Da che mondo è mondo quelli dell'«Io-minchia»
sono sempre esistiti, per far danno all’umano genere. Basti pensare a quell'«Io-minchia»
venuto da Predappio che per venti anni sollazzò le inebetite folle con
la grandiosità del suo parlare e divinare scenari impossibili ed imperi che si
sono sciolti come la neve al sole. Un «Io-minchia» osannato per divenire
financo “gran cavaliere d’Italia”. E perché no, poi? E poi quell'«Io-minchia»
in tempi a noi più prossimi, venuto da quel di Arcore: quale «Io-minchia»
quello poi, tanto da meritarsi l’appellativo di “egoarca” (copyright di
Stefano Benni). Un altro ventennio da strapazzo per l’inculturato e disastrato
paese. Finì il capostipite degli «Io-minchia» come ben sappiamo, in
quella forma brutale sì ma che rendeva dente per dente, come suol dirsi. Tempi
brutali quelli ché col secondo degli «Io-minchia» ci pensarono i “poteri
forti” dell’Europa a levarcelo di torno. E di quell’«Io-minchia» venuto da
Rignano sull’Arno? Un altro ancora per prendere per i fondelli un popolo
scriteriato e senza un briciolo di amor proprio.
Ché se non fosse tanto scriteriato non si sarebbe lasciato titillare per anni ed anni con fanfaluche e prestidigitazioni spericolate dell’«Io-minchia» di turno. Tanto per gradire. Ed oggigiorno il pistolero della padania, una fanfaluca quella, la padania intendo dire, da scompisciarsi dal ridere. Eppure è arrivato al potere terrorizzando non solo il suo disastrato paese ma l’intero continente con quella minaccia tipica di un «Io-minchia» di restarsene a s-governare almeno per trenta anni buoni. Annuncio terrorizzante. Un’idea geniale tipica di un «Io-minchia» che più «Io-minchia» non si può, neppure ad immaginarlo. Eppure è lì a s-governare. Grande conoscitore degli uomini-«Io-minchia» fu quel grande a nome di Carlo Emilio Gadda – quello, per intenderci, che ha scritto “Quer pasticciaccio brutto de via Merulana” - che nel Suo “Eros e Priapo” (1945) ebbe modo di descriverli nei termini – ai tanti ben noti - seguenti: (…). «Il folle narcissico è incapace di analisi psicologiche, non arriva mai a conoscere gli altri: né i suoi, né i nemici, né gli alleati. Perché? Perché in lui tutto viene relato alla erezione perpetua e alla prurigine erubescente dell'Io-minchia, invaghito, affocato, affogato di sé medesimo. E allora gli adulatori sono tenuti per genii: e per commilitoni pronti a morire col padrone, anzi prima di lui facendo scudo del loro petto. (In realtà, appena sentono odor di bruciato se la squagliano). I non adulatori sono ripudiati come persone sospette ed equivoche. I contraddittori sono delinquenti punibili con decine di anni di carcere. I derisori e gli sbeffeggiatori sono da appendere pel collo. Seconda caratterizzazione aberrante e analoga alla prima è la loro incapacità alla costruzione etica e giuridica: poiché tutto l'ethos si ha da ridurre alla salvaguardia della loro persona, ché è persona scenica e non persona gnostica ed etica, e alla titillazione dei loro caporelli, in italiano capezzoli: e all'augumento delle loro prerogative, per quanto arbitrarie o dispotiche, o tutt'e due. Lo jus, per loro, è il turibolo: religio è l'adorazione della loro persona scenica; atto lecito è unicamente l'idolatria patita ed esercitata nei loro confronti; crimine è la mancata idolatria». (…). Non c’è stata una descrizione più esaustiva del Nostro appena riportata. Che dire? Scriveva quel bastian contrario che è stato nella Sua avventurosa vita l’indimenticato Giorgio Bocca nell’ultima Sua puntata settimanale sul “Venerdì di Repubblica”, puntata che porta per titolo “Se tra anarchia e cattivo gusto l'Italia si smarrisce”: (…). L'anarchia italica toglie il respiro, avvelena il piacere di vivere, è una spessa colata di delitti che, unita al cattivo gusto, forma una mistura micidiale, soffocante, in cui le diversità fra gli onesti e i ladri, fra chi rispetta la legge e chi la viola, si perde in un impasto vischioso. Neppure i servi più servi