazione parigina della rivista “Charlie Hebdo” il 7 di gennaio dell’anno 2015 -, pubblicato sul quotidiano la Repubblica del 23 di gennaio dello stesso anno: (…). Dai loro diversi templi le religioni fanno quotidiano esercizio di blasfemia l’una contro l’altra. Gesù è figlio di Dio? Non per i musulmani. Maometto è l’ultimo messaggero di Dio sulla terra? Non per i cristiani. L’universo si può spiegare o esplorare meglio secondo la cosmologia basata sulla fisica, lasciando Dio da parte? Non per i musulmani o i cristiani. Chi si farà garante della pace? Non la religione. La storia europea ci rammenta che all’epoca in cui il cristianesimo viveva il suo massimo splendore totalitario pre-illuministico e poi il suo massimo scisma, l’intolleranza nei confronti di piccole diversità fu causa, come nel caso della Guerra dei trent’anni, di barbarie e carneficine di dimensioni terrificanti. E di persecuzione, tortura e terrore, dalla condanna al rogo di William Tyndale per aver tradotto la Bibbia in inglese, allo scandalo dell'inquisizione spagnola e, in reazione, a sconvolgenti barbarie a spese dei cattolici. L'Islam, dal Pakistan all'Arabia Saudita e altri paesi del Golfo, dall'Indonesia alla Turchia e all'Egitto, sta vivendo in questa fase una propria versione di totalitarismo. Leggiamo quotidianamente di torture, carcerazioni e condanne a morte ai danni di musulmani che vogliono abbandonare l'Islam o quanto meno metterlo in discussione. Vengono puniti per aver violato i codici islamici di apostasia e blasfemia, passibili di ampie interpretazioni. In Pakistan, i politici usano le leggi contro la blasfemia come armi letali. In Egitto un insegnante è stato in carcere per tre anni per aver parlato a lezione di altre fedi religiose. In tutto il Medio Oriente il cristianesimo e il zoroastrismo sono scacciati dalle loro terre d'origine. In Turchia la libertà di stampa è oggetto di continui attacchi da parte dei conservatori religiosi. I regimi autoritari arabi fanno un uso cinico e strumentale della legge della Sharia per bloccare l'opposizione politica. Boko Haram e l'Is, con la loro intolleranza assurda e terribile, portano all'esasperazione le prassi di alcuni stati dando vita a un incubo. In Arabia Saudita, sede dei più venerati santuari dell'Islam, l'apostasia comporta la pena capitale. Il più recente, brutale, atto di repressione saudita contro la libertà di parola — la condanna a mille frustrate e dieci anni di prigione — mostra lo spregio delle autorità per l'Islam come religione di pace, ed ha provocato in tutto il mondo un'ondata di disgusto, in alcuni casi espresso esplicitamente da parte musulmana. Nelle città dell'Occidente, ampiamente stratificate di razze e religioni, il solo garante della libertà di culto e della tolleranza universale è lo stato laico. Esso rispetta tutte le religioni in seno alla legalità e crede a tutte — o a nessuna. La differenza è tra- scurabile, perché non tutte le religioni possono corrispondere a verità. Il principio di libertà di parola è fondamentale. Il prezzo da pagare è l'offesa occasionale. È lecito pretendere che l'offesa non conduca alla violenza o a minacce di violenza. La ricompensa è la libertà per tutti di badare ai propri affari nella pratica lecita del proprio credo. La libertà che consente ai redattori di Charlie Hebdo di fare satira è la stessa libertà che consente ai musulmani di Francia di praticare il loro culto e di esprimere apertamente le loro opinioni. Il credente non accetta questa doppia faccia della libertà. La libertà di parola è dura, fa rumore, a volte ferisce, ma quando è necessario far convivere una simile pluralità di opinioni non lascia alternative, se non l'intimidazione, la violenza e l'aspro conflitto tra comunità. La libertà di parola non è mai esagerata. Non è un lusso che si permettono i giornalisti e i romanzieri. E non è assoluta. Le limitazioni che le si impongono (ad esempio per circoscrivere il campo d'azione online dei pedofili) devono essere frutto di leggi approvate in seno a istituzioni democratiche. Ma senza libertà di parola la democrazia è una finzione. Tutte le libertà che possediamo o vorremmo possedere (inclusa la parità dei sessi, la libertà di orientamento sessuale, l'habeas corpus e il giusto processo, il suffragio universale, la libertà di associazione — e così via) sono frutto di pensieri, parole e scritti liberi. La libertà di parola, di dare e ricevere informazioni, porre domande scomode, di ricerca accademica, di critica, di fantasia, di satira — l'interscambio dell'intera gamma delle nostre capacità intellettuali, è la libertà che fa esistere tutte le altre. La libertà di parola non è il nemico della religione, è il suo nume tutelare. È grazie alla sua presenza che Parigi Londra e New York sono piene di moschee. A Riyadh, dove è assente, le chiese sono vietate. Oggi come oggi chi importa una Bibbia lì rischia la pena di morte.