osano più ricorrere alla condanna nazionalista a chi «sputa nel piatto in cui mangia», ora questo piatto è pieno fino all'orlo di immondizia, i suoi miasmi salgono, volenti o nolenti, alle narici di tutti, vivere nel fetore non è un bel vivere. Ma c'è qualcosa di peggio, c'è che si rivelano i vizi del migliore dei sistemi di convivenza di governo, la democrazia. (…). Di certo la libertà senza limiti, il libero sfogo di tutti i nostri desideri e vizi è una causa di fastidio, di difficile convivenza tra gli altri, per cui rimane attuale la massima les amours des autres sont ignobles, cioè l'esortazione al rispetto della privacy, l'elogio della moderazione.” In fondo l’illustre opinionista parla di quella “caligine” resa impenetrabile e che rende faticosa la “condizione del vivere”. Chiedo soccorso, in questa occasione, alla Scienza, così come avevo chiesto soccorso all’arte della scrittura. Le arti, la cultura, tanto vilipese ai tempi del signor B., ci soccorrono nel ginepraio che i giorni del nostro scontento hanno tessuto, avviluppando, soffocando, il nostro vivere politico e sociale. Di seguito trascrivo, in parte, una illuminante, breve riflessione dello psichiatra e psicoterapeuta Luigi Cancrini, riflessione che il quotidiano l’Unità ha in altri anni pubblicato col titolo “Disturbo narcisistico e leadership patologica. Il metodo diagnostico”. Vola alta la prosa dell’illustre Autore, forte della Scienza che la informa. Oserei fare, privo di scienza quale io mi ritrovo, una semplicissima osservazione. Parto da una affermazione del soggetto che ha ispirato la riflessione all’illustre Autore, quell’«Io-minchia» venuto da Arcore, affermazione resa al quotidiano “Libero” – libero da cosa? da chi? per fare cosa? – nell’anno 2002, quando si capeggiavano disinvoltamente i “family day” e quant’altro avesse a che fare con la difesa della sacralità della famiglia, o delle numerose famiglie messe su disinvoltamente, riconosciute o meno, e quando ci si ergeva a difensori strenui della vita vissuta dagli inermi in fondo ad un letto ed intubati convenientemente: “Bisogna pulire le strade. Come molti italiani non ne posso più di vergognarmi a girare con i miei figli. Prostituzione ovunque, perizoma in mostra, e anche il resto, dappertutto, senza ritegno”. La Scienza ci soccorra. Se così non fosse, rimarrebbe inspiegata ed inspiegabile la compresenza, nello stesso soggetto psichico, di un così altisonante, pedagogico contrasto tra il suo vissuto intriso di ben altri comportamenti, atteggiamenti e convinzioni e la testé l’affermazione resa. Un evidente sdoppiamento della personalità. Se così fosse, ovvero di un riconosciuto, dalla Scienza, sdoppiamento della personalità, quale delle due personalità prevarrebbe, per esempio, nell’esercizio delle alte funzioni istituzionali per le quali quell’«Io-minchia», in quanto puranco soggetto psichico, è chiamato ad esercitare la sua laboriosità? Dubbi e preoccupazioni dell’uomo incolto della strada quale il sottoscritto si ritrova: (…). Scriveva (…) Freud nel 1914: «Appare molto chiaro che il narcisismo di una persona esercita un certo fascino su quanti hanno rinunciato a parte del loro stesso narcisismo e che sono alla ricerca dell’oggetto d’amore; il fascino del bambino si basa in larga parte sul suo narcisismo, sulla sua autosufficienza e sulla sua inaccessibilità, proprio come il fascino di certi animali che sembrano non curarsi affatto di noi, come i gatti e i grandi predatori. È come se invidiassimo loro la capacità di serbare uno stato di beatitudine, un’inattaccabile posizione di libido, alla quale noi abbiamo da tempo rinunciato». Carisma, nel tempo dei media, è sempre più questo e non richiede competenze reali sui problemi. È telegenico?, ci chiediamo, invece di chiederci: è davvero preparato e capace? E il più narcisista spesso vince. Kernberg (1984) parla di come i narcisisti tendono ad essere promiscui in quanto entrano in relazione solo con delle parti del corpo. I problemi sessuali del maschio (…) possono essere attribuiti, secondo lui, ad un’invidia inconscia e ad una smania di possesso per le donne. Questo genere di maschio desidera sciupare e svalutare le donne. L’autonomia che così spesso lo caratterizza, non è altro che una difesa. Rappresenta una via d’uscita dalla proiezione della propria smania di possesso nei confronti delle donne. Il narcisista di successo reagisce alle contrarietà con la collera, con la denigrazione dell’altro o con la teoria del complotto. Entra davvero in crisi solo quando quello che accade è irreparabile, come nel caso della morte di una persona cara, della perdita di un legame importante o dall’incontro, inevitabile, con la vecchiaia del corpo. Il movimento depressivo può debordare, in questi casi, dando luogo ad una esasperazione caricaturale dei suoi comportamenti meno riusciti. Il disprezzo per gli altri (le altre), l’aggressività e la rabbia vengono allora in primo piano insieme ad un bisogno maniacale di rifugiarsi nel proprio mondo personale: un mondo in cui trovano posto solo i complici e gli adulatori, quelli che hanno bisogno di lui e che più o meno autenticamente lo ammirano. Quando le vicende della vita lo portano ad una terapia, invece, quello che si può tentare di fare è di aiutarlo a diventare consapevole della sua potenza distruttiva. La nuova consapevolezza di nutrire dei sentimenti ostili darà luogo a sensi di colpa e ad una depressione costruttiva. Via via che la terapia continua, verrà, poi, fuori una matura considerazione degli altri e dei loro sentimenti. Voler bene a chi sta male vuol dire stargli vicino, sostenerlo, ascoltarlo ma, anche e a tratti soprattutto, confrontarlo sulle cose sbagliate e autodistruttive che fa. Amico del tossicodipendente da eroina è chi lo confronta per farlo smettere, non chi gli dà i soldi per comprarla. Amico di una persona che ha problemi di dipendenza dal sesso non è chi gli porta in casa le escort e le ragazzine, silenziosamente suggerendogli che lui è il Capo e può fare quello che vuole. Amico è chi, come fanno a volte le mogli, gli dice che sta sbagliando. Che deve smettere. I guasti che un leader patologico può produrre nella struttura o nelle strutture di cui ha il comando o la responsabilità consistono essenzialmente nell’aumento della conflittualità all’interno di tali strutture, nella diminuzione brutale della loro efficienza e nel peggioramento forte della qualità della vita nelle persone che in esse operano. (…).
Ché se non fosse tanto scriteriato non si sarebbe lasciato titillare per anni ed anni con fanfaluche e prestidigitazioni spericolate dell’«Io-minchia» di turno. Tanto per gradire. Ed oggigiorno il pistolero della padania, una fanfaluca quella, la padania intendo dire, da scompisciarsi dal ridere. Eppure è arrivato al potere terrorizzando non solo il suo disastrato paese ma l’intero continente con quella minaccia tipica di un «Io-minchia» di restarsene a s-governare almeno per trenta anni buoni. Annuncio terrorizzante. Un’idea geniale tipica di un «Io-minchia» che più «Io-minchia» non si può, neppure ad immaginarlo. Eppure è lì a s-governare. Grande conoscitore degli uomini-«Io-minchia» fu quel grande a nome di Carlo Emilio Gadda – quello, per intenderci, che ha scritto “Quer pasticciaccio brutto de via Merulana” - che nel Suo “Eros e Priapo” (1945) ebbe modo di descriverli nei termini – ai tanti ben noti - seguenti: (…). «Il folle narcissico è incapace di analisi psicologiche, non arriva mai a conoscere gli altri: né i suoi, né i nemici, né gli alleati. Perché? Perché in lui tutto viene relato alla erezione perpetua e alla prurigine erubescente dell'Io-minchia, invaghito, affocato, affogato di sé medesimo. E allora gli adulatori sono tenuti per genii: e per commilitoni pronti a morire col padrone, anzi prima di lui facendo scudo del loro petto. (In realtà, appena sentono odor di bruciato se la squagliano). I non adulatori sono ripudiati come persone