martedì 22 gennaio 2019

Terzapagina. 64 «Il mercato a misura di tutte le cose».


Tratto da “Perché la sinistra è in declino in tutto l'Occidente” di Umberto Galimberti, pubblicato sul settimanale “D” del 2 di dicembre dell’anno 2017: L'egemonia del mercato ha alterato il teatro delle rivendicazioni. Condannando gli ideali a diventare sogni obsoleti. (…). La globalizzazione ha subordinato la politica all'economia, che ha eretto il mercato a misura di tutte le cose. Anche l'arte, giusto per fare un esempio, diventa arte quando entra nel mercato, altrimenti resta una pura e semplice espressione biografica. Noi occidentali abbiamo esportato il mercato in tutto il mondo e, insieme con il mercato, abbiamo tentato di esportare anche la democrazia e i diritti umani. Sacrificandoli subito entrambi, non appena ci rendiamo conto che potrebbero confliggere con gli interessi del mercato stesso. Dopo aver eretto il denaro a generatore simbolico di tutti i valori, il mercato ha creato una cultura più confacente alla destra che alla sinistra, come dimostra la vittoria di Trump in America e l'avanzata delle forze reazionarie in Europa. La sinistra ha cercato di porre un freno con uno strumento vecchio, o per lo meno invecchiato, come la contrapposizione di classe che, nonostante gli scioperi e le rivendicazioni, non ha prodotto alcun effetto significativo per i ceti meno abbienti. La ragione è ben illustrata da Hegel, secondo il quale la lotta di classe è possibile, e può essere anche vittoriosa, quando c'è un conflitto tra due volontà. Nel linguaggio di Hegel, la volontà del servo e la volontà del signore. Così è stato, per esempio, nel Sessantotto, quando la volontà del signore era metaforicamente rappresentata da Gianni Agnelli e la volontà del servo dalla classe operaia. Oggi, sia la volontà del servo, sia quella del signore sono sulla stessa linea e hanno come controparte il mercato con la sua ferrea razionalità, che prevede unicamente il raggiungimento del massimo dei profitti con l'impiego minimo dei mezzi. Come ci si può opporre al mercato? Il mercato è nessuno. Anche se il filosofo Romano Madera fa notare che già Omero segnalava che Nessuno è sempre il nome di qualcuno. Ma dove si trova questo qualcuno e come si può condizionarlo? Il risultato è che ormai il mercato e la razionalità che lo governa sono vissuti dall'inconscio collettivo come leggi di natura. Sempre per ragioni di mercato, abbiamo ridotto la terra a semplice materia prima da sfruttare fino all'usura. Ma, essendo questo problema troppo grande rispetto agli orizzonti ristretti in cui abitualmente si muove la politica, la sinistra non se ne è mai veramente occupata. Anche se poi oggi è costretta a farsi carico delle sue conseguenze, come nel caso dei migranti economici che giungono da noi per fame anche a seguito, se non soprattutto, della desertificazione crescente delle loro terre. Infine, a differenza della destra il cui collante è costituito, soprattutto in Italia, dagli interessi e dai privilegi da difendere, la sinistra, nelle sue espressioni migliori, ha degli ideali. E sugli ideali ci si divide, ci si contrappone con una passione che spesso acceca, preferendo la testimonianza alla responsabilità, che chiede al politico di governare. E di sapere che il governo non è mai l'attuazione di un ideale puro, bensì la continua mediazione fra ideali che accettano di rinunciare in parte alla loro purezza per trovare il consenso necessario a costruire una maggioranza. La destra, divisa su tutte le proposte ideali, ci riesce. La sinistra no. Ma l'ideale che non diventa mai reale finisce con l'evaporare nell'inconsistenza di un sogno. Che al risveglio svanisce.

lunedì 21 gennaio 2019

Sullaprimaoggi. 54 Un conto da rapina pagato dagli europei.