sospette ed equivoche. I contraddittori sono delinquenti punibili con decine di anni di carcere. I derisori e gli sbeffeggiatori sono da appendere pel collo. Seconda caratterizzazione aberrante e analoga alla prima è la loro incapacità alla costruzione etica e giuridica: poiché tutto l'ethos si ha da ridurre alla salvaguardia della loro persona, ché è persona scenica e non persona gnostica ed etica, e alla titillazione dei loro caporelli, in italiano capezzoli: e all'augumento delle loro prerogative, per quanto arbitrarie o dispotiche, o tutt'e due. Lo jus, per loro, è il turibolo: religio è l'adorazione della loro persona scenica; atto lecito è unicamente l'idolatria patita ed esercitata nei loro confronti; crimine è la mancata idolatria». (…). Non c’è stata una descrizione più esaustiva del Nostro appena riportata. Che dire? Scriveva quel bastian contrario che è stato nella Sua avventurosa vita l’indimenticato Giorgio Bocca nell’ultima Sua puntata settimanale sul “Venerdì di Repubblica”, puntata che porta per titolo “Se tra anarchia e cattivo gusto l'Italia si smarrisce”: (…). L'anarchia italica toglie il respiro, avvelena il piacere di vivere, è una spessa colata di delitti che, unita al cattivo gusto, forma una mistura micidiale, soffocante, in cui le diversità fra gli onesti e i ladri, fra chi rispetta la legge e chi la viola, si perde in un impasto vischioso. Neppure i servi più servi osano più ricorrere alla condanna nazionalista a chi «sputa nel piatto in cui mangia», ora questo piatto è pieno fino all'orlo di immondizia, i suoi miasmi salgono, volenti o nolenti, alle narici di tutti, vivere nel fetore non è un bel vivere. Ma c'è qualcosa di peggio, c'è che si rivelano i vizi del migliore dei sistemi di convivenza di governo, la democrazia. (…). Di certo la libertà senza limiti, il libero sfogo di tutti i nostri desideri e vizi è una causa di fastidio, di difficile convivenza tra gli altri, per cui rimane attuale la massima les amours des autres sont ignobles, cioè l'esortazione al rispetto della privacy, l'elogio della moderazione.” In fondo l’illustre opinionista parla di quella “caligine” resa impenetrabile e che rende faticosa la “condizione del vivere”. Chiedo soccorso, in questa occasione, alla Scienza, così come avevo chiesto soccorso all’arte della scrittura. Le arti, la cultura, tanto vilipese ai tempi del signor B., ci soccorrono nel ginepraio che i giorni del nostro scontento hanno tessuto, avviluppando, soffocando, il nostro vivere politico e sociale. Di seguito trascrivo, in parte, una illuminante, breve riflessione dello psichiatra e psicoterapeuta Luigi Cancrini, riflessione che il quotidiano l’Unità ha in altri anni pubblicato col titolo “Disturbo narcisistico e leadership patologica. Il metodo diagnostico”. Vola alta la prosa dell’illustre Autore, forte della Scienza che la informa. Oserei fare, privo di scienza quale io mi ritrovo, una semplicissima osservazione. Parto da una affermazione del soggetto che ha ispirato la riflessione all’illustre Autore, quell’«Io-minchia» venuto da Arcore, affermazione resa al quotidiano “Libero” – libero da cosa? da chi? per fare cosa? – nell’anno 2002, quando si capeggiavano disinvoltamente i “family day” e quant’altro avesse a che fare con la difesa della sacralità della famiglia, o delle numerose famiglie messe su disinvoltamente, riconosciute o meno, e quando ci si ergeva a difensori strenui della vita vissuta dagli inermi in fondo ad un letto ed intubati convenientemente: “Bisogna pulire le strade. Come molti italiani non ne posso più di vergognarmi a girare con i miei figli. Prostituzione ovunque, perizoma in mostra, e anche il resto, dappertutto, senza ritegno”. La Scienza ci soccorra. Se così non fosse, rimarrebbe inspiegata ed inspiegabile la compresenza, nello stesso soggetto psichico, di un così altisonante, pedagogico contrasto tra il suo vissuto intriso di ben altri comportamenti, atteggiamenti e convinzioni e la testé l’affermazione resa. Un evidente sdoppiamento della personalità. Se così fosse, ovvero di un riconosciuto, dalla Scienza, sdoppiamento della personalità, quale delle due personalità prevarrebbe, per esempio, nell’esercizio delle alte funzioni istituzionali per le quali quell’«Io-minchia», in quanto puranco soggetto psichico, è chiamato ad esercitare la sua laboriosità? Dubbi e preoccupazioni dell’uomo incolto della strada quale il sottoscritto si ritrova: (…). Scriveva (…) Freud nel 1914: «Appare molto chiaro che il narcisismo di una persona esercita un certo fascino su quanti hanno rinunciato a parte del loro stesso narcisismo e che sono alla ricerca dell’oggetto d’amore; il fascino del bambino si basa in larga parte sul suo narcisismo, sulla sua autosufficienza e sulla sua inaccessibilità, proprio come il fascino di certi animali che sembrano non curarsi affatto di noi, come i gatti e i grandi predatori. È come se invidiassimo loro la capacità di serbare uno stato di beatitudine, un’inattaccabile posizione di libido, alla quale noi abbiamo da tempo rinunciato». Carisma, nel tempo dei media, è sempre più questo e non richiede competenze reali sui problemi. È telegenico?, ci chiediamo, invece di chiederci: è davvero preparato e capace? E il più narcisista spesso vince. Kernberg (1984) parla di come i narcisisti tendono ad essere promiscui in quanto entrano in relazione solo con delle parti del corpo. I problemi sessuali del maschio (…) possono essere attribuiti, secondo lui, ad un’invidia inconscia e ad una smania di possesso per le donne. Questo genere di maschio desidera sciupare e svalutare le donne. L’autonomia che così spesso lo caratterizza, non è altro che una difesa. Rappresenta una via d’uscita dalla proiezione della propria smania di possesso nei confronti delle donne. Il narcisista di successo reagisce alle contrarietà con la collera, con la denigrazione dell’altro o con la teoria del complotto. Entra davvero in crisi solo quando quello che accade è irreparabile, come nel caso della morte di una persona cara, della perdita di un legame importante o dall’incontro, inevitabile, con la vecchiaia del corpo. Il movimento depressivo può debordare, in questi casi, dando luogo ad una esasperazione caricaturale dei suoi comportamenti meno riusciti. Il disprezzo per gli altri (le altre), l’aggressività e la rabbia vengono allora in primo piano insieme ad un bisogno maniacale di rifugiarsi nel proprio mondo personale: un mondo in cui trovano posto solo i complici e gli adulatori, quelli che hanno bisogno di lui e che più o meno autenticamente lo ammirano. Quando le vicende della vita lo portano ad una terapia, invece, quello che si può tentare di fare è di aiutarlo a diventare consapevole della sua potenza distruttiva. La nuova consapevolezza di nutrire dei sentimenti ostili darà luogo a sensi di colpa e ad una depressione costruttiva. Via via che la terapia continua, verrà, poi, fuori una matura considerazione degli altri e dei loro sentimenti. Voler bene a chi sta male vuol dire stargli vicino, sostenerlo, ascoltarlo ma, anche e a tratti soprattutto, confrontarlo sulle cose sbagliate e autodistruttive che fa. Amico del tossicodipendente da eroina è chi lo confronta per farlo smettere, non chi gli dà i soldi per comprarla. Amico di una persona che ha problemi di dipendenza dal sesso non è chi gli porta in casa le escort e le ragazzine, silenziosamente suggerendogli che lui è il Capo e può fare quello che vuole. Amico è chi, come fanno a volte le mogli, gli dice che sta sbagliando. Che deve smettere. I guasti che un leader patologico può produrre nella struttura o nelle strutture di cui ha il comando o la responsabilità consistono essenzialmente nell’aumento della conflittualità all’interno di tali strutture, nella diminuzione brutale della loro efficienza e nel peggioramento forte della qualità della vita nelle persone che in esse operano. (…).
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