Tratto da “Superstipendi, benefit e sprechi. Il conto della Ue” di Lorenzo Cipolla, pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 20 di gennaio 2019: Il presidente della Commissione europea Jean Claude Juncker, fresco di pentimento sulle politiche di austerità, percepisce 27.436,90 euro al mese cioè il 138% dello stipendio del funzionario con più alto grado tra i commissari. Non sfigura però nemmeno la ministra degli Esteri dell’Ue, l’alto rappresentante Federica Mogherini che ne prende 25.845,35, circa 3mila euro di più di tutti gli altri commissari, che si fermano a 22.852,26 euro al mese. Pierre Moscovici, commissario per gli affari economici e monetari, 22.367 euro. Incarichi importanti, lautamente retribuiti. Che da qualche giorno sono finiti nel mirino del Movimento 5 Stelle Europa, che ha lanciato la campagna per il taglio degli stipendi dei commissari Ue, “uno schiaffo – dicono – agli oltre 100 milioni di poveri dell’Unione”. Anche perché i benefit non finiscono con la conclusione del mandato: c’è un “sussidio – denuncia ancora M5S Europa – che i Commissari ricevono alla fine del loro mandato per una durata di due anni” che consente loro di ricevere fino al 65% dello stipendio. Una spesa che impegna 682mila euro nel bilancio europeo 2019. Sarà un anno di spese straordinarie, questo. Con le elezioni di maggio e il turnover tra chi entra e chi esce si spenderanno diverse centinaia di mila euro in più tra viaggi, entrata in servizio o cessazione, indennità di prima sistemazione, traslochi e uscite varie. In totale, la cifra messa in preventivo per gli stipendi degli eurocommissari è di 2,4 milioni in più rispetto al 2018 (da 10,2 miliardi a 12,6). Il bilancio complessivo della Commissione per il 2018 è stato di 3,56 miliardi. La maggior parte se n’è andata in stipendi, esclusi i 10 milioni e 200 mila euro dei commissari: funzionari e staff sono costati in totale 2,2 miliardi di euro. Un altro miliardo è servito per le spese amministrative; 164 milioni in apparecchiature informatiche, affitti e rimborsi e spese di sicurezza per le abitazioni, 291 milioni per spese di rappresentanza, meeting e convegni. Più sobrio, in termini assoluti, l’Europarlamento che ha speso 1,9 miliardi nel 2018. Ma basti solo pensare che ha ben tre sedi, Bruxelles, Strasburgo e Lussemburgo. Questa giostra gira dal 1992 e la Corte dei conti ha stimato uno spreco di 114 milioni di euro ogni anno. Se si accorpassero le sedi il risparmio sarebbe di 127,2 milioni. Spesso si votano mozioni che vanno in questa direzione, ma la Francia – dove il Parlamento ha una delle tre sedi – pone sempre il veto. Gli europarlamentari, che già “costano” 313 euro per ogni giornata passata a Bruxelles o a Strasburgo, ricevono anche un’indennità di viaggio particolare perché funziona al contrario. Più vicini restano, più intascano di rimborso, 23 euro e spicci se non vanno oltre i 50 chilometri, 0,03 centesimi se superano i mille. Se le trasferte non superano gli 800 chilometri i parlamentari non devono presentare alcun rendiconti, se devono anche pernottare percepiscono un’indennità doppia ma devono portare le ricevute. Quanto agli staff, se non altro, in Europa va meglio che da noi per i 2000 assistenti parlamentari: gli stipendi, tutti in regola e pagati direttamente dall’istituzione, partono da 1800 euro mensili. Mentre in Italia siamo riusciti ad abolire, nel 2014, il finanziamento pubblico ai partiti, all’Europarlamento non si discute nemmeno. Anzi, le spese – comprensive anche dei costi per le campagne elettorali – aumentano. Anche qui, il 2019 come ovvio sarà anno di extra: sono stati messi a budget quasi 50 milioni per i partiti e una ventina per le fondazioni. Tra le spese straordinarie in vista dell’arrivo del fine mandato c’è anche l’indennità di transizione: per i parlamentari uscenti c’è un mese di stipendio per ogni anno da eletto, con un minimo di sei mesi e un massimo di due anni. Ma pure una buona pensione, 1500 euro puliti, che si possono cumulare con altri redditi e addirittura raddoppiano se il parlamentare ha fatto due mandati. Arriveranno allo scoccare dei 63 anni, per il resto della vita.